CIRCOLARE MONOGRAFICA
DI MATTIA MERATI | 5 NOVEMBRE 2025
Esenzione da ritenuta: requisiti e condizioni per poterne beneficiare
I pagamenti di interessi effettuati da soggetti residenti in Italia a favore di finanziatori esteri sono soggetti, in via ordinaria, a una ritenuta fiscale del 26%. Tuttavia, tale imposizione può essere eliminata ove ricorrano le condizioni per poter beneficiare dell’esenzione da ritenuta prevista dall’art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973.
Contesto di riferimento
Con l’obiettivo di favorire l’accesso delle imprese italiane anche a fonti di finanziamento estere a costi competitivi, eliminando il rischio di doppia imposizione degli interessi (il costo della ritenuta è, infatti, generalmente traslato economicamente sul debitore tramite apposite clausole contrattuali di “gross up”), il legislatore ha introdotto una misura volta a favorire l’accesso delle imprese italiane a fonti di finanziamento alternative estere. Si tratta dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte sugli interessi corrisposti su finanziamenti a medio-lungo termine, prevista dall’art. 26, comma 5-bis, del D.P.R. n. 600/1973, originariamente inserito tramite l’art. 22 del D.L. 24 giugno 2014, n. 91 e successivamente oggetto di modifiche.
La norma – art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973:
Ferme restando le disposizioni in tema di riserva di attività per l’erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, la ritenuta di cui al comma 5 non si applica agli interessi e altri proventi derivanti da finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese erogati da enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell’Unione europea, enti individuati all’articolo 2, paragrafo 5, numeri da 4) a 23), della direttiva 2013/36/UE, imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri dell’Unione europea o investitori istituzionali esteri, ancorché privi di soggettività tributaria, di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, soggetti a forme di vigilanza nei paesi esteri nei quali sono istituiti.
Obiettivo della norma
La finalità principale della disposizione è duplice:
- eliminare la doppia imposizione sugli interessi, che nella prassi viene spesso trasferita al debitore tramite clausole contrattuali di tipo “gross-up”.
- favorire l’accesso a capitali esteri a condizioni più vantaggiose, ampliando le possibilità di finanziamento per le imprese italiane.
Ambito di applicazione: quali condizioni?
In base alla normativa in commento, gli interessi e altri proventi derivanti da finanziamenti erogati da soggetti non residenti possono beneficiare dell’esenzione da ritenuta, a condizione che:
- si tratti di un finanziamentoamedio-lungotermine:
- il riferimento alla nozione di “finanziamento” deve essere inteso genericamente, e dunque applicato a prescindere dalla forma tecnica(mutuo, apertura di credito, cessione di crediti, etc.), mediante cui i fondi sono messi a disposizione del prenditore italiano;
- il riferimento a “medio e lungo” termine si deve intendere superiore 18 mesi e 2 giorni (per interpretazione sistematica con l’imposta sostitutiva sui finanziamenti di cui all’art. 15 del D.P.R. n. 601/1973);
Il regime di esenzione non si applica ai finanziamenti con durata inferiore o pari ai 18 mesi, anche nell’ipotesi in cui superino di fatto tale durata per effetto di una proroga del finanziamento (cfr. risoluzione n. 76 del 12 agosto 2019). Inoltre, particolare attenzione va posta alle clausole del contratto di finanziamento che prevedano la facoltà per il finanziatore di recedere unilateralmente (c.d. recesso “ad nutum”) prima della scadenza dei 18 mesi. Tali clausole, infatti, farebbero venir meno sin dall’origine la natura “medio-lunga” del finanziamento, requisito essenziale per beneficiare dell’esenzione prevista dalla normativa.
