PRIMA LETTURA
DI FRANCESCO GERIA – LABORTRE STUDIO ASSOCIATO | 10 LUGLIO 2025
Con Nota 8 luglio 2025, n. 5944 , pubblicata sul portale istituzionale in data 9 luglio 2025, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro fornisce indicazioni operative volte all’emanazione dei provvedimenti di interdizione al lavoro delle lavoratrici madri, in periodo antecedente e successivo al parto, di cui agli articoli 6, 7 e 17 del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.
Presentazione dell’istanza | La richiesta di interdizione può essere inoltrata su istanza del datore di lavoro o su istanza della lavoratrice, utilizzando la modulistica disponibile nell’apposita sezione del portale INL, unitamente alla copia del documento di identità del richiedente, del certificato medico di gravidanza con indicazione della data presunta del parto (in caso di interdizione anticipata) o dell’autocertificazione/certificazione di nascita (in caso di interdizione posticipata) e l’indicazione della mansione svolta dalla lavoratrice.Qualora la richiesta sia presentata dal datore di lavoro, la stessa dovrà contenere anche la precisazione dell’impossibilità di adibire la lavoratrice ad altre mansioni sulla base di elementi tecnici attinenti all’organizzazione dell’azienda.Inoltre, il datore di lavoro dovrà indicare gli eventuali lavori faticosi, pericolosi ed insalubri a cui è esposta la lavoratrice di cui agli allegati A e B del D.Lgs. n. 151/2001 e vietati ai sensi all’art. 7 c. 1 e 2 del D.Lgs. n. 151/2001, anche mediante la trasmissione dello stralcio del documento di valutazione dei rischi (DVR) relativo alle lavoratrici gestanti e puerpere. |
Fase istruttoria | Durante la fase istruttoria, l’Ufficio dell’Ispettorato territoriale competente è tenuto a valutare la documentazione acquisita nonché la correttezza dei presupposti legittimanti la richiesta di interdizione al lavoro, ovvero che ricorrano congiuntamente le condizioni previste dalle lettere b) e c) dell’art. 17 comma 2 del D.Lgs. n. 151/2001, di seguito richiamate:quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e 12 .Qualora non sia possibile eliminare il rischio e non sia praticabile lo spostamento della lavoratrice ad altra mansione, anche inferiore (ferma restando la retribuzione), compatibile con lo stato di gravidanza o allattamento, si dovrà procedere all’interdizione dal lavoro. |
Fase valutativa | L’art. 7 comma 1 del D.Lgs. n. 151/2001 dispone “il divieto di adibire la lavoratrice al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché a lavori pericolosi faticosi e insalubri elencati specificamente negli allegati A e B del decreto citato”.Nella fase valutativa, pertanto, si dovranno verificare le condizioni di lavoro della lavoratrice se rientranti tra:lavori indicati in Allegato A (art. 7 co.1);lavori indicati in Allegato B (art. 7 co 2);lavori indicati in Allegato C (art. 11 co 1).Come già sancito dalla circolare INL prot. n. 553 del 2 aprile 2021 , ai fini dell’adozione dei provvedimenti di tutela della lavoratrice nel periodo ante e post partum, si ritiene sufficiente la mera constatazione della adibizione della lavoratrice madre a mansioni di trasporto e al sollevamento di pesi, ferma restando una valutazione circa l’impossibilità di adibizione ad altre mansioni. In tal senso la medesima circolare, chiarisce che: – vige il divieto generalizzato; – l’adibizione a tali mansioni costituirebbe comunque condizione sufficiente per il riconoscimento della tutela della lavoratrice con la conseguente emanazione del provvedimento di interdizione.È comunque opportuno evidenziare che per “carico” si intende un peso superiore ai 3 Kg che venga movimentato in via non occasionale nella giornata lavorativa tipo. Per spostamenti di pesi inferiori ai 3 kg non si applicano i criteri relativi alla movimentazione manuale carichi; in tale contesto vanno valutati altri rischi quali la stazione eretta, le posture incongrue, i ritmi lavorativi. Si precisa inoltre che, nella fase post-partum, alla ripresa dell’attività lavorativa, alla lavoratrice madre dovrà essere evitata la movimentazione manuale di carichi qualora l’indice di rischio (UNI ISO 11228-1) sia superiore o uguale a 1. |
