CIRCOLARE MONOGRAFICA
DI MASSIMILIANO TASINI | 25 SETTEMBRE 2025
Disamina sul “perimetro” di applicabilità della nuova causa di non punibilità introdotta dall’art. 13, comma 3-bis, D.Lgs. n. 74/2000
Con l’introduzione del comma 3-bis all’art. 13 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, viene prevista una nuova causa di non punibilità se il fatto dipende da cause, sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto, non imputabili all’autore.
Premessa
L’art. 9 della Legge 25 giugno 1999, n. 205 ha delegato il Governo ad emanare un Decreto legislativo recante la nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, sulla base dei principi e dei criteri direttivi stabiliti dal medesimo articolo.
Tale Legge ha determinato il superamento delle previsioni in precedenza racchiuse nella Legge 7 agosto 1982, n. 516.
Nella sua versione originaria, i reati contemplati dal Decreto n. 74/2020 erano quelli dell’art. 2 (“frode maggiore”), 3 (“frode minore”), 4 (infedele dichiarazione), 5 (omessa dichiarazione), 8 (emissione di fatture per operazioni inesistenti), 10 (occultamento e distruzione di documenti contabili) e 11 (sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte).
Degli omessi versamenti non v’era traccia.
La Relazione Illustrativa sul punto osservava:
“Giova al riguardo premettere e sottolineare che, nella cornice del nuovo sistema, il mero inadempimento dell’obbligazione pecuniaria avente ad oggetto l’imposta ed i relativi accessori – una volta che il contribuente abbia compiutamente e correttamente assolto il dovere di dichiarazione – non assume in alcun caso rilevanza penale. Scompare, così, in particolare, il delitto di omesso versamento delle ritenute da parte del sostituto d’imposta, previsto dall’art. 2 del Decreto Legge n. 429 del 1982: figura criminosa che, più di altre, è stata al centro di vivaci polemiche, anche a fronte dell’abnorme numero di procedimenti penali cui essa, specie nella versione d’origine (anteriore, cioè, alla modifica operata dall’art. 3 del Decreto Legge 16 marzo 1991, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 15 maggio 1991, n. 154), aveva dato esca”.
E ancora:
“Lo schema di Decreto è completato da norme transitorie volte a dare compiuta risposta ai delicati problemi connessi alla successione di leggi penali nel tempo. Giova al riguardo osservare come, a seguito della abolizione del principio di ultrattività delle norme penali finanziarie(art. 20 della Legge n. 4 del 1929) … la sorte dei fatti criminosi commessi anteriormente all’entrata in vigore del presente Decreto dovrebbe essere stabilita alla stregua delle regole generali dettate dall’art. 2 del codice penale. La diversità strutturale tra il vecchio ed il nuovo regime renderebbe peraltro malcerta l’applicazione di tali regole, determinando l’insorgenza di questioni ermeneutiche particolarmente complesse, destinate ad appesantire, per i loro riflessi sul piano giudiziario, la fase di passaggio dall’uno all’altro sistema. Accanto, infatti, ad ipotesi criminose che non trovano più riscontro nel rinnovato panorama normativo, e rispetto alle quali il presente Decreto realizza senz’altro una vicenda di abolitio criminis (omessa fatturazione o registrazione di corrispettivi, irregolarità concernenti le scritture contabili, omesso versamento di ritenute, violazioni concernenti gli stampati, eccetera), ve ne sono per converso altre che presentano più o meno marcati tratti comuni con le fattispecie delittuose di nuovo conio …”.
Le idee sembravano chiare, e d’altra parte vi era la necessità di evitare di ingolfare i Tribunali con controversie inutili.
Ma l’Italia, si sa, è per sua natura borbonica.
Nasce dapprima l’art. 10-bis, che colpisce l’omesso versamento di ritenute, introdotto dalla Legge n. 311/2004 con decorrenza 2005, disposizione modificata “solo” tre volte.
Sembrava poco. Allora, si è pensato di andare oltre alla Legge n. 516/1982, perché le ritenute fiscali non bastavano, e così introdurre anche l’art. 10 ter, che colpisce l’omesso versamento di IVA, la cui “creazione” era evidentemente urgentissima, tanto da essere figlio di un Decreto Legge (precisamente l’art. 35 del famoso Decreto “Prodi”, ovvero D.L. n. 223 del 4 luglio 2006). Anche questo modificato “solo” tre volte.