- il finanziamento sia erogato ad imprese: rientrano in tale categoria i soggetti che esercitano nel territorio dello Stato attività di impresa quali società ed enti commerciali e imprenditori individuali, residenti in Italia, nonché stabili organizzazioni in Italia di società ed enti non residenti, come individuati dall’art. 73, comma 1, lettere a) e b), del TUIR;
La definizione di cui sopra consente di includere nell’ambito di applicazione del regime in parola anche le “holding” che hanno per oggetto la gestione di partecipazioni (cfr. risoluzione n. 76/2019). Sono invece esclusi gli enti non commerciali, compresi gli OICR e gli altri soggetti non esercenti attività d’impresa di cui alla lett. c) dell’art. 73, comma 1 (cfr. Risposta ad interpello n. 98 del 5 aprile 2019).
- il soggetto finanziatore rientri in una delle categorie previste dalla norma, tra cui:
- enti creditizi stabiliti in Stati membri dell’Unione Europea (UE): il riferimento agli enti creditizi “stabiliti” nella UE consente l’applicazione del regime anche a finanziamenti erogati da stabili organizzazioni europee di enti creditizi extra UE;
Le banche del Regno Unito, in quanto soggetti extra-UE, non possono essere equiparate agli istituti bancari comunitari ai fini dell’esenzione dalla ritenuta sugli interessi, nemmeno in considerazione del Trade and Cooperation Agreement tra l’UE e il Regno Unito (cfr. Risposta ad interpello n. 839 del 21 dicembre 2021).
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- imprese assicurative costituite e autorizzate ai sensi delle normative dei Paesi membri della UE;
- investitori istituzionali esteri, anche se privi di soggettività tributaria, purché (i) siano costituiti in Paesi inclusi nella white list di cui al D.M. 4 settembre 1996 e (ii) siano soggetti a vigilanza regolamentare nel Paese estero in cui sono costituiti;
La definizione di “investitore istituzionale” include enti che, indipendentemente dalla loro veste giuridica e dal trattamento tributario cui sono assoggettati i relativi redditi nel Paese in cui sono costituiti, hanno come oggetto della propria attività l’effettuazione e la gestione di investimenti per conto proprio o di terzi (cfr. circolari del 1° marzo 2002, n. 23/E, anche richiamata dallarisoluzione, n. 76/2019 e dalle Risposte ad interpello n. 125 del 24 febbraio 2021 e n. 423 del 24 ottobre 2019). Inoltre, devono essere costituiti in Paesi “white-list” (di cui al D.M. 4 settembre 1996) e assoggettati a forme di vigilanza prudenziale. Il requisito della vigilanza può essere soddisfatto indifferentemente in capo all’investitore stesso o al soggetto incaricato della gestione dello stesso (tipicamente le management companies).
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- enti individuati all’art. 2, par. 5, nn. da 4) a 23), della Direttiva 2013/36/UE: si tratta, in generale, di enti UE (pur non qualificati come enti creditizi) che svolgono attività di promozione dello sviluppo (e.g., in Italia, l’esempio è quello della Cassa Depositi e Prestiti);
- il rispetto del requisito regolamentare della “riserva di attività” bancaria: con il D.L. 14 febbraio 2016, n. 18, è stato inoltre chiarito che tali soggetti esteri devono rispettare le regole previste dal Testo Unico Bancario (D.Lgs. 1° settembre 1996, n. 385 – “TUB”) in materia di riserva di attività, analogamente agli operatori italiani, per evitare distorsioni concorrenziali.
Tale riserva è espressamente riferita alla erogazione dei finanziamenti nei confronti del pubblico (art. 106, comma 3, TUB). Non configurano finanziamenti nei confronti del pubblico le attività esercitate verso società controllate, controllanti o collegate (ai sensi dell’art. 2359 c.c.), così come i finanziamenti erogati in via occasionale senza carattere di “professionalità” (cfr. risoluzione n. 76/2019 e Risposta ad interpello n. 125/2021).
Nel contesto dei finanziamenti transfrontalieri, è comune che l’investitore estero, specie quando è un investitore istituzionale, non eroghi direttamente le risorse al borrower italiano, ma lo faccia tramite strutture intermedie come holding o sub-holding. Questo porta alla creazione di schemi di finanziamento c.d. “a cascata”, generalmente motivati da ragioni organizzative o strategiche (es. gestione del rischio o vincoli regolamentari).