Valutazione del rischio per la sicurezza e la salute delle lavoratrici. Esame DVR | L’art. 11 del D.Lgs. n. 151/2001 stabilisce che: “fermo quanto stabilito dall’art. 7, commi 1 e 2, il datore di lavoro, nell’ambito ed agli effetti della valutazione di cui all’art. 4, comma 1 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, valuta i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, in condizioni di lavoro di cui all’allegato C, nel rispetto delle linee direttrici elaborate dalla Commissione dell’Unione europea, individuando, le misure di prevenzione e protezione da adottare”.Le lavoratrici vanno informate che tutte le misure di tutela previste dal D.Lgs. n. 151/2001 saranno attivate solo dopo aver comunicato al datore di lavoro lo stato di gravidanza anche mediante la presentazione del certificato medico che lo attesta.La fase valutativa dovrà, pertanto, partire dall’esame dello stralcio del DVR esibito e dovrà necessariamente contemplare anche una valutazione oggettiva, volta per volta, afferente all’ambiente, all’orario di lavoro, alla mansione e allo svolgimento in concreto della prestazione lavorativa.Al fine di mettere in pratica tutte le misure necessarie ad evitare l’esposizione ai potenziali rischi della lavoratrice madre, il datore di lavoro dovrà attuare uno o più dei seguenti provvedimenti:modifica temporanea delle condizioni o dell’orario di lavoro;spostamento della lavoratrice ad altro reparto/mansione non pregiudizievole al suo stato;qualora non siano possibili le ipotesi di cui sopra, il datore di lavoro dovrà tempestivamente avanzare istanza di astensione ante partum/post partum, all’ITL competente per territorio, al fine di ottenere il conseguente provvedimento autorizzativo. |
Fase procedurale | Il termine di 7 giorni per l’adozione del provvedimento di interdizione inizia a decorrere dal giorno successivo a quello di ricezione della documentazione completa e, quindi, in presenza di una richiesta di integrazione, dal giorno successivo a quello in cui è pervenuta la documentazione integrativa.Qualora l’istanza pervenuta risulti carente dello stralcio del DVR, ovvero della dichiarazione del datore di lavoro oppure in caso di mancato riscontro alla richiesta dell’Ufficio, al fine di tutelare la lavoratrice madre in attesa dell’emanazione del provvedimento, l’Ufficio valuterà l’opportunità di attivare tempestivamente un accertamento in loco per verificare la sussistenza dei requisiti utili alla emanazione del provvedimento interdittivo. In extrema ratio potrà essere disposta un’attività ispettiva ad hoc previo coordinamento con la vigilanza tecnica.Nel caso in cui l’Ufficio ritenga di non dover accogliere la richiesta di interdizione ante o post-partum, comunicherà i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, ai sensi dell’art. 10-bis Legge n. 241/1990.Corre l’obbligo di precisare, altresì, che la comunicazione effettuata ai sensi dell’art. 10-bis della Legge n. 241/1990, stante il carattere endoprocedimentale, non può essere considerata atto immediatamente lesivo della sfera giuridica del destinatario e, pertanto, non è autonomamente né immediatamente impugnabile. Nei casi di rigetto dell’istanza, l’amministrazione è pertanto tenuta necessariamente ad adottare, a seguito della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, il provvedimento definitivo di diniego anche qualora non siano pervenute osservazioni a seguito della comunicazione ex art. 10-bis cit. dando conto delle motivazioni del mancato accoglimento delle osservazioni eventualmente presentate. L’art. 2 della Legge n. 241/1990 sancisce, infatti, l’obbligo di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso che, a norma del successivo art. 3, deve essere sempre motivato.Entro il