CIRCOLARE MONOGRAFICA
Ogni configurazione di costo può presentare diverse metodologie di calcolo e diversi processi contabili-organizzativi per fornire dati ed informazioni necessarie
DI STEFANO PALESTINI | 21 NOVEMBRE 2025
Quando occorre calcolare il costo dei prodotti, bisogna prima chiedersi qual è l’obiettivo: formazione dei listini prezzi, decisioni di breve periodo, decisioni di lungo periodo, analisi dell’efficienza, individuazione dei prodotti con marginalità più elevata e di quelli con marginalità più bassa, analisi di sensitività per campagne sconti e campagne promozionali etc. Per ognuna di queste analisi vi è una configurazione di costo che meglio si presta al raggiungimento del risultato, e che prevede una o più metodi di lavoro. Non ultimo sono da considerare le potenzialità informative del sistema contabile (contabilità generale, centri di costo, contabilità analitica ed industriale) e le potenzialità dei sistemi informatici (ERP aziendale) di raccogliere informazioni in modo strutturato e di elaborarle sia massivamente che in modo selettivo.
Premessa
Quando si affronta un progetto di calcolo dei costi di un prodotto il primo aspetto da definire non è la configurazione del costo da calcolare, o la metodologia, bensì il motivo e la tipologia di analisi per cui tale elaborazione è diretta. Infatti, non esiste una configurazione o una metodologia di costo migliore delle altre ma sono ciascuna indirizzata ad una specifica tipologia di analisi.
Inoltre occorre prendere coscienza che, nella pratica aziendale, non esistono delle suddivisioni così nette tra le varie configurazione e metodologie in quanto, da un lato, si segue la customizzazione in base alle reali necessità mentre, dall’altro, occorre scendere a compromessi con le informazioni disponibili nel sistema contabile e con le possibilità offerte dall’ERP aziendale ed applicativi di supporto (reporting, corporate performance management, etc.).
Leggi anche la Circolare Monografica L’Approfondimento: Analisi, pianificazione e controllo dei costi.
Obiettivi delle configurazioni di costo del prodotto
Le varie configurazioni di costo sono sostanzialmente legate alle tipologie di decisioni che esse debbono supportare:
- Decisioni di breve periodo – hanno l’obiettivo di massimizzare i profitti tenuto conto del vincolo di utilizzare le risorse disponibili in modo da non comportare modifiche alla struttura aziendale e quindi alla sua struttura dei costi fissi.
Alcuni esempi di decisioni di breve periodo:
- Decisioni di lungo periodo – modificano la struttura dell’azienda, la sua capacità produttiva e quindi la struttura dei costi fissi:
-
- Introduzione nuovi prodotti;
- Nuove linee produttive, nuovi plant;
- Impostazioni del pricing (modalità copertura dei costi fissi di struttura);
- Miglioramento dei processi aziendali.
Di seguito sono sintetizzate le relazioni tra tipologie di decisioni e le configurazioni di costo (e criteri di allocazione).
TAVOLA 1: Relazioni tra Tipologie di Decisioni e le Configurazioni di Costi
La scelta della configurazione di costo dipende principalmente dagli obiettivi di analisi mentre la metodologia dovrebbe derivare direttamente dalla strategia aziendale nel senso che dovrebbe essere calibrata per misurare e controllare i fattori critici di successo e vantaggi competitivi.
Inoltre il sistema di controllo direzionale, già a partire dalla contabilità (piano dei conti, centri di costi, contabilità analitica), deve essere funzionale alla metodologia di determinazione dei costi, in modo da poter aver i singoli costi aggregati e classificati nelle forme idonee richieste dalla configurazione e dalla metodologia prescelte.
Direttamente connesse alla coerenza tra fattori critici di successo e modello di costing troviamo le considerazioni intorno al livello di complessità delle attività che producono valore, generata dal proliferare di prodotti, varianti di prodotto, personalizzazioni e servizi accessori al prodotto.
