1° Contenuto riservato: Salute e sicurezza e principio di effettività: la gestione dei PCTO e degli accessi di terzi

CIRCOLARE MONOGRAFICA

La logica della tutela prevenzionistica impone il superamento dell’elemento formale che caratterizza la prestazione

DI LORENZO FANTINI | 25 NOVEMBRE 2025

Il D.Lgs. n. 81/2008 contiene una definizione di “lavoratore” a fini di salute e sicurezza sul lavoro particolarmente ampia, la quale impone di tutelare chiunque svolga una attività lavorativa, indipendentemente dalla forma del contratto di lavoro, e dalla quale deriva anche la responsabilità di chi, garante della prevenzione in azienda, non abbia esercitato in modo corretto il proprio ruolo. A tale proposito, l’esempio forse più chiaro di come tale principio di debba concretizzare si può rinvenire nei programmi di alternanza tra scuola e lavoro (oggi definiti PCTO), i quali, per quanto finalizzati a porre gli studenti nelle condizioni di apprendere nozioni e competenze utili al lavoro, presuppongono la piena equiparazione tra le tutele garantite agli studenti e quelle che vanno assicurate ai lavoratori dipendenti, in quanto esposti ai medesimi rischi lavorativi.

Art. 2087 c.c. e sua operatività in materia di salute e sicurezza sul lavoro

La salute e sicurezza sul lavoro è obiettivo imprescindibile di qualunque organizzazione aziendale, in attuazione della Costituzione (si pensi agli articoli 132 e 41) e anche del principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile di cui all’articolo 2087 c.c. il quale prevede quanto segue: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. 

La norma appena citata impone al datore di lavoro di adeguarsi alla tecnologia e ai presidi antinfortunistici esistenti nel settore di attività al momento (c.d. “principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile”). Tra tali misure è del tutto pacifico siano comprese anche le misure organizzative e gestionali in generale (Cass. pen., sez. IV, 9 febbraio 2016, n. 12689; Cass. pen., sez. IV, 27 gennaio 2016, n. 3616; Cass. lav., 5 gennaio 2016, n. 34Cass. lav., 3 luglio 2008, n. 18376) e, ovviamente, quelle relative alla sicurezza degli ambienti di lavoro, soggetta peraltro a ben precise regole, in gran parte contenute nel D.Lgs. n. 81/2008.

Il problema: la gestione della tutela nei confronti di chi non è dipendente

Tanto premesso, una discussione abbastanza ricorrente in materia di salute e sicurezza sul lavoro è quella relativa alla possibilità che gli obblighi di tutela nei riguardi dei lavoratori trovino attuazione anche nei confronti di soggetti diversi dal “lavoratore”, che viene definito dall’articolo 2, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 81/2008 come segue: “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari”.

L’esempio dell’alternanza scuola lavoro

A tale proposito, un esempio significativo è quello degli strumenti normativi che prevedono e disciplinano la presenza di studenti (o persone che svolgono in azienda attività finalizzate ad acquisire competenze di tipo professionale) in azienda; tema di grande impatto prevenzionistico, solo che si consideri come il Rapporto annuale Inail 2025 (relativo all’anno 2024), presentato dal Presidente dell’Istituto lo scorso 3 luglio, riporta come nell’anno 2024 siano stati denunciati ben 78.000 denunce di infortunio sul lavoro per gli studenti, di cui 2100 nell’ambito dei Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO), denominazione attuale dell’alternanza scuola-lavoro.

A tale proposito va segnalato come la normativa di regolamentazione dell’alternanza scuola lavoro è stata per molto tempo di fatto priva di specificazioni rispetto alla tematica – evidentemente delicata – della protezione dello studente dagli infortuni sul lavoro, tanto che solo nel 2017, nell’ambito del decreto recante: “Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro” è stata inserita una disposizione (l’articolo 5) specificamente dedicata alla salute e sicurezza, che indica innanzitutto come va gestita la formazione prevedendo che: “Gli studenti impegnati nei percorsi in regime di alternanza ricevono preventivamente dall’istituzione scolastica una formazione generale in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro ai sensi dell’articolo 37, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modificazioni, come disciplinata dall’accordo previsto dall’articolo 37, comma 2, del medesimo decreto legislativo. Tale formazione è certificata e riconosciuta a tutti gli effetti ed è integrata con la formazione specifica che gli studenti ricevono all’ingresso nella struttura ospitante, fatta salva la possibilità di regolare, nella convenzione tra quest’ultima e l’istituzione scolastica, il soggetto a carico del quale gravano gli eventuali oneri conseguenti”. 

