CIRCOLARE MONOGRAFICA
DI FRANCESCA BICICCHI – STUDIO NEVIO BIANCHI & PARTNERS | 25 SETTEMBRE 2025
Tutela previdenziale e assicurativa in caso di collaborazione svolta in modo abituale e continuativo
Nelle imprese familiari i collaboratori familiari spesso prestano attività senza un compenso formale, spinti da vincoli di solidarietà e dal progetto comune. La legge non considera “gratuita” la collaborazione se svolta in modo abituale e continuativo: sorge l’obbligo di iscrizione a INPS e INAIL per garantire tutela previdenziale e assicurativa.
Premessa
La collaborazione dei familiari nelle attività economiche a conduzione individuale rappresenta una delle caratteristiche storiche e più radicate del tessuto produttivo italiano. Dalla piccola azienda agricola al laboratorio artigiano, dal negozio di quartiere fino alle attività commerciali più strutturate, è frequente che l’imprenditore si avvalga dell’aiuto di coniuge, figli, fratelli, sorelle e altri parenti stretti. Si tratta di una realtà antica, che affonda le proprie radici nella solidarietà familiare e che ancora oggi costituisce una risorsa insostituibile per la sopravvivenza e lo sviluppo di moltissime imprese.
L’ordinamento giuridico italiano, tuttavia, ha progressivamente preso atto della necessità di garantire tutele specifiche ai collaboratori familiari, riconoscendo che il loro apporto non può rimanere confinato nella sfera della mera gratuità. La logica solidaristica, pur presente, non può giustificare l’esclusione dal sistema previdenziale e assicurativo quando la collaborazione si configura come abituale e continuativa. In tali casi, infatti, l’attività del familiare è a tutti gli effetti lavoro produttivo che genera valore per l’impresa e che espone il lavoratore ai rischi tipici dell’attività economica.
Ne consegue che la prestazione resa dal familiare non retribuito assume carattere di “gratuità apparente”: essa non comporta corrispettivo economico, ma fa sorgere comunque obblighi di iscrizione all’INPS e all’INAIL, in base alle norme vigenti e alla consolidata prassi amministrativa.
La disciplina civilistica dell’impresa familiare
La figura dell’impresa familiare è stata introdotta dall’articolo 230-bis del codice civile, inserito con la riforma del diritto di famiglia (Legge 19 maggio 1975, n. 151). La norma disciplina i rapporti tra l’imprenditore e i familiari che collaborano in modo continuativo all’attività d’impresa, prevedendo che, salvo diverso accordo, i familiari abbiano diritto:
- al mantenimento in relazione alla condizione patrimoniale della famiglia;
- a partecipare agli utili dell’impresa e ai beni acquistati con essi;
- a concorrere agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento.
La gestione ordinaria dell’impresa spetta al titolare, mentre le decisioni relative a straordinaria amministrazione devono essere adottate con la maggioranza dei familiari che collaborano. La norma individua come familiari il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Con la Legge 20 maggio 2016, n. 76, anche i partner uniti civilmente sono stati equiparati al coniuge, mentre i conviventi di fatto godono di una disciplina separata (art. 230-ter c.c.).
Elemento essenziale per l’applicazione della norma è la continuità della collaborazione. Non è sufficiente un aiuto sporadico, ma occorre che l’apporto del familiare sia stabile, regolare e inserito nel ciclo produttivo dell’impresa.
Gratuità apparente e obblighi previdenziali
Nella maggior parte dei casi, la collaborazione prestata in un contesto familiare è resa in virtù di un’obbligazione “morale”, basata sulla affectio vel benevolentiae causa, legame solidaristico ed affettivo proprio del contesto familiare, che si articola nel vincolo coniugale, di parentela e di affinità e non prevede la corresponsione di un compenso. La circostanza che il lavoro sia reso da un familiare contribuisce a determinare in molti casi la natura occasionale della prestazione.
Una prima figura che il Ministero del Lavoro riconduce nell’ambito delle collaborazioni occasionali affectionis causa, e quindi esclusa dall’obbligo di versare i contributi all’Ente previdenziale di appartenenza, sono le prestazioni rese da pensionati che non possono garantire al familiare titolare o socio dell’impresa un impegno continuo. Il Ministero ritiene che l’impegno del pensionato possa essere solo occasionale nasce da vari motivi, tra cui la scarsa volontà di impegnarsi in un’attività nuova, la scelta di dedicarsi ad altri progetti o a curare più da vicino il contesto familiare. Dunque, in caso di ispezione, l’ispettore valuta le prestazioni rese da tali soggetti, in favore di parenti o affini, come collaborazioni occasionali gratuite che non richiedono l’iscrizione alla Gestione assicurativa di competenza né vengono ricondotte alla fattispecie della subordinazione.
