1° Documento Riservato: Il nuovo corso dell’imposta di registro: art. 20 TUR, abuso del diritto e garanzie del contribuente

CIRCOLARE MONOGRAFICA

DI MATTEO RIZZARDI | 3 OTTOBRE 2025

Prevale natura giuridica dell’atto, limitato potere riqualificatorio del Fisco

La riforma dell’art. 20 TUR e le pronunce della Cassazione hanno chiarito che la cessione totalitaria di quote non può essere riqualificata come cessione d’azienda. Prevale la natura giuridica dell’atto, limitando il potere discrezionale del Fisco nella riqualificazione automatica degli atti.

Introduzione: il ripartito quadro fiscale tra imposizione diretta e indiretta

L’ordinamento tributario italiano si fonda su un dualismo impositivo che distingue tra imposte dirette (imposte sui redditi, come IRPEF, IRES, che colpiscono la manifestazione immediata della capacità contributiva) e imposte indirette (che colpiscono la capacità contributiva manifestata in via mediata, come gli scambi, i trasferimenti e i consumi). Tra le imposte indirette, l’imposta di registro (disciplinata dal D.P.R. n. 131/1986, TUR) assume un ruolo cruciale, applicandosi agli atti presentati alla registrazione.

Per lungo tempo, l’applicazione dell’imposta di registro, e in particolare la riqualificazione degli atti, è stata fonte di profonda incertezza, specialmente nel contesto delle operazioni straordinarie. Tra queste, sicuramente possiamo annoverare la cessione totalitaria di partecipazioni sociali, che l’Amministrazione finanziaria (A.d.E.) ha spesso riqualificato in cessione d’azienda. Tale riqualificazione aveva un impatto fiscale notevole, in quanto la cessione di partecipazioni è generalmente assoggettata a imposta di registro in misura fissa, mentre la cessione d’azienda sconta l’imposta in misura proporzionale.

Storicamente, l’Agenzia delle Entrate ha fondato questa prassi sul presupposto che la cessione dell’intero capitale di una società fosse espressione della medesima capacità contributiva della cessione d’azienda, e ha trovato fondamento nell’art. 20 del TUR (nella versione ante riforma 2018), che consentiva l’applicazione dell’imposta “secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.

La crisi del sostanzialismo economico e la riforma fiscale

La prassi riqualificatoria del Fisco, che valorizzava la “causa concreta” o la “sostanza economica” dell’operazione, anche ricorrendo a elementi extra-testuali o atti collegati, è stata oggetto di aspre critiche dottrinali e ha determinato un travagliato itergiurisprudenziale.

Il legislatore è intervenuto per porre fine a questa incertezza, in particolare con la Legge di Bilancio 2018 (Legge n. 205/2017) e la successiva Legge di Bilancio 2019 (Legge n. 145/2018), quest’ultima qualificando la modifica come interpretazione autentica (e quindi con efficacia retroattiva). Il novellato art. 20 TUR ha ristretto il canone interpretativo, stabilendo che:

L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati …”.

Questo intervento normativo ha rafforzato il principio della prevalenza della sostanza giuridica sulla sostanza economica ai fini dell’imposta di registro, escludendo che l’Amministrazione finanziaria possa assoggettare ad imposizione l’atto sulla base della “presunta sostanza economica” attribuita al comportamento negoziale delle parti.

La cessione totalitaria di quote nel diritto vivente: il caso di specie

L’orientamento espresso dalla riforma è stato recentemente e autorevolmente confermato dalla Corte Suprema di Cassazione, che ha dettato principi di diritto cruciali per l’operatività di commercialisti e giuristi. Tra i numerosi pronunciamenti, l’ordinanza n. 18374/2025 della Sezione Tributaria (relativa al ricorso proposto dal noto personaggio dello spettacolo Roberto Benigni) ha cassato la sentenza di appello che aveva respinto il ricorso del contribuente avverso un avviso di liquidazione per imposta di registro, basato sulla riqualificazione di una cessione di quote societarie in cessione aziendale.

La Suprema Corte, decidendo nel merito in favore del contribuente, ha ribadito l’assoluta diversità ontologica e giuridica delle due fattispecie:

“La cessione totalitaria di quote societarie (come nel caso in giudizio) è soggetta ad una disciplina codicistica difforme da quella che regola la cessione d’azienda, sotto il profilo sia del regime di responsabilità dei debiti, sia della continuazione della medesima attività imprenditoriale, il che osta alla possibilità di qualificare la cessione di quote quale cessione d’azienda, in mancanza di elementi intrinseci all’atto soggetto a registrazione da cui inferire una diversa volontà delle parti”.

Gli Ermellini hanno altresì specificato che l’imposta di registro si configura come un’imposta d’atto, la cui tassazione deve essere ricostruita esclusivamente dal contenuto dell’atto medesimo. Conseguentemente, la riqualificazione può avvenire solo considerando gli effetti giuridici, e non quelli meramente economici, dell’atto presentato alla registrazione.

La posizione della Cassazione si consolida con altre pronunce coeve (come la n. 7470/2024 e n. 7495/2024).

In particolare, è stato statuito che:

“Anche in caso di cessione totalitaria della partecipazione al capitale di una società di persone o di capitali, l’imposta di registro deve essere sempre liquidata in misura fissa, ai sensi dell’art. 11 della Tariffa, Parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, essendo preclusa all’Amministrazione finanziaria – in assenza di elementi extra-testuali o atti collegati – la riqualificazione della fattispecie nei termini di cessione indiretta di azienda …”.