termine di 10 giorni dal ricevimento della comunicazione dei motivi ostativi, la lavoratrice ha il diritto di presentare per iscritto le proprie osservazioni, eventualmente corredate da documenti; in caso di mancato accoglimento di tali osservazioni, l’Ufficio dovrà darne ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni.Viceversa, qualora le osservazioni della lavoratrice contengano elementi tali da poter essere considerati pregiudizievoli per lo stato della stessa, anche in questo caso l’Ufficio valuterà l’opportunità di attivare tempestivamente una specifica attività ispettiva al fine di verificare l’eventuale incompatibilità alla mansione e/o all’ambiente di lavoro per valutare l’emanazione del provvedimento conseguente.Gli strumenti di tutela amministrativa e giurisdizionale in favore della lavoratrice sono costituiti da:ricorso al titolare del potere sostitutivo in caso di inerzia;ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento di diniego che, tenuto conto dell’orientamento giurisprudenziale maggioritario, va proposto innanzi al Giudice del Lavoro in quanto il provvedimento ha ad oggetto la tutela di un diritto soggettivo della lavoratrice rispetto al quale l’Ispettorato è titolare di un potere vincolato finalizzato ad accertare meri dati fattuali così come individuati dalla legge. |
Postura eretta prolungata | L’Allegato A del D.Lgs. n. 151/2001 contiene l’elenco dei lavori faticosi, pericolosi e insalubri di cui all’art. 7 e, alla lett. g), individua tra gli stessi, quelli che comportano una stazione in piedi per più di metà dell’orario o che obbligano ad una posizione particolarmente affaticante, durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro.Per stazionamento eretto, devono intendersi non soltanto le ipotesi in cui la mansione della lavoratrice comporti in maniera continuativa la posizione eretta, ma anche le ipotesi in cui la lavoratrice possa deambulare.Si precisa, ad ogni buon fine, che l’astensione prevista dalla lettera G) dell’Allegato A del D.Lgs. n. 151/2001 termina allo scadere del congedo obbligatorio di maternità, non invece al compimento dei 7 mesi di vita del bambino; infatti, ogni qualvolta il legislatore abbia voluto riferirsi al prolungamento del congedo fino a sette mesi del figlio, lo ha fatto espressamente.Quanto al profilo della durata dello stazionamento in piedi “per più di metà dell’orario di lavoro” è doveroso precisare – come peraltro stabilito dalla circolare del Ministero del lavoro e delle Politiche sociali prot. n. 3719 del 27 novembre 1986 – che:la metà dell’orario di lavoro che non può essere superato con stazione in piedi da parte della gestante non coincide necessariamente con le quattro ore giornaliere, ma potrà essere di durata inferiore in rapporto all’orario effettivo normale giornaliero praticato. Evidenziando così che l’obiettivo della riduzione dell’orario di lavoro attualmente perseguito dalla contrattazione collettiva si riflette in una tutela più intensa; nel caso di contratti a tempo parziale in cui la riduzione della prestazione non sia giornaliera, ma comporti l’attività lavorativa per l’intero orario di lavoro giornaliero limitatamente ad alcuni giorni della settimana o per periodi più lunghi (part-time verticale) nei confronti delle lavoratrici gestanti dovrà trovare applicazione la disposizione in argomento, in quanto non vi è dubbio che nei loro riguardi sussistano le medesime esigenze della specifica tutela di cui si tratta, che si riscontrano per le lavoratrici impiegate a tempo pieno. |