La medesima conclusione può essere raggiunta in caso di prestazioni rese dal familiare impiegato a tempo pieno presso altro datore di lavoro, considerato il residuale e limitato tempo a disposizione per espletare altre attività o compiti con carattere di continuità e prevalenza presso il familiare.
Quando, però, l’apporto del familiare risulta di carattere abituale e continuativo, la legge impone di superare l’apparenza della gratuità e di riconoscere il valore economico del lavoro svolto, rendendo la distinzione tra collaborazione occasionale e collaborazione continuativa uno degli aspetti più delicati sul tema.
Il Ministero del Lavoro, con Nota n. 10478 del 10 giugno 2013, come detto, ha chiarito che le prestazioni dei collaboratori familiari possono essere considerate occasionali quando si verificano determinate condizioni. Successivamente, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con Circolare n. 50 del 15 marzo 2018, ha fornito ulteriori criteri operativi, facendo riferimento all’articolo 21, comma 6-ter del D.L. n. 269/2003 (conv. da Legge n. 326/2003) e all’articolo 74 del D.Lgs. n. 276/2003.
Dalla lettura delle disposizioni normative, la prestazione si considera occasionale nel settore artigiano e agricolo laddove:
- venga resa da un parente entro il terzo grado, aventi anche il titolo di studente;
- venga resa per un periodo complessivo nel corso dell’anno non superiore a 90 giorni;
- abbia carattere di aiuto, a titolo di obbligazione morale e senza corresponsione di compensi;
- sia prestata nel caso di temporanea impossibilità dell’imprenditore artigiano all’espletamento dell’attività lavorativa.
Per quanto riguarda, invece, il settore del commercio, ai sensi dell’articolo 29, Legge n. 160/1975, come modificato dalla Legge n. 662/1996, l’obbligo di iscrizione alla gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, di cui alla Legge n. 613/1966, sussiste solo per i titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero di dipendenti, siano organizzati o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia, compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, o i familiari, coadiutori preposti ai punti di vendita, che partecipano personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza.
Il criterio, relativo al settore artigiano e agricolo, corrispondente al limite di almeno 90 giorni di attività nel corso di un anno solare viene collegato, a parere del Ministero del Lavoro, anche ai diversi contesti settoriali, intendendo i giorni come frazionabili in ore, dunque 720 ore nel corso dell’anno solare.
Volendo fare un esempio pratico, un figlio che collabora per 160 giorni nel corso dell’anno solare, per 4 ore giornaliere, raggiunge un totale di 640 ore complessive di attività e, dunque, rientra nel concetto dell’occasionalità, senza la previsione dell’obbligo di iscrizione all’Ente previdenziale, a differenza di quanto accadrebbe se le ore superassero la soglia di 720 nell’anno solare.
Per quanto riguarda gli obblighi assicurativi nei confronti dell’INAIL, questi sussistono in tutte le ipotesi nelle quali la prestazione viene resa in modo ricorrente e non meramente accidentale. Il Ministero del Lavoro, volendo fornire, anche in questo caso, un parametro di carattere oggettivo, ritiene possibile, come chiarito dalla Circolare n. 37/0014184/2013, in via orientativa e d’intesa con l’INAlL, considerare come accidentalela prestazione che viene resa 1 o 2 volte nell’arco del medesimo mese a condizione che nel corso dell’anno le prestazioni complessivamente effettuate non siano superiori a 10 giornate lavorative.
Il collaboratore familiare che presta attività continuativa, così come descritta finora, deve essere, quindi, iscritto all’INPS e all’INAIL, anche nel caso in cui lo stesso non percepisca un compenso. La ratio di tale previsione risiede nella necessità di garantire una tutela previdenziale e assicurativa a coloro che, pur lavorando senza retribuzione, contribuiscono in maniera essenziale all’attività economica e corrono rischi identici a quelli degli altri lavoratori.
Il mancato rispetto di tali obblighi comporta la perdita di diritti previdenziali per il collaboratore e la responsabilità per il titolare dell’impresa che dovrà anche versare le relative sanzioni.
