CIRCOLARE MONOGRAFICA
Il punto sull’istituto e le rilevanti novità in materia anche alla luce della recente Sentenza n. 4953/2025 del Tribunale di Milano
DI EMANUELE MAESTRI | 24 NOVEMBRE 2025
Ai sensi dell’art. 26 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, l’efficacia delle dimissioni (e della risoluzione consensuale) è condizionata al rispetto di un’apposita procedura, prevista a garanzia del lavoratore.
Dal 12 gennaio 2025, con l’introduzione del co. 7-bis , sono state disciplinate anche le dimissioni c.d. di fatto, o per fatti concludenti. Proprio a tale riguardo va evidenziata una decisione del Tribunale di Milano del 29 ottobre 2025 che – ove tale orientamento fosse confermato – potrebbe agevolare notevolmente la vita dei datori. Di seguito il punto sull’istituto e le rilevanti novità in materia.
Dimissioni “ordinarie”: quadro normativo vigente
Posto che le dimissioni costituiscono l’atto unilaterale recettizio con cui il dipendente comunica al datore la volontà di recedere dal rapporto, la loro efficacia richiede l’utilizzo dell’apposito modulo telematico o che il dipendente si trovi in una sede c.d. “protetta”.
La nuova procedura telematica riguarda in linea di principio tutti i rapporti di lavoro subordinato. In particolare, in base ai chiarimenti forniti dal Ministero del Lavoro, essa si applica:
– a tutti i lavoratori del settore privato;
– alle lavoratrici che hanno pubblicato la data del matrimonio (previa convalida in ITL entro 1 mese);
– ai lavoratori che raggiungono i requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata;
– ai dipendenti a termine;
– ai lavoratori assunti presso una società privata a totale partecipazione pubblica;
– ai rapporti di lavoro domestico in somministrazione;
– al direttore generale e all’AD di un’azienda con cui sussiste un rapporto subordinato;
– ai detenuti;
– all’apprendista al termine del periodo di apprendistato;
– al socio lavoratore.
All’atto pratico, il lavoratore che intende dimettersi può compilare e trasmettere il modulo telematico di persona o con l’aiuto di soggetti abilitati, quali: patronati, sindacati, enti bilaterali, consulenti del lavoro, sedi territoriali dell’INL e le commissioni di certificazione.
L’INPS ha precisato che:
a) la data di decorrenza delle dimissioni o della risoluzione consensuale indicata nel modulo on line coincide con la data successiva all’ultimo giorno di lavoro, ovvero, con il primo giorno di mancato svolgimento di attività;
b) per determinare la decorrenza dei trattamenti pensionistici, la data di cessazione del rapporto coincide con la data dell’ultimo giorno di lavoro, ovvero, con il giorno precedente a quello indicato nella sezione del modulo “Data di decorrenza delle dimissioni/risoluzione consensuale” (INPS, Messaggio 20 settembre 2016, n. 3755).
La nuova procedura telematica non opera con riferimento a: lavoratori domestici; lavoratori che hanno in corso il periodo di prova (contraCass. ord. 11 settembre 2025, n. 24991); marittimi; pubblici dipendenti; co.co.co.; tirocinanti; lavoratrici madri e lavoratori padri che si trovino in una delle ipotesi previste dall’articolo 55, co. 4, del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.
La procedura telematica non va osservata se le dimissioni intervengono presso le commissioni di certificazione di cui all’art. 76 del D.Lgs. n. 276/2003 ovvero nelle sedi individuate dall’art. 2113, co. 4, cod. civ. (cd. “sedi protette”), quali, per esempio, gli ITL e le sedi sindacali.
