1° Documento Riservato: La nuova responsabilità dei sindaci ai sensi del novellato art. 2407 c.c. Efficacia e criticità

COMMENTO

DI ROBERTA PROVASI | 5 SETTEMBRE 2025

Novità e criticità della riforma della responsabilità dei componenti del collegio sindacale delle società di capitali: responsabilità sindaci, tetto risarcitorio e prescrizione quinquennale

Lo scorso 12 marzo 2025, è stato approvato in via definitiva il Disegno di legge n. 1155 di modifica all’art. 2407 c.c. in materia di responsabilità dei componenti del collegio sindacale delle società di capitali. In particolare, l’intervento riformatore si è concretizzato nella previsione di una limitazione alla responsabilità dei sindaci al di fuori dei casi di condotta dolosa di quest’ultimi e nell’introduzione di un termine di prescrizione unico di cinque anni. La Legge n. 35 del 14 marzo 2025, che incorpora le sopra menzionate modifiche, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 73 del 28 marzo 2025 ed è efficace dal 12 aprile 2025. Tale rilevante riforma sta impattando in modo significativo sia sul piano civilistico che su quello penalistico alimentando in tal modo un ampio dibattito dottrinale.

Introduzione. Le novità introdotte dal novellato art. 2407 c.c.

La Legge 14 marzo 2025, n. 35 entrata in vigore il 12 aprile 2025 ha inciso in modo significativo sulla disciplina della responsabilità civile del collegio sindacale, apportando alcune modifiche all’art. 2407 c.c.

Attraverso questa riforma il legislatore è intervenuto sulla disciplina della responsabilità dei sindaci mantenendo immutata la previsione di cui al comma 1 dell’art. 2407 c.c. che stabilisce una responsabilità diretta ed “esclusiva” al verificarsi di situazioni in cui il sindaco omette di adempiere ai propri doveri con la professionalità e la diligenza che gli sono richieste dalla natura dell’incarico, nell’ipotesi in cui viola il dovere di verità delle attestazioni rese nel proprio incarico o, infine, in caso di violazione del dovere di conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui è venuto a conoscenza per via dell’incarico stesso.

Al contrario, è stato modificato il comma 2, prevedendo una disciplina che si applica in modo uniforme per tutte le azioni di responsabilità esercitabili avverso i sindaci secondo quanto consentito dall’ordinamento vigente – ossia, azione sociale di responsabilità, azione avviata dai creditori sociali e azione esperita dai soggetti terzi che eccepiscano di avere subito un danno e di averne titolo – e definendo, sotto il profilo quantitativo, un sistema di perimetrazione della responsabilità del sindaco ancorato ad un importo massimo corrispondente al risultato pari al prodotto di un multiplo applicato al compenso percepito dal sindaco per lo svolgimento dell’incarico.

Art. 2407 – Versione precedenteArt. 2407 – Nuova versione
Art. 2407 – Responsabilità.1. I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.2. Essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.Art. 2407 – Responsabilità.1. I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.2. Al di fuori delle ipotesi in cui hanno agito con dolo, anche nei casi in cui la revisione legale è esercitata dal collegio sindacale a norma dell’articolo 2409-bis, secondo comma, i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l’incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito, secondo i seguenti scaglioni: per i compensi fino a 10.000 euro, quindici volte il compenso; per i compensi da 10.000 a 50.000 euro, dodici volte il compenso; per i compensi maggiori di 50.000 euro, dieci volte il compenso.3. All’azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 23932393-bis23942394-bis e 2395.4. L’azione di responsabilità verso i sindaci si prescrive nel termine di cinque anni dal deposito della relazione di cui all’articolo 2429 concernente l’esercizio in cui si è verificato il danno.

La riforma dell’art. 2407 del codice civile si applica a tutti i sindaci nominati negli organi di controllo delle società di capitali, incluse s.p.a., s.a.p.a., s.r.l. e società cooperative.

La limitazione della responsabilità riguarda sia i sindaci unici sia i componenti dei collegi sindacali, indipendentemente dal fatto che svolgano anche la funzione di revisione legale dei conti ai sensi dell’art. 2409-bis, comma 2, del codice civile.