Nei casi in cui i costi indiretti siano molto elevati occorre direzionare verso un modello di costo che comprenda un gamma più ampia di tipologie di costo e sistemi di allocazione dei costi indiretti più complessi
Cenni categorie di costi
Costi variabili
I costi variabili sono quelli che variano in misura direttamente proporzionale rispetto ad una attività (strettamente legata alla produzione) o output (connesso alle vendite). Esempi di costi variabili sono:
- materie prime (costo della merce);
- manodopera diretta (classificazione sempre discutibile);
- provvigioni passive;
- spese di trasporto.
Sono costi che l’azienda sostiene solo se e nella misura in cui produce e vende. Questo aspetto è molto importante quando sono simulati gli effetti di diversi livelli di produzione annuale nel conto economico prospettico (sia esso il budget piuttosto che un piano), in quanto sono la parte dei costi che varia mentre gli altri possono essere mantenuti fissi.
Le simulazioni che prevedono un rialzo della produzione debbono tener presente fino a quando l’attuale struttura aziendale può sostenere l’innalzamento della produzione dopo di che anche i costi di struttura debbono essere aumentati. Nelle simulazioni con diminuzione della produzione i costi variabili di produzione diminuiscono mentre restano stabili quelli di struttura almeno fino a quando si riesce a mantenere un equilibrio economico finanziario o a rispettare le performance attese, dopo di che occorre ristrutturare il sistema dei costi fissi.
Costi fissi
I costi fissi sono quelli che assumono un andamento costante per intervalli di produzione, assumendo la caratteristica forma a scala. Ad esempio, una azienda che produce macchine utensili dispone di un magazzino di circa 1000 mq di cui 700 disponibili per lo stoccaggio, mediamente sono pianificati 7mq per macchina in magazzino, quindi è possibile stoccare mediamente 100 macchine con un ammortamento annuo di circa 50.000 euro (su 30 anni di piano di ammortamento). Per cui da 0 a 100 macchine il costo è di euro 50.000 annui, qualora si passasse a 105 macchine mediamente occorrerà effettuare un ampliamento di almeno 300 mq per ulteriori 15.000 euro di ammortamento. Chiaramente non risultano economicamente convenienti ampliamenti sotto certe dimensioni, per cui non è possibile seguire la curva di incremento delle rimanenze ma gli investimenti avvengono per “lotti di convenienza”.
Quindi:
- 0-100 macchine: costo 50.000 euro
- 101-130 macchine: costo incrementale 15.000 euro.
Diciamo che i costi fissi effettuano un uplift quando la capacità produttiva utilizzata supera la capacità produttiva disponibile.
Altra questione di cui tener conto è la caratteristica del costo del personale. Ad esempio una forza lavoro altamente specializzata a tempo indeterminato rappresenta, nei fatti, un costo fisso a meno che non si voglia effettuare un downsizing produttivo senza prospettive future di sviluppo. Differentemente in una azienda con forza lavoro fungibile, di cui una parte a tempo determinato o interinale, il costo del personale può essere assunto come variabile.
Costi diretti e specifici
Premesso che esiste a livello dottrinario una differenza tra costi diretti e costi specifici, in questo frangente professionale continueremo ad occuparci sostanzialmente di costi diretti.
La differenza è che i costi diretti sono quelli contabilmente attribuiti al prodotto mentre i costi specifici sono quelli oggettivamente connessi al prodotto ma che in contabilità potrebbero essere trattati anche come indiretti. Per approfondimenti si veda la precedente Circolare Monografica L’Approfondimento: Analisi, pianificazione e controllo dei costi.
I costi diretti (sia variabili, sia fissi) si riferiscono ai fattori produttivi che contribuiscono esclusivamente all’ottenimento di un determinato oggetto: prodotto, servizio, fase di lavorazione, ecc. In alternativa li possiamo considerare come quei costi che non si sosterrebbero, se si decidesse di non produrre il bene, il servizio, la commessa. Pertanto, essi possono essere attribuiti “direttamente” ed in modo univoco ad un determinato oggetto di calcolo (prodotto, servizio, reparto, lavorazione, commessa, centro di costo, ecc.).