Per le altre questioni di interesse generale, si veda la tabella che segue.
| Dimissioni “ordinarie”: altri aspetti | |
| Preavviso | La procedura telematica di dimissioni, introdotta dall’art. 26 del D.Lgs. n. 151/2015, non incide sull’obbligo di preavviso in capo al lavoratore e non modifica in alcun modo la disciplina del rapporto e la sua risoluzione. |
| Revoca | Il lavoratore, nei 7 giorni dopo l’avvenuto invio del modulo telematico, ha la facoltà di revocare, con le medesime modalità, le proprie dimissioni. |
| Comunicazioni | Entro 5 giorni dal momento in cui il lavoratore intende far cessare il contratto, il datore deve comunicare al CPI con il mod. UnificatoLav la cessazione del rapporto. Se la cessazione è stata comunicata in anticipo e poi le dimissioni vengono revocate, il datore deve inviare una comunicazione di revoca. |
| Sanzioni | Ex art. 26, co. 5, salvo che il fatto costituisca reato, al datore che alteri i moduli telematici si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro. L’accertamento e l’irrogazione della sanzione sono di competenza degli ITL e si applica, in quanto compatibile, la Legge 24 novembre 1981, n. 689. |
| Madri e padri | La procedura telematica non si applica se le dimissioni sono presentate nelle ipotesi ex art. 55, co. 4, D.Lgs. n. 151/2001, ossia: lavoratrice in gravidanza; lavoratrice o lavoratore nei primi 3 anni di vita del bambino; lavoratrice o lavoratore nei primi 3 anni di accoglienza del minore adottato o affidato, o, in caso di adozione internazionale, nei primi 3 anni dalla proposta di incontro con il minore adottando o dalla comunicazione dell’invito a recarsi all’estero per ricevere l’abbinamento. In tali ipotesi la convalida delle dimissioni, cui è condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto, è riservata all’ITL. Le dimissioni presentate nel periodo per cui vige il divieto di licenziamento – dall’inizio della gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro, e fino a 1 anno di età del bambino (o 1 anno dall’adozione) – fanno sorgere per la lavoratrice il diritto alle indennità previste in caso di licenziamento. |
Dimissioni “per fatti concludenti”: quadro normativo vigente
Venendo ora a questa particolare ipotesi, l’art. 26, co. 7-bis , del D.Lgs. n. 151/2015, dispone che, in caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal CCNL applicato o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a 15 giorni (intesi giorni di calendario a partire dal 1° giorno lavorativo non effettuato), il datore ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’INL, che può verificarne la veridicità. Il rapporto si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal medesimo articolo.
Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza. Tali disposizioni sono in vigore dal 12 gennaio 2025. Per un quadro di sintesi degli orientamenti amministrativi in materia, si veda la tabella. Tratteremo separatamente la sola – e assai rilevante – questione di quale sia il termine “minimo” di durata dell’assenza ingiustificata, perché si possa parlare di dimissioni per fatti concludenti.
| Dimissioni “per fatti concludenti”: indicazioni della prassi | |
| Comunicazione all’ITL | Il datore – se intende far valere l’assenza ingiustificata del lavoratore per risolvere il rapporto – deve comunicare all’ITL l’assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre uno specifico termine. La comunicazione da inviare in copia al lavoratore, meglio se via PEC all’indirizzo istituzionale di ciascuna sede dell’Ispettorato, deve riportare tutte le informazioni a conoscenza del datore sul lavoratore e riferibili non solo ai dati anagrafici ma soprattutto ai recapiti (anche telefonici e di e-mail) che conosce. L’INL ha predisposto un nuovo modello di comunicazione per uniformare i contenuti e semplificare tale adempimento da parte dei datori (INL, Nota 29 aprile 2025, n. 3984). |
| Dimissioni “regolari” successive | La procedura telematica di cessazione con dimissioni per fatti concludenti, avviata dal datore, è resa inefficace ove egli riceva poi la notifica da parte del sistema informatico del Ministero dell’avvenuta presentazione delle dimissioni del lavoratore. Anche la presentazione di dimissioni per giusta causa tramite il sistema telematico da parte del lavoratore – ferma la necessità di assolvere il relativo onere probatorio (cfr. INPS, Circolare 20 ottobre 2003, n. 163) – prevale sulla procedura di cessazione per fatti concludenti avviata dal datore di lavoro. |