Tuttavia, la nuova disciplina non si estende ai revisori legali tout court, come ad esempio i revisori delle s.r.l. nominati ai sensi dell’art. 2477 c.c., i quali restano soggetti al regime di responsabilità previgente. Aspetto non gradito a molti professionisti, che hanno avanzato richiesta di estensione della norma anche ai revisori legali, tema che potrebbe essere affrontato in futuri interventi normativi.

La novità più rilevante della riforma dell’art. 2407 del codice civile è l’introduzione di un tetto massimo alla responsabilità patrimoniale di ciascun membro del collegio sindacale.

Il nuovo comma 2 dell’art. 2407 stabilisce che, nei casi di colpa (e non di dolo), la responsabilità dei sindaci è limitata a un multiplo del compenso annuo percepito, secondo il seguente schema:

Per compensi fino a 10.000 euro annui → responsabilità massima pari a 15 volte il compenso.
Per compensi tra 10.000 e 50.000 euro → responsabilità massima pari a 12 volte il compenso.
Per compensi superiori a 50.000 euro → responsabilità massima pari a 10 volte il compenso.

La nuova disciplina si basa su un principio di proporzionalità, stabilendo che l’ammontare del risarcimento non possa superare un multiplo del compenso annuo percepito dal sindaco. Questa limitazione si applica esclusivamente ai casi di colpa (negligenza, imprudenza o imperizia), mentre in presenza di dolo la responsabilità resta illimitata.

In tal modo il legislatore ha voluto riequilibrare la responsabilità dei sindaci rispetto a quella degli amministratori, evitando che i primi, pur avendo un ruolo di vigilanza, siano esposti a richieste risarcitorie sproporzionate e simili a quelle di chi ha direttamente gestito la società.

La limitazione della responsabilità si applica a tutte le azioni di responsabilità previste dal codice civile, tra cui:

Azione sociale di responsabilità (artt. 2393 e 2393-bis c.c.), intentata dalla società stessa o dai soci.
Azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.), per danni subiti dai creditori a causa di violazioni del dovere di vigilanza.
Azione dei soci o dei terzi (art. 2395 c.c.), per danni subiti individualmente a causa di informazioni false o ingannevoli.
Azione del curatore (art. 255 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), in caso di fallimento o liquidazione giudiziale.

Tali limitazioni di responsabilità sono finalizzate a garantire lo svolgimento dell’effettivo ruolo di vigilanza dei sindaci, senza di fatti compromettere la tutela degli interessi della società, dei soci e dei creditori.

A tal fine, infatti, la novità normativa non opera nei casi in cui il sindaco abbia agito con dolo, ovvero con intenzionale violazione dei propri doveri. In tali circostanze, il sindaco resta soggetto alla responsabilità illimitata, rispondendo per l’intero danno cagionato.

Un altro punto cardine della riforma riguarda la modifica del termine di prescrizione per l’azione di responsabilità nei confronti dei sindaci. L’art. 2407, nuovo comma 4, del codice civile introduce un limite temporale di cinque anni entro il quale è possibile esercitare un’azione risarcitoria per eventuali violazioni commesse dai membri del collegio sindacale. La prescrizione quinquennale decorre dal deposito della relazione dei sindaci allegata al bilancio dell’esercizio in cui si è verificato il danno. Questo intervento allinea i tempi di prescrizione di sindaci e revisori contabili, eliminando le precedenti disparità, che prevedevano termini variabili fino a dieci anni a seconda della tipologia di azione esercitata.

L’obiettivo della riforma è garantire certezza giuridica e stabilità nel tempo, evitando che i sindaci possano essere chiamati a rispondere per fatti accaduti molti anni prima, con il rischio di azioni risarcitorie tardive e poco fondate. Tuttavia, resta aperta la questione interpretativa su quale sia il deposito rilevante ai fini della decorrenza della prescrizione: se quello presso il registro delle imprese (art. 2435 c.c.) o quello nella sede della società (art. 2429, comma 3, c.c.).

Gli aspetti critici della riforma

Sono molte le novità contenute nel nuovo art. 2407 c.c. che fin da subito hanno alimentato il dibattito fra molti giuristi e professionisti, fra cui le principali:

Tetto risarcitorio e asimmetrie normative

La legge prevede un tetto risarcitorio solo per i sindaci, escludendo figure come revisori legali, membri del consiglio di sorveglianza (modello dualistico) e del comitato di controllo interno (modello monistico). Questa disparità di trattamento solleva interrogativi sulla coerenza del sistema di controllo societario, tale esclusione risulterebbe tanto più rilevante perché le funzioni svolte dai citati soggetti sono spesso analoghe, creando una disparità di trattamento non giustificata da ragioni sistemiche.