Infine, l’art. 10-quater, pure figlio del citato art. 35 del D.L. n. 223/2006, che colpisce la indebita compensazione, nella duplice accezione di crediti non spettanti ed inesistenti. Tutto in un unico, confuso ed indistinto, comma, che operava un rinvio, nei limiti “ivi previsti” (…), all’art. 10 bis, una vera perla giuridica. Anche questa disposizione è stata modificata ben tre volte, e nella sua attuale versione disciplina, come ben noto, in modo distinto, le due fattispecie di indebita compensazione ora con crediti non spettanti, or’altra inesistenti.
Giurisprudenza costituzionale e di Cassazione
Da che il D.Lgs. n. 74/2000 è entrato in vigore, registriamo 16 interventi, di cui 14 ad opera del Legislatore, una media apprezzabile, e 2 della Corte Costituzionale, guarda caso entrambi relativi alle disposizioni sugli omessi versamenti: precisamente, mi riferisco alla sentenza 7 aprile 2014, n. 80, pubblicata in Gazzetta ufficiale il successivo 16 aprile, con cui è stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 10-ter, nonché alla sentenza 14 luglio 2022, n. 175, pubblicata il successivo 20 luglio, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-bis, comma 1 e rubrica.
I problemi che si annidano dietro a queste disposizioni, nonché a quelle corrispondenti dettate in ambito sanzionatorio amministrativo, pur incise dalla Corte Costituzionale, sono sotto gli occhi di noi tutti. Basterà qui citare uno degli accessi interpretativi più “estremi”, precisamente l’ordinanza Cass., sez. VI 18 ottobre 2022, n. 30679, con cui è stato affermato che posto che il diritto sanzionatorio ha natura punitiva, la forza maggiore va intesa secondo la sua accezione penalistica, e va quindi riferita ad un avvenimento imponderabile che annulla la signoria del soggetto, elidendo il requisito della coscienza e volontarietà della condotta, con la conseguenza che non risponde a tale nozione la crisi di liquidità derivante dal reiterato, per quanto grave, inadempimento di Pubbliche Amministrazioni debitrici, “peraltro prevedibile” (…).
La riforma fiscale
Nell’estate del 2023 irrompe la Legge delega n. 111, il cui capo II, art. 20, disciplina le modifiche all’apparato sanzionatorio amministrativo e penale in materia tributaria.
Precisamente, il comma 1, lett b), n. 1, per le sanzioni penali si prefigge l’obiettivo di:
1) attribuire specifico rilievo all’ipotesi di sopravvenuta impossibilità di far fronte al pagamento del tributo, non dipendente da fatti imputabili al soggetto stesso;
La riforma, attuata con il D.Lgs. n. 87/2024, si concretizza con l’introduzione nell’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000, rubricato “Cause di non punibilità”, con l’aggiunta di un nuovo comma 3-bis, che così stabilisce:
I reati di cui agli articoli 10-bis e 10-ter non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi.
Non vi è dubbio che l’obiettivo del Legislatore sia quello di circoscrivere il perimetro delle condotte integranti fattispecie penalmente rilevanti. Invero, oltre a quanto già accennato sopra, si registravano interventi quali Cass. pen., sez. III, n. 33430 del 16 giugno 2023 (dep. 31 luglio 2023), secondo cui:
“la colpevolezza del contribuente non è esclusa dalla crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l’omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell’IVA per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l’emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo (…). L’omesso versamento dell’IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento dei propri clienti non esclude la sussistenza del dolo generico richiesto dall’art. 10-ter D.Igs. n. 74/2000, atteso che l’obbligo del versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all’ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi”.
Gli effetti della nuova disposizione non hanno tardato a manifestarsi. Cass. pen., sez. III, n. 30532 del 25 luglio 2024, nel prendere atto della entrata in vigore del nuovo comma 3-bis dell’art. 13, ha annullato con rinvio la sentenza di condanna (per il reato di omesso versamento IVA) del rappresentante legale di una società che aveva quale unico cliente la acciaieria ex ILVA, che, come noto, è stata travolta da numerose vicissitudini giudiziarie che avevano determinato, per la prima, l’impossibilità di incassare le prestazioni fatturate, malgrado il ricorso a svariate azioni legali.