| Verifiche dell’ITL | Ricevuta la comunicazione datoriale, l’ITL può verificarne la veridicità. A tal fine, gli Ispettorati possono contattare il lavoratore – ma anche altro personale impiegato presso il datore o altri soggetti che possano fornire elementi utili – per accertare se effettivamente il lavoratore non si è più presentato, né ha potuto comunicare la sua assenza. Gli eventuali accertamenti vanno conclusi con la massima tempestività, e comunque entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione trasmessa dal datore (INL, Nota 22 gennaio 2025, n. 579). Il datore – a seguito degli accertamenti ispettivi – potrebbe essere ritenuto responsabile, anche penalmente, per falsità delle comunicazioni rese all’ITL. |
| Inesistenza delle dimissioni | L’assenza del lavoratore non configura le dimissioni per fatti concludenti se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza. Ove il lavoratore dia effettivamente prova del fatto che: la comunicazione del datore non è veritiera (tale circostanza, peraltro, può essere autonomamente accertata dall’Ispettorato del Lavoro); ha regolarmente comunicato i motivi della sua assenza; gli è stato impossibile, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza; non si applica l’effetto risolutivo del rapporto di lavoro. In tale ipotesi, l’Ispettorato comunica l’inefficacia della risoluzione al lavoratore – il quale ha diritto alla ricostituzione del rapporto anche se il datore ha già trasmesso il modello Unilav – e al datore possibilmente riscontrando, con lo stesso mezzo, la comunicazione via PEC ricevuta. |
| Maternità e paternità | La disposizione in esame non è applicabile nei casi previsti dall’art. 55 D.Lgs. n. 151/2001, che prevede la convalida obbligatoria della risoluzione consensuale e delle dimissioni presentate da: la lavoratrice durante il periodo di gravidanza; la lavoratrice madre o il lavoratore padre nei primi 3 anni di vita del bambino o nei primi 3 anni di accoglienza del minore adottato o affidato, o, in caso di adozione internazionale, nei primi 3 anni decorrenti dalle comunicazioni della proposta di incontro con il minore adottando ovvero della comunicazione dell’invito a recarsi all’estero per ricevere la proposta di abbinamento. Tali previsioni – imponendo un procedimento obbligato dinanzi all’Ispettorato anche per le dimissioni espresse – non consentono l’applicazione delle presunzioni di cui all’articolo 19 in esame, che regola le c.d. dimissioni implicite (MLPS, Circolare 27 marzo 2025, n. 6). |
| Comunicazioni obbligatorie | Come precisato dall’INL (Nota n. 579/2025), se è tutto regolare (invio della comunicazione all’ITL, non intervento di tale organo o sua verifica con esito positivo), in base al protrarsi dell’assenza ingiustificata e della comunicazione del datore, il rapporto si intende risolto per dimissioni del lavoratore. Quindi, una volta decorso il periodo previsto dal contratto collettivo o quello indicato dal legislatore ed effettuata la comunicazione all’ITL, il datore può comunicare la cessazione del rapporto. Tale comunicazione opera anche quale dies a quo per il decorso del termine di 5 giorni previsto per effettuare la relativa COB di cessazione del rapporto tramite il modello UNILAV. L’avvenuto invio del modello Unilav non impedisce all’ITL (a seguito degli appositi accertamenti) di comunicare l’inefficacia della risoluzione sia al lavoratore che al datore, con conseguente non cessazione del rapporto di lavoro. |
| Retribuzione | Il datore non è tenuto, per il periodo di assenza ingiustificata del lavoratore, al versamento della retribuzione e dei relativi contributi. Inoltre, egli può trattenere dalle competenze di fine rapporto da corrispondere al lavoratore l’indennità di mancato preavviso contrattualmente stabilita. |
| Ticket di licenziamento e NASpI | Per effetto della risoluzione del rapporto di lavoro disciplinata dall’art. 26, co. 7-bis , del D.Lgs. n. 151/2015, il lavoratore non può accedere alla prestazione di disoccupazione NASpI, in quanto la fattispecie non rientra nelle ipotesi di cessazione involontaria del rapporto di lavoro come richiesto dall’art. 3 del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 22. Inoltre, nel caso in cui la risoluzione di rapporto di cui al co. 7-bis citato, introdotto dall’art. 19 della Legge n. 203/2024, si riferisca a un rapporto a tempo indeterminato, il datore non è tenuto a versare il contributo dovuto per l’interruzione di un rapporto a tempo indeterminato, disciplinato dall’art. 2, co. 31, della Legge 28 giugno 2012, n. 92, in quanto tale cessazione del rapporto di lavoro non fa sorgere in capo al lavoratore il teorico diritto alla NASpI. |
Quanti giorni di assenza ingiustificata “servono”?