In particolare, Assonime nella circolare n. 18/2025 interviene in modo critico sull’impianto normativo dell’art. 2407 c.c. Secondo l’Associazione, “la nuova disciplina sulla responsabilità civile dei sindaci nel modello tradizionale viene … ridisegnata a salvaguardia di una categoria di soggetti a scapito di una visione sistematica della materia, sollevando questioni di opportunità e, per alcuni commentatori, di costituzionalità delle norme”.

Tale rilievo vale, in primo luogo, con riguardo al soggetto incaricato di svolgere la mera funzione di revisore legale (questione che potrebbe essere risolta qualora dovesse essere approvato il Ddl n. 1426 volto ad applicare anche ai revisori legali un regime di limitazione della responsabilità fondata su un multiplo del compenso).

Analoghi disallineamenti sono da registrare rispetto alla responsabilità prevista per i consiglieri di amministrazione non esecutivi, così come, nei modelli alternativi di governance, per i componenti degli organi che si caratterizzano per lo svolgimento di funzioni di controllo, ossia: i componenti del consiglio di sorveglianza (nel sistema dualistico) e quelli del comitato per il controllo interno (nel sistema monistico). Rispetto a questi soggetti, infatti, nulla è precisato dalla nuova disciplina, con la conseguenza che essi continuano a rispondere illimitatamente, ingenerando non solo una questione di ragionevolezza, ma anche un problema di concorrenza tra i modelli sotto il profilo delle regole di responsabilità, che si attenuano solo nel contesto del modello tradizionale.

In particolare, va sottolineato il caso in cui al collegio sindacale siano affidate anche le funzioni dell’organismo di vigilanza (OdV) ex D.Lgs. n. 231/2001 il regime di cui all’art. 2407 c.c. possa trovare applicazione quando l’attività di ODV si incroci con quella del collegio sindacale. A tal riguardo si prende in considerazione l’ipotesi in cui il collegio sindacale-OdV, nella sua attività di verifica dell’idoneità del modello organizzativo ai fini della prevenzione di reati, riscontri un’insufficienza del suddetto modello. Poiché il modello organizzativo è parte del sistema di controllo interno e il collegio sindacale è chiamato anche a vigilare sull’idoneità dell’assetto organizzativo, la non idoneità dello stesso dovrebbe comportare l’obbligo del collegio sindacale di attivare le misure di reazione/intervento di cui dispone (in questo caso una segnalazione al CdA); di contro, la mancata adozione delle suddette misure potrebbe determinare una responsabilità limitata.

Prescrizione

La riforma ha uniformato a 5 anni il termine di prescrizione per l’azione di responsabilità, decorrente dal deposito della relazione del collegio sindacale.

Tuttavia, la questione della retroattività della norma, ovvero se si applichi anche a violazioni commesse prima della sua entrata in vigore, rimane aperta.

In particolare, al riguardo va anche sottolineata la poca chiarezza in merito al momento del deposito della stessa relazione. Si osserva come per “deposito” si dovrebbe intendere quello presso il registro delle imprese ex art. 2435, comma 1, c.c. (e non quello presso la sede della società ex art. 2429, comma 3, c.c.), in quanto momento in cui la relazione è resa disponibile al pubblico divenendo conoscibile dai terzi (soluzione che, comunque, non è ritenuta coerente con il principio giurisprudenziale secondo cui il termine di prescrizione del diritto al risarcimento danni decorre dal momento in cui il danneggiato abbia potuto avere ragionevole percezione della condotta illecita e del danno).

Responsabilità penale

Come noto, la riforma incide sulla responsabilità civile per danni, introducendo limitazioni per le ipotesi colpose, viceversa la responsabilità penale dei sindaci non sembrerebbe essere influenzata da tale intervento. Invero, i sindaci possono essere chiamati a rispondere penalmente per una serie di reati qualora le loro condotte – siano esse commissive o omissive – integrino gli elementi costitutivi di fattispecie delittuose dolose. Infatti, la nuova disposizione ha lasciato inalterato il paradigma che identifica contenuto e perimetro dell’agire doveroso dei sindaci, secondo cui: “i sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio” (art. 2407, comma 1, c.c.).

