CIRCOLARE MONOGRAFICA
Obblighi informativi e consultivi nella composizione negoziata della crisi
A CURA DI STUDIO TRIBUTARIO GAVIOLI & ASSOCIATI | 18 DICEMBRE 2025
Con la Direttiva Insolvency il legislatore unionale, recepita anche da quello italiano, ha imposto che la disciplina dell’insolvenza tenga in considerazione anche la complessa posizione in cui si trovano i lavoratori dell’impresa in crisi; nelle procedure conservative, infatti, essa pare acquisire qualche spazio maggiore, divenendo elemento funzionale alla stessa preservazione della continuità dell’impresa, seppur sempre in via secondaria e sottoposta rispetto alla tutela del credito. In particolare dove è prevista una forma di continuità aziendale, il diritto del lavoratore al mantenimento del posto di lavoro acquisisce maggiore rilevanza, assumendo valenza non solo patrimoniale, ma anche di natura costituzionale e sociale.
Premessa
La Fondazione Nazionale di Ricerca dei Commercialisti ha pubblicato sul portale istituzionale nella giornata di lunedì 15 dicembre 2025, un nuovo documento sui profili giuslavoristici della composizione negoziata della crisi, offrendo una lettura sistematica del rapporto tra continuità aziendale, tutela occupazionale e salvaguardia dei creditori, nel quadro del Codice della crisi e della Direttiva Insolvency.
La Direttiva Insolvency pur riconfermando che il fine ultimo della disciplina vigente in materia di crisi d’impresa è la tutela degli interessi dei creditori, ha introdotto novità di grande rilievo nell’evoluzione del diritto dell’insolvenza, valorizzando la posizione del lavoratore quale parte interessata a pieno titolo.
La nuova visione delineata dalla Direttiva Insolvency si riflette all’interno del Codice della crisi, mediante l’inserimento, in più punti, di norme che si occupano di lavoro, sia direttamente che indirettamente.
| In particolare |
| l’art. 12, comma 2, CCII annovera la salvaguardia dei posti di lavoro tra gli obiettivi primari che la soluzione adottata in seguito a composizione negoziata deve perseguire; |
| l’art. 4, comma 3, CCII impone all’imprenditore di attivare una procedura di informazione e consultazione sindacale qualora intenda assumere determinazioni rilevanti per i rapporti di lavoro di una pluralità di dipendenti, affinché possa garantirsi che ogni determinazione di rilievo venga assunta nell’alveo di un dialogo effettivo e trasparente; |
| l’art. 84 CCII stabilisce che, nel concordato preventivo in continuità, la prosecuzione dell’attività d’impresa deve preservare, nella misura possibile, i posti di lavoro. |
Gli obblighi di informazione sindacale
L’art. 4, comma 3, CCII pone in capo al datore di lavoro che occupa complessivamente più di 15 dipendenti, di informare gli organismi di rappresentanza dei lavoratori sulle rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni.
Osserva il documento dei commercialisti che gli obblighi di informazione sindacale di matrice legale sono, in realtà, già abbastanza numerosi.
Possono distinguersi tra obblighi di carattere:
- generale, che riguardano le imprese di dimensione transfrontaliera e quelle aventi una dimensione nazionale;
- particolare, in ragione della vicenda concreta in cui si collocano, anche in considerazione della loro dimensione transfrontaliera.
Per quanto riguarda invece gli obblighi di informazione sindacale previsti dalla contrattazione collettiva, l’art. 4, comma 3 , CCII prevede l’esonerodella sua applicazione solo qualora gli stessi siano previsti dai contratti collettivi di cui all’art. 2, comma 1, lett. g), del citato D.Lgs. n. 25/2007, ossia stipulati tra le organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Ciò impone, quindi, ai professionisti e agli operatori che si occupano di crisi di impresa, una attenta analisi della contrattazione collettiva di settore, in particolar modo delle c.d. clausole “obbligatorie”, che fissano obblighi di informazione sindacale sull’andamento aziendale generale o su aspetti specifici. La necessità di una particolare attenzione alla questione è imposta anche da alcuni recenti orientamenti della giurisprudenza di merito, che hanno avuto vasta risonanza, secondo i quali, in qualche modo, tali obblighi si aggiungerebbero a quelli particolari strettamente legali.