Comparto scuola | Nel comparto scuola, con particolare riferimento alle insegnanti, si possono prospettare tre diverse situazioni in relazione all’assegnazione della lavoratrice ad asili nido, scuole dell’infanzia, scuola primaria o scuola secondaria.In particolare, a seconda dell’assegnazione, si prospettano diverse tipologie di rischi:1. per le educatrici di asili nido e insegnati di scuola dell’infanzia i principali rischi sono:sollevamento di bambini (movimentazione manuale dei carichi);stretto contatto e igiene personale dei bambini (rischio biologico/malattie esantematiche);posture incongrue e stazione eretta prolungata.Considerato quanto sopra, il periodo di astensione dovrà ricomprendere sia quello della gestazione che quello del puerperio fino a 7 mesi dopo il parto. 2. Per le insegnanti di scuola primaria il principale rischio è il rischio biologico (ad esempio malattie esantematiche, epidemia, etc.).In tale fattispecie il periodo di astensione dovrà ricomprendere tanto quello della gestazione che quello del puerperio fino ai 7 mesi dopo il parto ed anche in questo caso, l’Ufficio provvederà al rilascio del provvedimento di astensione senza alcuna ulteriore specifica valutazione.3. Per le insegnanti di scuola secondaria il principale rischio è la vicinanza ad alunni affetti da malattie nervose e mentali. In casi del genere, il periodo di astensione dovrà ricomprendere, ai sensi dell’Allegato A lettera l) D.Lgs. n. 151/2001, tanto quello della gestazione che quello del puerperio fino ai 7 mesi dopo il parto.Tuttavia, nel caso di specie è indispensabile accertare anche mediante una specifica dichiarazione che potrà essere richiesta al datore di lavoro, se la lavoratrice sia effettivamente esposta o meno al rischio e se questo possa definirsi effettivo.Quanto al personale di sostegno nelle scuole di ogni ordine e grado, docente e non, le condizioni da valutare sono:l’ausilio ad allievi non autosufficienti dal punto di vista motorio o con gravi disturbi comportamentali (possibili reazioni improvvise e violente); in tale ipotesi il periodo di astensione dovrà essere quello della gestazione e quello del puerperio fino a 7 mesi dopo il parto da valutare caso per caso;la movimentazione manuale disabili non autosufficiente (periodo di astensione gestazione e puerperio fino a 7 mesi dopo il parto in base alla valutazione dei rischi);il possibile stretto contatto con il disabile e conseguente esposizione ad agenti biologici rende possibile l’astensione sia durante la gestazione, in base alla valutazione dei rischi, che durante il puerperio fino a 7 mesi dopo il parto. |
Spostamento ad altra mansione | L’interpello prot. n. 6584 del 28 novembre 2006 del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha chiarito che lo spostamento ad altra mansione non va inteso in senso assoluto, cioè quando il datore di lavoro non ha alcuna mansione alternativa a cui adibire la lavoratrice, bensì in senso relativo, cioè quando la mansione alternativa astrattamente reperibile risulti in concreto onerosa per la lavoratrice e al contempo poco utile per l’organizzazione aziendale; infatti, a norma dell’art. 1175 c.c., è da ritenersi “inesigibile da parte del datore di lavoro una prestazione lavorativa tanto ridotta da diventare inutilmente gravosa per la lavoratrice, costretta ad affrontare il disagio di recarsi sul posto di lavoro, per restare oziosa o rendere una prestazione lavorativa di minima utilità per il datore di lavoro”.Inoltre, la nota Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali prot. n. 7553 del 2013 chiarisce “in linea di principio un potere “esclusivo” del datore di lavoro di valutare la fattibilità dello spostamento tenuto conto che egli è l’unico soggetto in grado di conoscere, in quanto da lui stesso definita in ragione del ruolo rivestito, l’effettiva organizzazione aziendale”.La valutazione circa la possibilità ovvero l’impossibilità di spostamento ad altre mansioni compete, in via esclusiva, al datore di lavoro, il quale deve tenere conto del fatto che l’eventuale mutamento di mansioni o l’adibizione a mansioni diverse, anche inferiori, garantisca l’efficienza dell’organizzazione aziendale e non comprometta le finalità economiche dell’azienda stessa. |
Riferimenti normativi:
- D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, artt. 6, 7 e 17
- INL, Nota 8 luglio 2025, n. 5944
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