Non vi è dubbio che la riforma potrebbe avere implicazioni anche sulla responsabilità penale dei sindaci, in particolare per quanto riguarda l’art. 40 del codice penale, che riguarda l’omissione di atti dovuti.

Il venir meno della disposizione di cui al comma 2 che sanciva una responsabilità in solido dei sindaci con gli amministratori “per i fatti o le omissioni degli amministratori, quando il danno non si sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro carica”, cambia l’assetto della disciplina civilistica sulla responsabilità sindacale.

La questione al momento dibattuta è se tali nuove limitazioni delle ipotesi di risarcibilità civile in capo ai sindaci possano incidere in qualche modo anche sul versante penalistico, essendo i due piani strettamente connessi tra loro.

È consolidato in dottrina e in giurisprudenza che la responsabilità penale dei sindaci per omesso impedimento del reato altrui derivi in modo indiretto dal nucleo di poteri e doveri previsti dal codice civile che assolvono il ruolo chiave dell’obbligo giuridico formale di impedire l’evento criminoso, definendone la portata e i limiti della posizione di garanzia.

Nelle varie pronunce di merito e di legittimità, sovente la giurisprudenza ha fatto ricorso a criteri presuntivi e schemi imputativi in cui si riconosceva una responsabilità penale omissiva e concorsuale dei membri del collegio sindacale per i fatti commessi dagli amministratori sulla base del combinato disposto dell’art. 2403 c.c. – da cui originerebbe un generale dovere di vigilanza e controllo sui principi di corretta amministrazione – e degli artt. 40 cpv. c.p. e 2407, comma 2, c.c. I possibili effetti e le ricadute applicative che l’abrogazione del comma 2 dell’art. 2407 c.c. potrebbe produrre sul piano penalistico trovano la loro ragion d’essere nel fatto che tale previsione ha per lungo tempo costituito sul piano giudiziario lo strumento interpretativo privilegiato mediante il quale la giurisprudenza, appoggiata da parte della dottrina, ha ricostruito la posizione di garanzia in capo a ciascun sindaco, attribuendo a questi ultimi poteri impeditivi e doveri di agire al pari di quelli riconosciuti in capo agli amministratori non esecutivi.

Compenso percepito o pattuito?

Il problema attiene all’infelice espressione utilizzata dal legislatore per parametrare la responsabilità al compenso del sindaco.

Il comma 2 del nuovo art. 2407 c.c. stabilisce infatti che:

“i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l’incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito”.

È evidente che ciò che rileva, ai fini dell’individuazione della soglia di responsabilità, non è il compenso percepito, bensì il compenso pattuito, anche se non effettivamente incassato.

La responsabilità è indipendente dalla percezione o meno del compenso, la quale rileva solo come ammontare ai fini dell’individuazione dello scaglione e del tetto massimo. Appare dunque senz’altro preferibile leggere il vocabolo “percepito” nel senso di “deliberato dall’assemblea” (o, a seconda dei casi, “stabilito nello statuto”)

Efficacia della norma

Da ultimo assume senz’altro un rilievo centrale il tema dell’efficacia della nuova norma nel tempo, atteso che nessuna norma transitoria è stata prevista dal legislatore.

È noto che la legge civile non dispone che per l’avvenire e dunque, salva espressa deroga, non ha efficacia retroattiva. Sebbene il principio sia chiaro, non è immediato comprendere in quali casi si possa in concreto ravvisare un’ipotesi di applicazione retroattiva di una norma.

In altri termini, nel caso di specie, ci si domanda se sia consentita o se, comportando profili di retroattività della disciplina, sia esclusa l’applicazione della nuova norma nei processi instaurati dopo la sua entrata in vigore ma riguardanti fatti verificatisi prima, o finanche in procedimenti già pendenti all’entrata in vigore della novella.

Le sentenze dei tribunali

A parziale superamento delle criticità connesse alle novità previste dalla riforma, le disposizioni delle prime sentenze dei tribunali.