Possiamo immaginare tra i costi diretti innanzitutto i costi variabili (consumi, manodopera diretta, provvigioni, ecc.). Ma anche gli ammortamentidi macchinari dedicati ad un prodotto e quelli destinati alla ricerca e sviluppo sono costi fissi diretti.
Alcune volte i costi diretti sono connessi al prodotto tramite un passaggio logico, come un reparto dedicato o una specifica linea di montaggio
Rientrano nei costi diretti anche i costi di un’iniziativa commerciale, mirata alla promozione di uno specifico prodotto.
I costi per una iniziativa di promozione commerciale, pur essendo diretti, non concorrono a costituire la configurazione di costo per la valorizzazione del magazzino ai fini contabili e fiscali.
Costi indiretti e comuni
Anche in questo caso persiste una differenza teorica tra costi indiretti e comuni, come spiegato supra. Per una trattazione aziendalistica ci limiteremo a considerare i costi indiretti.
Sono costi di acquisizione di più fattori produttivi che contribuiscono all’ottenimento di più oggetti di calcolo, in altre parole di più prodotti. Questi possono essere attribuiti a ciascun prodotto (servizio o reparto) solo in modo indiretto mediante congetture, ripartendoli in quote, mediante “basi” di ripartizione soggettiva.
All’interno di questa categoria di costi occorre effettuare almeno una ulteriore suddivisione tra costi indiretti industriali e costi indiretti generali, commerciali ed amministrativi (spesso è anche opportuno enucleare i costi di vendita).
La variabilità dei costi dipende anche dalla prospettiva di analisi. Consideriamo la seguente configurazione che chiamiamo di “full costing”:
Quando si considera il costo unitario in configurazione full costing, la reale variabilità che può inficiare l’analisi è l’ipotesi della quantità da produrre; infatti, una sovrastima di questa variabile può portare ad un prezzo di vendita più basso.
Il rischio è che normalmente, quando si ragiona in termini di full costing unitario, si tende a dimenticare le variabili quantità prodotte e vendute, perché si è portati a pensare che il costo unitario “comprende tutto”, ma in realtà i costi fissi saranno coperti solo se il budget delle vendite e delle produzioni, sulla cui base è stato calcolato il full costing, saranno raggiunti. Una ulteriore distorsione del full costing unitario è che l’assorbimento dei costi indiretti non è realisticamente costante per tutti i prodotti (identificati con il deponente “i”):
Il loro assorbimento varia a seconda della complessità delle attività di supporto alla produzione e commercializzazione, basti immaginare l’assorbimento dei costi della funzione acquisto di due macchinari che hanno lo stesso costo variabile diretto ma uno è composto da 200 articoli in distinta base (di maggior valore unitario) e l’altro dispone di 1.500 componenti in distinta base, oppure le differenze nelle attività di ricerca, progettazione e sviluppo oppure il maggior supporto della funzione commerciale ad un macchinario che ha bisogno di personalizzazioni per ciascun cliente. La metodologia più efficace per attribuire correttamente il costo indiretto della complessità ai vari prodotti è l’Active Based Costing.
Metodologie calcolo dei costi
Mano a mano che la configurazione di costo del prodotto comprende sempre più categorie di costo, si passa da una metodologia di costo orientata a supportare decisioni di breve periodo (cosa produrre ed in quali quantità) ad altre orientate al lungo periodo (quali investimenti sostenere). Ma l’analisi del costo dei prodotti è volta anche ad altri obiettivi come misurare l’efficienza della produzione; in questo caso la configurazione di costo più adatta è quella del costo diretto di produzione in cui sono presi in considerazione i costi variabili di produzione, materie prime e manodopera diretta e quelli direttamente attribuibili al prodotto, ad esempio se una linea di produzione realizza un solo articolo, il costo diretto comprenderà anche i gli ammortamenti degli impianti, i consumi elettrici etc. Questo perché il costo diretto non è inficiato né da costi fuori dal controllo della produzione (costi generali e di vendita) né dai criteri di ripartizione dei costi indiretti e di struttura industriali, che debbono essere allocati ai singoli prodotti con criteri lineari di assorbimento o criteri di ripartizione più o meno oggettivi. Tuttavia la configurazione di full costing rimane assolutamente indispensabile per fissare i prezzi, nei mercati in cui prevale una logica di mark up, oppure per verificare la redditività dei prodotti, nei mercati in cui il produttore è un “price taker” rispetto al mercato.