Persino la presenza di clausole di garanzia (come la “clausola di indemnity” o la “clausola di price adjustment”) non è sufficiente a modificare l’oggetto o la causa contrattuale, e dunque non legittima la riqualificazione in cessione d’azienda.

Il rafforzamento delle garanzie del contribuente: l’Atto di indirizzo MEF

Il rigido limite imposto all’art. 20 TUR dall’evoluzione normativa e giurisprudenziale non annulla, tuttavia, la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di contrastare comportamenti potenzialmente elusivi o abusivi. Qualora si configuri un vantaggio fiscale non rilevabile tramite la mera interpretazione dell’atto (art. 20), l’Amministrazione può ricorrere alla disciplina generale sull’abuso del diritto (art. 10-bis, Legge n. 212/2000, Statuto dei diritti del contribuente).

L’Atto di indirizzo del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), protocollo Prot. 7 del 27 febbraio 2025, esamina proprio la disciplina dell’abuso del diritto e ne ribadisce le garanzie procedurali essenziali. Il MEF evidenzia come il legislatore, tramite l’art. 10-bis, abbia preordinato specifici presupposti costitutivi e procedurali (come il contraddittorio e la possibilità di interpello preventivo) per assicurare certezza e trasparenza.

L’Atto di indirizzo, in coerenza con la riforma dell’art. 20 TUR, limita fortemente il potere discrezionale del Fisco nella riqualificazione automatica degli atti:

  • L’abuso ed elusione esige altra verifica. Verificare il rispetto della ratio anche in relazione alle norme che, pur ponendo in risalto il principio di libertà di scelta sancito dal citato  comma 4 dell’art. 10-bis, è vero che la routine dell’Ufficio è che il vantaggio fiscale offerto dalla legge quello fiscalmente più favorevole, il metro di giudizio per verificare l’abusività delle scelte compiute non può più ricercarsi nella ratio del regime fiscale più oneroso che non sia stato adottato.
  • Questo significa che l’Amministrazione, nel voler contestare la scelta del contribuente (come la cessione totalitaria di partecipazioni anziché la cessione d’azienda), deve necessariamente percorrere la via dell’abuso del diritto (art. 10-bis), dimostrando la presenza di un vantaggio fiscale indebito e, soprattutto, l’assenza di ragioni economiche extrafiscali non marginali, superando la presunzione di “non abusività” che caratterizza le operazioni che non sono vietate espressamente.

L’intervento del MEF consolida l’indirizzo secondo cui la riqualificazione basata sulla sostanza economica non è più ammissibile nell’ambito dell’imposta di registro (art. 20) e, se contestata per abuso, deve seguire il rigoroso framework procedurale dello Statuto del contribuente.

Conclusioni e riflessioni prospettiche

L’Ordinanza della Cassazione n. 18374/2025 e le sentenze coeve (n. 7470/2024n. 7495/2024n. 7613/2024), unitamente alla riforma dell’art. 20 TUR e all’indirizzo espresso dal MEF, rappresentano un punto di svolta fondamentale per la certezza del diritto in materia tributaria.

Il principio riaffermato è che la tassazione di un atto deve basarsi sulla sua natura giuridica intrinseca e sui suoi effetti legali, come desumibili dal testo presentato alla registrazione. Si chiude così l’epoca del “sostanzialismo metagiuridico” che, pur nel tentativo di dare concretezza al principio della capacità contributiva (art. 53 Cost.), generava incertezza e alterava l’equilibrio tra i poteri nell’ordinamento.

Per giuristi e commercialisti, questo consolidamento giurisprudenziale impone di concentrare l’attenzione sulla rigorosa qualificazione civilistica degli atti e sulla documentazione degli effetti giuridici specifici, mantenendo ben distinti gli istituti (cessione di azienda vs cessione di quote, anche se totalitaria).

Tuttavia, l’attenzione deve rimanere alta anche sul fronte delle imposte dirette. Mentre per l’imposta di registro è stata affermata la supremazia della natura giuridica, resta ancora discusso se lo stesso canone interpretativo sia applicabile anche alle imposte sui redditi, in particolare per la qualificazione delle clausole di garanzia (indemnity o price adjustment). Un approccio difforme tra imposta indiretta e diretta potrebbe portare a una “disarmonia interpretativa”, in cui la medesima clausola è qualificata in modi diversi a seconda del tributo, se si cede alla tentazione di privilegiare la sostanza economica (rettifica-prezzo) sulla qualificazione civilistica (indennizzo risarcitorio). La strada tracciata dalla Cassazione, che impone di non confondere gli effetti giuridici con quelli economici, suggerisce che, in assenza di espressa deroga legislativa (come nel caso della derivazione rafforzata esclusa per la cessione di partecipazioni), la coerenza e la certezza esigono che si privilegi la qualificazione giuridica adottata.

In definitiva, la Cassazione ha posto un baluardo contro l’interpretazione meramente economica nell’ambito della fiscalità indiretta, ripristinando la centralità della forma giuridica come elemento di riferimento per la tassazione, limitando l’intervento correttivo del Fisco ai soli casi di abuso del diritto, garantendo così piena applicazione dello Statuto del Contribuente.

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