A questo punto, si tratta di individuare il “perimetro” della nuova causa di non punibilità. E, per far questo, mi pare di grande interesse ripercorrere il pensiero di una delle principali sentenze pronunciate sul tema: precisamente, mi riferisco a Cass. pen., sez. III, 4 aprile 2025 (dep. 2 maggio 2025), n. 16526.
La sentenza, ridotta ai minimi termini, afferma i seguenti principi:
- Retroattività: la nuova causa di non punibilità, vigente dal 29 giugno 2024 al 1° gennaio 2026 (poi abrogata dall’art. 101, comma 1, lett. cc, D.Lgs. n. 173/2024), si applica retroattivamente ex art. 2, comma 4, c.p., in quanto norma sostanziale più favorevole.
- Onere probatorio: incombe sull’imputato l’onere di:
- indicare specificamente le cause non imputabili determinanti la crisi di liquidità,
- provare la loro posteriorità all’incasso dell’IVA o all’effettuazione delle ritenute,
- dimostrarne la non transitorietà.
- Esclusioni: la crisi preesistente all’incasso esclude l’applicabilità della causa di non punibilità, poiché rientra nel rischio d’impresa.
- Carattere della prova: la mera allegazione generica è insufficiente; è richiesta prova puntuale e documentata, con elementi idonei a dimostrare la sopravvenienza e l’inevitabilità della crisi.
“Si tratta, quindi, di un’inedita causa di non punibilità nei reati di omesso versamento delle ritenute certificate (art. 10-bis) e IVA (art. 10-ter) legata alla crisi di liquidità, per la cui sussistenza occorre che: a) il fatto – l’omesso versamento – dipenda da cause non imputabili all’autore del reato; b) tali cause devono essere sopravvenute, dunque successive, all’effettuazione delle ritenute certificate o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto; quale causa tipizzata non imputabile il legislatore indica la crisi di liquidità non transitoria, determinata da: 1) l’inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi; 2) il mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche; 3) la non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi”.
“La causa di non punibilità ex art. 13, comma 3-bis, d.lgs. 74/2000, introdotta dal d.lgs. 87/2024, trova applicazione retroattiva quale norma sostanziale più favorevole, ma l’imputato deve allegare e provare che la crisi di liquidità, non transitoria e dovuta a cause non imputabili, sia sopravvenuta all’incasso dell’IVA o all’effettuazione delle ritenute. È inapplicabile se la crisi è preesistente o se manca allegazione/prova specifica”.
Si tratta di una sentenza importantissima, dalla cui lettura emerge in modo chiaro che ci troviamo di fronte ad un binario stretto, in molti casi difficilmente invocabile. Una lettura rigorosa potrebbe spingersi al punto di ritenere che gli spazi difensivi si sono addirittura ristretti, ma dovremo attendere che la giurisprudenza si sedimenti.
Conclusioni
Non sarà per nulla agevole invocare la nuova causa di non punibilità. Occorrerà infatti fornire una disamina attinente al merito dei comportamenti adottati dall’amministratore della società (se di società di trattasse, ma può trattarsi anche di impresa individuale), il quale potrebbe aver accarezzato l’idea di “privilegiare soggetti non privilegiati”, in pregiudizio delle ragioni dell’Erario. Le conseguenze sono facilmente immaginabili.
Riferimenti normativi:
- Legge 25 giugno 1999, n. 205, art. 9;
- D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 10-bis, 10-ter, 10-quater, 13;
- D.L. 4 luglio 2006, n. 223, conv. dalla Legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 35.
Il contenuto di questa newsletter è strettamente riservato e destinato esclusivamente ai destinatari autorizzati.
È espressamente vietata la condivisione totale o parziale di questa comunicazione su qualsiasi piattaforma pubblica o privata, inclusi (ma non limitati a):
• Gruppi e canali Telegram
• Chat di gruppo o broadcast su WhatsApp
• Post o storie su Facebook, Instagram, X (Twitter), LinkedIn, o altri social network.
Ogni violazione di questa norma potrà comportare l’esclusione immediata dalla lista dei destinatari e, nei casi più gravi, azioni legali.