La metodologia di costo prescelta deve essere coerente alla strategia aziendale e, quindi, funzionale ai fattori critici di successo dell’azienda, poiché il metodo prescelto influenza decisioni ed azioni: aziende strategicamente votate all’efficienza utilizzeranno configurazioni a costi variabili, mentre quelle che perseguono la complessità del prodotto o la complessità di approccio al mercato dovranno privilegiare il full costing.
Le tipologie di costi utilizzati per analizzare il costo del prodotti determina l’impostazione di tutto il sistema di controllo direzionale (budgeting, reporting, analisi degli scostamenti, misurazione dei risultati, ecc.), altrimenti si cade in un loop in cui manca sempre qualche dato o informazione per determinare la configurazione di costo, innescando una rincorsa a lavori manuali, precari fogli Excel difficili da aggiornare ed ancora più difficili da controllare, soprattutto quando emergono risultati inattesi che sollevano sempre il dubbio tra l’aver individuato una nuova dinamica economica, degna di essere analizzata approfonditamente (positiva o negativa che sia), ed essere incorsi in un errore significativo.
Infine, quello che non viene raccontato ma che spesso accade dietro le quinte è che la configurazione di costo deve anche essere coerente allo stile di gestione, che può essere orientato alla “trasparenza” (configurazioni a costi variabili o diretti) oppure preferire la possibilità di “enfatizzare/nascondere” determinati aspetti della gestione preferendo full costing dove vari fenomeni si compensano, senza che possano realmente trasparire i punti di forza o debolezza della gestione.
La scelta del modello di costing del prodotto ricade tra le seguenti tipologie:
• Costo diretto;
• Costo diretto evoluto;
• Full costing (articolato nelle varie metodologie di allocazione dei costi fissi);
• Asset Based Costing.
Modello del costo diretto – direct costing
Per calcolare il costo diretto del prodotto occorre poter distinguere i costi variabili da quelli fissi. Questo implica che la contabilità generale, supportata da quella analitica, debba poter distinguere queste categorie di costi. Tuttavia una volta che il sistema contabile prevede questa distinzione possiamo affermare che nessun passo avanti è stato eseguito verso il calcolo del costo dei singoli prodotti, in quanto a livello di sistema contabile (anche di contabilità analitica) al massimo si disporrà dei costi variabili per area strategica di affari o per linee di prodotti, ma non si riuscirà mai (e non si deve neanche provare) a realizzare una articolazione contabile indirizzata al singolo prodotto. A questo obiettivo debbono rispondere altri strumenti aziendali, come le distinte base valorizzate per avere il costo della materia prima e componenti di ogni singolo prodotto, a condizione che le distinte base siano corrette, aggiornate e valorizzate con i costi di origine contabile o meglio con gli stessi costi che vanno a valorizzare i carichi di magazzino (costo medio ponderato, LIFO, FIFO tutti alimentati da costi consuntivi di fonte contabile, cioè le fatture di acquisto).
Il costo della manodopera invece sarà dato dai tempi ciclo calcolati dall’Ufficio Tempi e Metodi o dal Controllo di Gestione Industriale o dagli Uffici Tecnici di Industrializzazione valorizzati per il costo medio del personale impiegato nei singoli reparti.
Più semplice risulta l’individuazione dei costi variabili qualora una fabbrica o una linea di produzione operino su un articolo alla volta: in due giorni è prodotto l’articolo X, in tre giorni l’articolo Y, in un giorno Z, poi in una settimana X e così via (es.: telaio di un elettrodomestico – lotto per lavatrici, poi produco quello per lavastoviglie etc.). In questi casi di produzione sequenziale sugli stessi impianti è sufficiente monitorare gli scarichi del magazzino con causale di produzione nei giorni in cui viene fabbricato ciascun articolo per conoscere materia prima e componenti utilizzati e quindi i relativi costi variabili.