Il primo ad esprimersi in merito è stato il Tribunale di Bari con l’ordinanza n. 1981 del 24 aprile 2025, che ancorché afferente ad un procedimento cautelare di sequestro conservativo (artt. 2905 c.c. e 671 c.p.c., ha trattato diffusamente il tema della retroattività/irretroattività della novella legislativa in punto di prescrizione e tetto risarcitorio. Si tratta della prima pronuncia in tema di responsabilità dei sindaci dopo l’entrata in vigore della Legge n. 35/2025. Con l’ordinanza n. 1981 del 24 aprile 2025, il Tribunale di Bari ha affrontato una questione interpretativa di primaria rilevanza circa l’applicabilità temporale del novellato art. 2407 c.c., come modificato dalla Legge n. 35/2025, stabilendo che i nuovi parametri limitativi della responsabilità dei componenti del collegio sindacale trovano applicazione anche ai fatti anteriori all’entrata in vigore della riforma, avvenuta il 12 aprile 2025. Il Tribunale ha dovuto confrontarsi con l’assenza di una disposizione transitoria esplicita nella Legge n. 35/2025 relativamente all’applicazione dei nuovi limiti di responsabilità dei sindaci. La soluzione interpretativa adottata si fonda sulla qualificazione della norma come disposizione “lato sensu procedimentale”, in quanto essa si limiterebbe a fornire al giudice un criterio di quantificazione del danno, senza incidere sulla sussistenza del diritto sostanziale al risarcimento. Inoltre, nell’affrontare la questione della base di calcolo per l’applicazione del moltiplicatore, il Tribunale ha aderito all’orientamento dottrinale prevalente, interpretando il “compenso annuo percepito” come il compenso effettivamente riconosciuto al sindaco, corrispondente all’importo netto deliberato dall’assemblea ex art. 2402 c.c.

Di questo avviso anche il Tribunale di Palermo con una recente sentenza del 4 luglio 2025, secondo cui: “La novella normativa introdotta dalla Legge n. 35/2025 (che ha modificato l’art. 2407 c.c. prevedendo che il termine quinquennale di prescrizione dell’azione di responsabilità nei confronti dei sindaci inizi a decorrere dal deposito della relazione dei sindaci ex art. 2429 c.c., allegata al bilancio dell’esercizio in cui si è verificato il danno) si applica alle sole condotte successive alla sua entrata in vigore e, quindi, a partire dai bilanci dell’esercizio 2024, trattandosi di disposizione che disciplina un istituto di diritto sostanziale e per la quale non è stata prevista dal legislatore alcuna disposizione che ne preveda l’applicabilità̀ ai giudizi pendenti, cioè alle condotte anteriori all’entrata in vigore della riforma, sicché la retroattività̀ va esclusa in ragione della previsione di cui all’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale. In ogni caso la nuova disciplina relativa al termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno nei confronti dei sindaci di cui al quarto comma dell’art. 2407 c.c., introdotto dalla Legge n. 35/2025, riguarda la sola azione sociale di responsabilità, e non anche l’azione risarcitoria per i danni subiti dai soci e dai terzi, per i quali la decorrenza della prescrizione va fatta pur sempre risalire al momento della possibilità per i terzi di percepire il danno”.

In questa direzione si è collocato anche il Tribunale di Venezia con la sentenza dell’11 giugno 2025 che ha dichiarato la natura irretroattiva della nuova disciplina sulla prescrizione, stante la natura sostanziale.

Da ultimo il Tribunale di Roma, nell’ordinanza del 19 giugno 2025, ha stabilito che i limiti al risarcimento dei danni imputati ai sindaci – come sanciti dal nuovo comma 2 dell’art. 2407 c.c. – non possono essere applicati alle condotte omissive poste in essere anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina (12 aprile 2025) e in relazione alle quali sia pendente un giudizio di responsabilità.

La riforma del comma 2 dell’art. 2407 c.c., infatti, a differenza di quanto avvenuto con l’inserimento dell’art. 2486, comma 3, c.c., ha natura prettamente sostanziale, introducendo non un diverso criterio di liquidazione del danno, equitativo ed alternativo rispetto a quello puntuale (come accaduto, appunto, con quest’ultimo articolo), quanto una vera e propria limitazione, sul piano quantitativo, del diritto stesso vantato nei confronti del sindaco che sia colposamente venuto meno ai doveri dei quali era gravato. Si tratta pertanto della stessa soluzione che già sostenuta dal Tribunale di Venezia (sentenza dell’11 giugno 2025), contrariamente a quanto sentenziato sia dal Tribunale di Bari (ordinanza del 24 aprile 2025) che dal Tribunale di Palermo (ordinanza del 20 giugno 2025) hanno optato per l’applicazione retroattiva dei nuovi tetti al risarcimento dei danni.

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