Il successivo comma 4 puntualizza chiaramente come gli studenti rendono una prestazione connotata da una “specifica finalità didattica e formativa”restando comunque “lavoratori” ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. n. 81/2008; di conseguenza, si prevede che sia presente un tutor aziendale specificando che il rapporto tra il tutor e i ragazzi non possa essere “superiore al rapporto di 5 a 1 per attività a rischio alto, (…) al rapporto di 8 a 1 per attività a rischio medio, (…)  al rapporto di 12 a 1 per attività a rischio basso”.

In tale contesto è indubbio – per quanto sul punto nemmeno l’articolo 5 del D.M. n. 195/2017 dica esplicitamente nulla – che, in quanto “lavoratori” in senso prevenzionistico, gli studenti che siano ospitati dall’azienda nell’ambito di programmi di alternanza scuola-lavoro (oggi definiti PCTO, acronimo di Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento) vadano “inseriti” nell’ambito della valutazione dei rischi e, di conseguenza, che ad essi vada garantita una tutela equivalente rispetto a quella che l’azienda assicura a qualunque altro “lavoratore” che svolga analoghe attività.

Soluzione pratica

Ne discende che l’accordo tra le parti ben potrà riservare alla scuola determinati costi di adempimenti obbligatori (ad esempio, la scuola potrebbe – come dovrebbe – accollarsi il costo dell’obbligo formativo in materia di salute e sicurezza sul lavoro)  ma l’azienda, in virtù del principio di effettività sopra esposto, sarà pur sempre – indipendentemente dall’esistenza di accordi in senso diverso tra le parti – destinataria per legge della efficacia di determinati adempimenti prevenzionistici, quali, ad esempio, la valutazione dei rischi “specifici” dell’azienda o, ancora, l’addestramento sul luogo di lavoro.

In un simile contesto sarà comunque compito dell’azienda ospitante verificare che l’eventuale adempimento da parte della scuola o di terzi (mi riferisco alla sorveglianza sanitaria fornita dalle ASL) sia tale da poter corrispondere al completo soddisfacimento di quel “debito di sicurezza” che comunque la normativa prevenzionistica pone a carico del datore di lavoro che ospita “lavoratori” (quand’anche essi siano studenti in alternanza scuola-lavoro).

Ultimi indirizzi legislativi

A conferma di quanto sin qui esposto si consideri che il recentissimo D.L. 31 ottobre 2025, n. 159, recante: “Misure urgenti per la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro e in materia di protezione civile” (in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 254, del 31 ottobre 2025) dedica l’articolo 7 proprio al rafforzamento delle tutele nell’alternanza tra scuola e lavoro statuendo che:

  1. che la tutela assicurativa (già introdotta dalla Legge 3 luglio 2023, n. 85si applica “anche ad eventuali infortuni occorsi nel tragitto dall’abitazione o altro domicilio dove si trovi lo studente al luogo dove si svolgono i percorsi di formazione scuola-lavoro e da quest’ultimo all’abitazione o domicilio dello studente”;
  2. che la Legge 30 dicembre 2018, n. 145, comprenda la seguente previsione“784 -novies. Al fine di garantire un ambiente di apprendimento sicuro e conforme agli obiettivi formativi previsti dai percorsi di formazione scuola-lavoro, finalizzati all’acquisizione di competenze trasversali tramite esperienze operative e in coerenza con la loro funzione prevalentemente orientativa, le convenzioni stipulate tra le istituzioni scolastiche e le imprese ospitanti non possono prevedere che gli studenti siano adibiti a lavorazioni ad elevato rischio, così come individuate nel documento di valutazione dei rischi dell’impresa ospitante.”.

Indicazione operativa: in caso di convenzione tra scuola e impresa occorre inserire nel testo la previsione di cui all’articolo appena citato.
Di conseguenza, l’impresa ospitante non potrà destinare gli studenti a lavorazioni che siano considerate nel Documento di Valutazione dei Rischi dell’azienda a rischio elevato; ciò fermo restando che nei riguardi degli studenti occorre verificare che siano state attuate le medesime misure di prevenzione e tutela che l’azienda applica nei confronti dei propri dipendenti, a partire dalla formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Valutazione dei rischi e tutela dei terzi

Va ricordato come al datore di lavoro – in quanto soggetto a ciò obbligato in modo indelegabile (come da previsione dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 81/2008) – spetta dare completa applicazione al noto principio di onnicomprensività della valutazione dei rischi che gli impone di analizzare la propria organizzazione e di individuare, rispetto ad essa, “tutti” i rischi, senza eccezioni, per la salute e sicurezza dei lavoratori (in questo senso espressamente statuisce il comma 1 dell’articolo 28 del D.Lgs. n. 81/2008).