Come anticipato sopra, la norma prevede che “in caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a 15 giorni …. “.
A tale riguardo va evidenziato il “rigido” orientamento della prassi – che si contrappone a una recentissima decisione del Tribunale di Milano (si veda subito a seguire) – secondo la quale:
a. il datore, se intende inviare la comunicazione, deve verificare che l’assenza ingiustificata abbia superato il termine eventualmente individuato dal contratto collettivo applicato o che, in assenza di una specifica previsione contrattuale, siano trascorsi almeno 15 giorni dall’inizio del periodo di assenza (INL, Nota 22 gennaio 2025, n. 579);
b. il termine di 15 giorni non è riducibile da parte del contratto collettivo (Min. Lav., Nota 10 aprile 2025, n. 5257);
c. l’art. 19 della Legge n. 203/2024 prevede che l’assenza ingiustificata per oltre 15 giorni possa essere considerata come dimissioni di fatto; ne consegue che le disposizioni del CCNL sulle assenze ingiustificate (che consentono il licenziamento disciplinare) non possono dar luogo a dimissioni di fatto, in quanto il termine eventualmente individuato per legittimare la risoluzione del rapporto per comportamento concludente non deve essere inferiore a quello individuato dalla legge, ossia almeno 15 giorni (Min. Lav., FAQ 24 giugno 2025).
Tribunale di Milano, sentenza 29 ottobre 2025
Il fatto
Tutte le (apparentemente) granitiche certezze di cui appena sopra sono state “sgretolate” da un recentissimo intervento del Tribunale di Milano, in una vertenza relativa a una dipendente che aveva citato in giudizio la società, impugnando la cessazione del rapporto di lavoro intervenuta il 20 gennaio 2025, qualificata dalla datrice di lavoro come “dimissioni volontarie di fatto”.
La ricorrente esponeva di essere stata assunta a tempo indeterminato dal 12 settembre 2022 con mansioni di educatrice (liv. D1, CCNL Cooperative Sociali) e di aver subito, dall’anno scolastico 2024/2025, il peggioramento delle condizioni lavorative che ha causato un grave crollo psicofisico, costringendola a un periodo di assenza per malattia dall’8 novembre al 21 dicembre 2024.
Al rientro, dopo aver rifiutato alcune proposte di ricollocazione ritenute inadeguate, si era assentata dal 7 gennaio 2025, comunicando telefonicamente alla sua referente di non essere in grado di riprendere l’attività.
Deduceva inoltre di non essere riuscita ad ottenere un certificato medico, vista l’assenza della propria specialista psichiatra.
Il 20 gennaio 2025, la società le consegnava una comunicazione con cui, preso atto della sua assenza ingiustificata protrattasi per oltre 3 giorni, la considerava dimissionaria per “dimissioni volontarie di fatto”.
Il ricorso
La dipendente ricorreva quindi al giudice del lavoro, sostanzialmente allegando l’inapplicabilità della nuova disciplina sulle dimissioni per fatti concludenti (art. 26, co. 7-bis, del D.Lgs. n. 151/2015, introdotto dalla Legge n. 203/2024) per il mancato superamento del termine legale di 15 giorni di assenza.