Il comma 3, dell’art. 4, del Codice della crisi pone in capo al datore di lavoro, un dovere di informazione delle rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni, assunte, non solo nel corso delle trattative della composizione negoziata, ma anche nella predisposizione del piano nell’ambito di uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, che incidano sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni.
Come evidenziato le “rilevanti determinazioni” possono riguardare l’organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni, finalizzate alla realizzazione del piano di risanamento su cui si fonda la riuscita delle trattative di composizione negoziata o dello strumento di regolazione individuato dall’impresa.
È possibile ritenere, osserva lo studio dei commercialisti, interventi sulle turnazioni, sulle mansioni, sull’implementazione o riduzione del ricorso al telelavoro o al lavoro agile.
In realtà, la locuzione in esame difetta di una precisa delimitazione concettuale, di conseguenza effettuando una prima lettura improntata al principio di prudenza, appare più coerente adottare un’interpretazione rigorosa, idonea a ricomprendere tutte quelle determinazioni in grado di incidere sulla posizione di una pluralità di lavoratori, e dunque almeno di due (non è previsto, infatti, un numero minimo), che non siano già oggetto di diverse procedure di informazione sindacale.
Gli obblighi di informazione e la consistenza dell’organico
Gli obblighi di informazione di cui all’art. 4, comma 3, CCII si applicano agli imprenditori che occupano più di 15 dipendenti. La verifica di tale requisito non può essere condotta in modo statico o meramente nominalistico, bensì richiede l’applicazione di criteri dinamici in grado di valorizzare il dato dell’occupazione media effettiva con riferimento al periodo antecedente all’avvio della procedura, con esclusione di picchi contingenti o variazioni meramente momentanee.
Così ragionando, la consistenza dell’organico potrebbe essere determinata secondo il principio della “normale occupazione” che terrebbe conto di un periodo di osservazione antecedente all’avvio della procedura di almeno 6 mesi e, qualora opportuno, estendibile fino ad 1 anno, alla stregua degli orientamenti giurisprudenziali espressi in attuazione dell’art. 18, dello Statuto dei lavoratori.
Il computo dovrà, inoltre, essere effettuato con specifico riferimento al momento in cui l’organo competente (l’organo di amministrazione nelle società) è chiamato ad assumere le determinazioni qualificate come “rilevanti”.
Obblighi informativi e consultivi nella composizione negoziata della crisi
Osserva lo studio dei commercialisti che per quanto concerne più specificatamente alla composizione negoziata, è noto che al procedimento partecipa anche l’esperto (art. 12 CCII), il quale redige, in questa fase delle trattative e limitatamente alla consultazione avviata ai sensi dell’art. 4, comma 3, CCII, unitamente all’imprenditore, un sintetico rapporto finalizzato alla determinazione del proprio compenso, senza che esso assuma alcun rilievo sul contenuto delle decisioni adottate, ma fermo restando che la sua presenza costituisce un presidio imprescindibile di terzietà e correttezza, volto a garantire la trasparenza dei flussi informativi e l’effettività del confronto tra le parti.
Uno degli aspetti della nuova disciplina maggiormente criticato dai primi commentatori dell’importante novità introdotta dal legislatore, è la natura eminentemente informativa della procedura, la quale sembra concepita per consentire un rapido scambio di notizie o chiarimenti su decisioni già concretamente adottate, piuttosto che per favorire un autentico percorso di negoziazione con le organizzazioni sindacali.
Composizione negoziata e ricadute sui rapporti di lavoro
Evidenzia lo studio dei commercialisti che l’istituto della composizione negoziata della crisi, introdotto dal D.L. n. 118/2021 e oggi disciplinato nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, è uno degli strumenti più innovativi introdotti dal legislatore che nasce con l’obiettivo di agevolare il risanamento di quelle imprese che, pur versando in condizioni di squilibrio, non siano ancora precipitate in condizioni di vera e propria insolvenza e conservino, dunque, concrete prospettive di permanenza sul mercato.
Come è noto, essa consiste in un percorso da svolgere con l’ausilio di un esperto indipendente, nominato da una Commissione istituita presso le Camere di commercio, il cui compito è agevolare le trattative tra l’impresa e i creditori, nonché con gli altri portatori di interessi (compresi, quindi, i lavoratori), al fine di individuare soluzioni condivise che consentano di preservare la continuità aziendale.