Negli ultimi anni, queste strutture hanno sollevato dubbi interpretativi sull’applicazione dell’esenzione prevista dall’art. 26, comma 5-bis, del D.P.R. n. 600/1973.
L’Agenzia delle Entrate, seguendo un approccio molto letterale, ritiene che l’esenzione dalla ritenuta sugli interessi non si applichi se il finanziamento è erogato da un soggetto “intermedio” (che non soddisfa i requisiti previsti dalla norma). Secondo questa interpretazione formalistica, i requisiti devono essere verificati solo sul soggetto che incassa materialmente gli interessi (il cosiddetto “primo prenditore”), escludendo la possibilità di considerare i beneficiari effettivi. Di conseguenza, in presenza di finanziamenti “a cascata”, l’impresa italiana deve applicare la ritenuta (cfr. ex multis, risoluzione n. 76/2019 e Risposte n. 98/2019, n. 423/2019, n. 125/2021, n. 569/2021 e n. 839/2021).
In passato, l’Amministrazione aveva mostrato apertura verso un approccio “look-through” (cfr. circolare n. 6/E del 30 marzo 2016), che consentiva di considerare il beneficiario effettivo del flusso finanziario. Tuttavia, questa impostazione è stata progressivamente abbandonata in favore di una lettura più rigida, che si concentra sul percettore diretto.
A cambiare questo scenario è intervenuta la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 4427 del 20 febbraio 2025, che potrebbe rappresentare un importante punto di svolta.
Il caso esaminato:
1. una società italiana riceve un finanziamento a medio-lungo termine dalla propria controllante lussemburghese, che non possiede i requisiti per l’esenzione;
2. tuttavia, le risorse provengono da un fondo d’investimento lussemburghese, socio unico della controllante, che rientra tra gli investitori istituzionali vigilati e quindi ammessi all’esenzione.
La Suprema Corte, confermando le decisioni delle corti di merito (CTP Milano n. 4708/18/2019 e CTR Lombardia n. 3324/2022), afferma che i requisiti soggettivi possono essere riferiti al beneficiario effettivo degli interessi, identificato tramite un approccio “look-through”. In pratica, è possibile superare il soggetto interposto se i flussi sono “indirettamente” destinati ad un’entità che, oltre a possedere i requisiti richiesti dalla norma, è il beneficiario effettivo del reddito stesso.
Questa posizione, discostandosi nettamente dall’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, apre nuove prospettive, potenzialmente favorevoli, tanto per gli operatori finanziari internazionali che per le imprese italiane coinvolte in operazioni di finanziamento.
Documentazione necessaria
Sebbene non esista una modulistica ufficiale dedicata, si ritiene non possa comunque essere utilizzata semplicemente la documentazione di cui al Modello B approvata con il Provvedimento n. 84404 del 10 luglio 2013 (“Provvedimento”), essendo specificamente riferita ai benefici convenzionali.
Nella prassi operativa, è comune ricorrere a uno schema di autocertificazione dedicato (c.d. Self Declaration), attraverso il quale il finanziatore estero dichiara di:
- possedere i requisiti soggettivi previsti dalla normativa (enti creditizi stabiliti nell’UE, compagnie assicurative costituite nell’UE, investitori istituzionali inclusi nella “white list” e soggetti vigilati, oppure enti indicati all’art. 2, par. 5, nn. 4-23 della Direttiva 2013/36/UE);
- rispettare, ove applicabile, le disposizioni italiane in materia di riserva dell’attività di concessione di finanziamenti al pubblico, come previsto dal TUB;
- avere diritto, ai sensi dell’art. 26, comma 5-bis, del D.P.R. n. 600/1973, a ricevere interessi di fonte italiana senza applicazione di ritenute fiscali, impegnandosi a comunicare tempestivamente qualsiasi variazione che possa incidere su tale condizione.
Riferimenti normativi:
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 26, comma 5-bis;
- Cass. civ., sent. 20 febbraio 2025, n. 4427.
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