La conseguenza di tale analisi non può che essere la identificazione e attuazione delle misure di prevenzione e protezione idonee a tutelare la salute e sicurezza dei lavoratori innanzitutto in relazione agli ambienti di lavoro che essi utilizzano. Al contempo, è chiaro che tali specifiche misure di tutela serviranno anche e tutelare chiunque, pur non come “lavoratore”, nel senso sopra citato, acceda ai locali aziendali a qualunque titolo che non sia lo svolgimento di una attività lavorativa (si pensi, ai parenti di un lavoratore che vengano a visitarlo al lavoro, ai possibili clienti dell’azienda o, ancora, agli utenti di un ufficio).

Dunque, la valutazione dei rischi relativa alle caratteristiche degli ambienti di lavoro, che poi si sostanzia nella identificazione ed attuazione in concreto di adeguate misure di tutela per chi utilizzi quegli ambienti, riguarda sia i lavoratori che i terzi, con la fondamentale differenza che nei confronti di questi ultimi il datore di lavoro non sarà tenuto all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione (formazione, informazione, addestramento, sorveglianza sanitaria…) che il “testo unico” riferisce ai lavoratori, quanto unicamente a garantire che essi non siano esposti a rischi legati alla mancanza di sicurezza dei locali e che abbiano avuto, sempre quando ciò risulti necessario (si pensi, ad esempio, all’accesso di un terzo in una area industriale a rischio rilevante) adeguate informazioni rispetto al loro utilizzo “in sicurezza”.

Responsabilità aziendale per danno a terzi: tre sentenze

Al riguardo, può essere utile considerare quanto argomentato dalla giurisprudenza, che da sempre rimarca come l’obbligo imprenditoriale – desumibile dall’articolo 2087 c.c. – di prediporre misure di tutela adeguate per i propri prestatori di lavoro possa avere una “ricaduta” (sicuramente a livello civilistico, con obbligo di risarcimento del danno in caso di constatata responsabilità per danno al terzo, ma anche penalistica, per lesioni o omicidio colposo) anche nei riguardi di chi abbia subito un infortunio a causa della mancanza delle condizioni di sicurezza dell’ambiente di lavoro.

Cass. pen., sez. IV, 21 luglio 2016, n. 31521, condanna penalmente (per lesioni) in via definitiva il direttore di un supermercato che non aveva provveduto a tenere asciutto il pavimento causando la caduta di un cliente. Al riguardo, la Suprema Corte argomenta come segue: “E’ incontestabile che il luogo ove è avvenuto l’infortunio è certamente un luogo di lavoro, oltre che, essere aperto al pubblico per le finalità commerciali cui è deputato. Orbene, ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza non potrà non far carico, a titolo di colpa specifica, ex art. 43 c.p. e, quindi, di circostanza aggravante ex art. 590 , comma 3, cod. pen. su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, poco importando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato, un soggetto a questi equiparato o una persona estranea all’ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale con l’accertata violazione. Infatti, anche i terzi, quando si trovino esposti ai pericoli derivanti da un’attività lavorativa da altri svolta nell’ambiente di lavoro, devono ritenersi destinatari delle misure di prevenzione. Sussiste, pertanto, un cosiddetto rischio aziendale connesso all’ambiente, che deve essere coperto da chi organizza il lavoro“.

Tale opzione interpretativa assume una connotazione davvero molto ampia nel caso considerato, qualche tempo fa, da Cass. pen., n. 8128/2009, relativo alla morte di un cliente di una discoteca causato da una rissa fuori dal locale, a seguito del cedimento di una staccionata. In tal caso è stato, infatti, argomentato che: “il luogo dove avvenne la caduta dei giovani era una pertinenza del locale e frequentato da un numeroso pubblico”, per cui: ”l’omessa predisposizione di una adeguata recinzione di per sè poneva in essere l’imputazione della responsabilità oggettiva in relazione al possibile verificarsi di un danno cagionato dalla cosa. L’omessa predisposizione di una misura di sicurezza ha reso inevitabile la caduta dei corpi, che altrimenti avrebbero trovato un adeguato riparo”.