La decisione
Al riguardo, il Tribunale meneghino – rigettando il ricorso, e quindi convalidando l’operato della società – ha precisato quanto segue:
- la norma sulle dimissioni presunte è entrata in vigore il 12 gennaio 2025, ed è quindi applicabile ai fatti di causa per il periodo di assenza successivo a tale data;
- la ricorrente sostiene che il termine di assenza ingiustificata debba essere “superiore a 15 giorni”, come previsto dalla legge: tale interpretazione è frutto di una lettura parziale e decontestualizzata della norma. Il testo di legge è inequivocabile nello stabilire un criterio alternativo e prioritario: il termine di riferimento è quello “previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro“, mentre il termine legale di 15 giorni opera solo “in mancanza di previsione contrattuale“;
- nel caso di specie, al rapporto si applica il CCNL Cooperative Sociali, il cui art. 42 sanziona con il licenziamento disciplinare “le assenze ingiustificate protrattesi per 3 giorni consecutivi“: è questo, dunque, il termine rilevante ai fini dell’applicazione del co. 7-bis dell’art. 26. Il legislatore, nel rinviare alla contrattazione collettiva, ha inteso valorizzare la soglia di tolleranza che le stesse parti sociali hanno individuato come critica, ovvero il numero di giorni di assenza la cui gravità è tale da giustificare la sanzione massima della risoluzione del rapporto. La nuova norma non fa altro che mutare la qualificazione giuridica degli effetti di tale condotta, trasformandola da presupposto per un licenziamento datoriale a fatto concludente che manifesta la volontà del lavoratore di recedere;
- è pacifico che la ricorrente si sia assentata ingiustificatamente dal 7 al 20 gennaio 2025: anche a voler considerare, per il principio tempus regit actum, solo le assenze maturate dopo l’entrata in vigore della nuova legge (12 gennaio 2025), risulta un’assenza continuativa e ingiustificata dal 13 al 20 gennaio 2025, per un totale di 6 giorni lavorativi, un periodo ben superiore alla soglia di 3 giorni prevista dal CCNL di riferimento; il presupposto sostanziale del superamento del termine è, pertanto, pienamente integrato;
- la norma prevede una clausola di salvaguardia, consentendo al lavoratore di neutralizzare la presunzione di dimissioni dimostrando “l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza”. La ricorrente ha addotto, quale giustificazione, l’impossibilità di ottenere una certificazione medica a causa dell’assenza per ferie della propria specialista di fiducia: tale circostanza non integra in alcun modo la nozione di forza maggiore, che richiede un evento oggettivo, imprevedibile e insuperabile. La lavoratrice avrebbe potuto e dovuto rivolgersi al proprio medico di base o a qualsiasi altra struttura del Servizio Sanitario Nazionale per ottenere la certificazione necessaria a giustificare l’assenza, come peraltro aveva fatto per il precedente periodo di malattia. La sua inerzia, pertanto, appare ingiustificata e non riconducibile ad alcuna causa esimente.
Conclusioni
Alla luce di quanto sopra, il rapporto di lavoro è stato ritenuto risolto per volontà della lavoratrice in data 20 gennaio 2025, per effetto dell’integrazione della fattispecie di cui all’art. 26, co. 7-bis , del D.Lgs. n. 151/2015.
Certo, una rondine non fa primavera ma è comunque un precedente importante, specie ove si vogliano contrastare con una certa fermezza le assenze “poco o nulla” giustificate messe in atto da taluni “furbetti”, e poco collaborativi dipendenti
Riferimenti normativi:
- D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, art. 26
- Codice civile, artt. 2118 e 2119
- MLPS, Circolare 27 marzo 2025, n. 6
- MLPS, Nota 10 aprile 2025, n. 5257
- MLPS, FAQ 24 giugno 2025
- INL, Nota 22 gennaio 2025, n. 579
- MLPS, Circolare 4 marzo 2016, n. 12
- Tribunale di Milano, Sentenza 29 ottobre 2025, n. 4953
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