Tra i molteplici profili di interesse che connotano la composizione negoziata della crisi, particolare importanza assume quello concernente i rapporti di lavoro. E ciò in quanto la scelta del legislatore di introdurre un istituto fondato sul mantenimento della continuità aziendale ha sollevato numerosi dubbi in merito al rapporto tra due poli che sono tradizionalmente considerati opposti e confliggenti:
– da un lato, la tutela dei creditori, che costituisce il fulcro e il fine ultimo della disciplina della crisi d’impresa;
– dall’altro, l’esigenza di garantire la sopravvivenza aziendale, che porta con sé come corollario inscindibile anche la continuità occupazionale.
L’interesse dei lavoratori alla conservazione del posto di lavoro assume un ruolo complementare e funzionale alla tutela del credito:
- il mantenimento della continuità aziendale può incidere positivamente sull’interesse dei creditori allorché è pacifico che le procedure liquidatorie nella maggior parte dei casi consentono solo forme di soddisfazione parziali;
- al contrario, laddove l’impresa versi in uno stato irreversibile di dissesto, l’interesse occupazionale deve cedere il passo a quello, primario, di evitare un pregiudizio ulteriore ai creditori.
L’art. 12, comma 2, CCII, inserito dal D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136, espressamente prevede che la soluzione ricercata nell’ambito della composizione negoziata delle crisi deve preservare, nella misura possibile, i posti di lavoro.
Pur essendo apprezzabile la previsione, osserva lo studio dei commercialisti, riconoscendosi espressamente una qualche forma di tutela della continuità occupazionale, non può sottacersi la circostanza per cui l’inciso sembra avere valenza di mero ammonimento, non essendo previste effettivamente indicazioni obbligatorie in tal senso né eventuali conseguenze in caso di inadempimento.
L’esito positivo della composizione negoziata si concretizza principalmente nella possibilità di raggiungere soluzioni concordate volte alla prosecuzione dell’attività dell’impresa, perseguibile anche mediante il trasferimento dell’azienda o di singoli rami della stessa secondo quanto disposto espressamente dall’art. 12, comma 2, CCII.
Composizione negoziata e posizioni previdenziali
Con il D.Lgs. n. 136 del 13 settembre 2024 è stato introdotto il comma 2-bis, nell’art. 23 CCII, che riconosce la possibilità che la composizione negoziata si concluda con un accordo transattivo tra l’imprenditore e le agenzie fiscali, volto a disciplinare in forma ridotta o dilazionata il pagamento dei debiti tributari. La disposizione, tuttavia, circoscrive l’efficacia della transazione alla sussistenza della piena adesione di tutte le parti coinvolte. A ciò si aggiunge che la disposizione limita esplicitamente il proprio campo di applicazione ai soli crediti erariali, escludendo, dunque, quelli previdenziali e assicurativi, per i quali rimane preclusa qualsivoglia forma di accordo deflattivo.
Evidenzia lo studio dei commercialisti che nonostante, la disciplina in materia di composizione negoziata non ammetta il meccanismo della transazione contributiva, attraverso la deroga all’art. 2560 c.c. , si realizza una forma surrettizia di composizione del debito contributivo, priva della struttura pattizia propria della transazione ma idonea, nella pratica, a neutralizzarne gli effetti nei confronti del cessionario.
Conclusioni
Nella parte conclusiva dello studio dei commercialisti è evidenziato che l’analisi dei diversi profili della composizione negoziata della crisi in relazione ai rapporti di lavoro mostra la complessità di un equilibrio delicato tra tutela occupazionale, continuità aziendale e tutela del credito.
Riferimenti normativi:
- D.Lgs. 17 giugno 2022 , n. 83
- Legge 22 aprile 2021, n. 53
- Parlamento europeo e Consiglio (UE), Direttiva 20 giugno 2019, n. 2019/1023
- D.Lgs. del 12 gennaio 2019, n. 14
- R.D. 16 marzo 1942 n. 267
- CNDCEC, “Composizione negoziata della crisi. Profili giuslavoristici” 15 dicembre 2025
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