Iscrizione all’INPS e contribuzione
Per le attività rese nel settore artigiano e del commercio, l’iscrizione dell’impresa individuale all’INPS passa attraverso la CCIAA (art. 44, c. 8, D.L. n. 269/2003). I dati di iscrizione vengono trasmessi direttamente all’INPS, come illustrato nella Circolare n. 39/2004. Attraverso tale procedura l’INPS non può acquisire i dati dei collaboratori familiari e, dunque, li richiede attraverso un’apposita richiesta inviata con lettera raccomandata al titolare.
L’iscrizione dei collaboratori familiari nel settore agricolo deve essere effettuata direttamente all’INPS. Dopo il periodo transitorio terminato il 31 marzo 2010 (art. 9, co. 8 e 9, D.L. 7/2007), durante il quale era possibile utilizzare le vecchie procedure, è diventato obbligatorio l’utilizzo della comunicazione unica al registro delle imprese. Le varie amministrazioni (INPS, Circ. 41/2010, INAIL, Circ. 52/2009, A.E., Com. 30.3.2010) hanno chiarito quale delle comunicazioni è diventata obbligatoria o dove, in via facoltativa, è possibile utilizzare la vecchia modulistica e modalità telematiche.
Le aliquote contributive sono state progressivamente uniformate, attestandosi intorno al 24% (25% oltre la prima fascia di retribuzione pensionabile). Sono previste agevolazioni per i giovani under 21 e riduzioni per gli over 65 che siano già pensionati.
Il versamento avviene in 4 rate annuali, calcolate sul minimale contributivo, con conguaglio a saldo in dichiarazione dei redditi per i redditi eccedenti.
L’iscrizione assicura al collaboratore familiare il riconoscimento di prestazioni previdenziali quali pensione, malattia, maternità e assegni familiari. Si tratta di diritti fondamentali che altrimenti andrebbero irrimediabilmente perduti.
L’assicurazione INAIL per i collaboratori familiari
L’articolo 4 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, stabilisce l’obbligo di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali anche per i collaboratori familiari.
La determinazione del premio per i collaboratori familiari nel commercio avviene sulla base di una retribuzione convenzionale mensile. La determinazione del premio per i familiari del titolare artigiano avviene in base a premi speciali unitari a persona e per mese lavorato (D.M. 27.2.2019e Determina INAIL n. 43 del 30 gennaio 2019), mentre per il settore agricolo il premio è riscosso dall’INPS insieme agli altri contributi.
Il titolare dell’impresa familiare è tenuto a denunciare nominativamente i collaboratori familiari, in via telematica o a mezzo fax, prima dell’inizio dell’attività lavorativa (art. 23 D.P.R. n. 1124/1965).
L’obbligo assicurativo INAIL sussiste anche per i familiari coadiuvanti di socio di società artigiana e non (s.n.c. e s.a.s.) laddove partecipino all’attività aziendale con abitualità e prevalenza e se l’impresa è organizzata e/o diretta prevalentemente con il lavoro dei soci e dei loro familiari (INAIL, Nota 22 marzo 2010, n. 2653).
Conclusioni
La figura del collaboratore familiare riveste un ruolo centrale nella realtà produttiva italiana, ma non può essere relegata a un’area di mera gratuità. La distinzione operata dall’ordinamento è chiara; le prestazioni occasionali, entro limiti temporali precisi, possono rimanere gratuite e non comportano obblighi contributivi, mentre quelle abituali e continuative fanno sorgere l’obbligo di iscrizione all’INPS e all’INAIL, anche in assenza di retribuzione.
Per gli imprenditori questo significa dover valutare attentamente la natura dell’apporto familiare, al fine di evitare eventuali omissioni contributive e sanzioni. Per i collaboratori, allo stesso tempo, significa accedere a tutele fondamentali sul piano previdenziale e assicurativo.
La logica che sorregge il sistema è quella di superare l’apparenza del favore gratuito e riconoscere la dignità del lavoro, anche quando prestato in ambito familiare. In questo modo si garantisce non solo equità sociale, ma anche regolarità e sostenibilità alle imprese che costituiscono il cuore del tessuto economico nazionale.
Riferimenti normativi:
- Codice civile, artt. 230-bis e 230-ter
- Legge 19 maggio 1975, n. 151
- Legge 20 maggio 2016, n. 76
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