Per ultima, si consideri Cass. pen., sez. IV, 30 ottobre 2019, n. 44142, su una vicenda che ha visto infortunato non un lavoratore ma il cliente, ancora una volta, di una discoteca il quale, a causa del pavimento scivoloso (anche per il consumo di alcolici nelle vicinanze del bancone del bar), era caduto all’interno del locale, provocandosi lesioni personali. Affrontando la questione se tale vicenda possa essere ricondotta, o meno, a un infortunio sul lavoro propriamente detto, la Corte di Cassazione evidenzia quanto segue: : “In tema di salute e sicurezza, le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa, di talché ove in tali luoghi si verifichino eventuali fatti lesivi a danno del terzo, è configurabile l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui agli artt. 589, comma secondo, e 590, comma 3, cod. pen., sempre che sussista tra siffatta violazione e l’evento dannoso un legame causale e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi (Sez. IV, n. 2343 del 27 novembre 2013, dep. 2014, S., Rv. 258436) e sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all’attività ed all’ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell’Infortunio non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi (Sez. 4, n. 23147 del 17 aprile 2012, De Lucchi, Rv. 253322)”.

Dunque, se i locali dell’azienda vengono utilizzati dai terzi (ammessi ad entrarvi) occorre predisporre, a partire dalla valutazione dei rischi, misure idonee ad evitare che essi subiscano danni in ragione delle condizioni degli ambienti di lavoro, che debbono essere conformi alle vigenti disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Tali misure, però, dipenderanno – quanto alla loro concreta individuazione – dalla circostanza che la persona sia o meno da considerarsi un “lavoratore”, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 81/2008 o, invece, un soggetto che a titolo diverso si trova nei luoghi di lavoro (ad esempio, un visitatore).

Soluzione pratica

  1. Se la persona chiamata a svolgere una attività (non importa se lavorativa o a contenuto “didattico”) nell’organizzazione dell’azienda si può ritenere un “lavoratore” in senso prevenzionistico, occorrerà garantire nei suoi confronti tutte le misure di tutela di cui al D.Lgs. n. 81/2008, anche se non si tratti di un dipendente (ad esempio, potrebbe essere un lavoratore a partita IVA che frequenti i locali dell’azienda in modo continuativo, con orari in sostanza equivalenti a quelli dei lavoratori dipendenti).
  2. Se la persona si trova in azienda per ragioni diverse da quelle lavorative (ad esempio, è un cliente in visita o un parente di un lavoratore o, ancora, un familiare di un lavoratore che partecipa ad una festa aziendale) va unicamente messa nelle condizioni di conoscere le informazioni necessarie all’eventuale emergenza (vie di fuga, esodo, istruzioni per la vie di fuga e passaggio ect.), in qualunque modo utile allo scopo (ad esempio, consegnando una informativa scritta in reception) con la precisazione che se l’inserimento avvenga in luoghi nei quali viene prevista l’applicazione di “particolare tutela” (ad esempio, la fornitura di Dispositivi di Protezione Individuale) essi andranno comunque garantiti anche nei confronti di questi “visitatori”, così come normalmente accade per i dipendenti.

Quanto qui esposto non troverà comunque applicazione quando si tratti di appalti che si svolgano in azienda, fattispecie nella quale gli obblighi da applicare saranno riferiti alle misure di tutela (tra le quali la redazione del Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali, c.d. DUVRI) descritte dall’articolo 26 del D.Lgs. n. 81/2008 o, se il lavoro da svolgere è edile o di ingegneria civile, dagli articoli 88 e seguenti del “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoo. 
Dunque, i lavoratori delle imprese “terze” che svolgano attività presso l’azienda (ad esempio, che stiano realizzando in loco la manutenzione degli ascensori, o stiano pulendo gli uffici o gestendo un servizio di mensa “interno” ad altra impresa) o i lavoratori autonomi che svolgano lavori o servizi in azienda (es.: un idraulico, in qualità di lavoratore autonomo) non dovranno essere considerati “lavoratori” o “visitatori” ma lavoratori di impresa terza o autonomi, con obblighi di tutela (valutazione dei rischi, formazione ect.) a carico dell’appaltatore o dell’autonomo e con l’obbligo di tutti i datori di lavoro (committente, appaltatore e subappaltatore) di applicare le misure di cooperazione e coordinamento in materia di appalti, come imposto dall’articolo 26, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2008.

Riferimenti normativi:

  • Codice civile, art. 2087
  • D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, artt. 2, comma 1, lettera a) e 26
  • D.L. 31 ottobre 2025, n. 159, art. 7

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