I costi esemplificativi che si allocano al prodotto (oggetto di calcolo) sono i seguenti elementi di costo variabile:
- materie prime (costo della merce);
- manodopera diretta;
- lavorazioni esterne;
- spese di trasporto.
Queste tecniche di individuazione e calcolo dei costi variabili sono affidabili se rispettano due condizioni:
- la valorizzazione della produzione tramite le distinte base corrisponde tendenzialmente ai mastri contabili di “Acquisto materie prime” alnetto della “Variazione delle rimanenze delle materie prime”. Questo significa la correttezza delle distinte base in termini di referenze, quantità e costi. Si ricorda che gli acquisti sono effettuati sulla base dei fabbisogni esplosi tra quantità da produrre e componenti da acquistare presenti nelle distinte base. Questo assicura la coerenza tra acquisti contabili e fabbisogni per la produzione.
- La valorizzazione dei tempi di lavorazione per tutta la produzione deve tendenzialmente coincidere con il costo del personale, corretto per le inefficienze produttive, cioè ore pagate al personale in cui non avviene la produzione in quanto sono eseguite manutenzioni, set up delle macchine per cambi di produzione piuttosto che rallentamento degli ordini, rotture di stock delle materie prime, ecc.
Non si deve cadere nel tentativo di attribuire i costi variabili ai singoli articoli tramite un proliferare di vari livelli di centri di costo, in quanto ad un certo punto occorrerà fermarsi e si sarà costretti ad effettuare delle ripartizioni più o meno soggettive, venendo meno così la caratteristica dell’oggettività della configurazione del costo diretto di produzione. A meno che non si riesca ad isolare una fabbrica, un reparto o un impianto dove viene prodotto (almeno per un periodo di tempo determinato e conosciuto) un solo prodotto.
Ad esempio in una fabbrica con tre linee di produzione ho un centro di costo per ciascuna di esse riferito alle materie prime, se in una settimana una linea ha prodotto un solo modello, ad esempio, di motore elettrico “Alfa”, i costi variabili transitati per quel centro di costo in quel periodo si riferiscono al motore elettrico “Alfa”. In questo caso i centri di costo raccolgono i costi variabili del motore “Alfa” nella settimana in cui vengono prodotti senza che sia necessaria la valorizzazione delle distinte base. Questo è possibile sotto due condizioni:
• produzioni di singoli modelli sequenziale;
• centro di costo associato alla struttura organizzativa in cui avviene la produzione sequenziale alimentato dagli scarichi di magazzino.
Il costo del prodotto diretto è un metodo “oggettivo” che evita qualsiasi congettura per l’attribuzione ai prodotti anche di quote dei costi fissi, a condizione di rispettare le condizioni sopra esposte e di non avventurarsi in ripartizioni soggettive delle macrocategorie dei costi variabili ai singoli prodotti, poiché non si è in grado di attribuire i costi variabili ai singoli articoli. Risulta invece costoso ed inefficace adottare progetti di contabilità industriale pervasivi al solo scopo di misurare i costi variabili per prodotto.
La configurazione del costo del prodotto che prende in considerazione i costi variabili consente il calcolo del margine di contribuzione cioè il flusso di reddito rimanente dopo la copertura dei costi variabili destinato a coprire i costi fissi di struttura:
Ricavi – Costi Variabili Totali = Margine di Contribuzione (MdC)
Il margine di contribuzione deve:
MdC > Costi Fissi
I costi fissi sono quelli che devono essere sostenuti in un determinato periodo di tempo, indipendentemente dai volumi di produzione/vendita realizzati nel medesimo periodo. I costi fissi non sono né ripartiti, né imputati ai prodotti, ma sono considerati come un ammontare complessivoche deve essere coperto dal margine di contribuzione complessivo.
Raggiungere un margine di contribuzione maggiore dei costi fissi è un obiettivo minimale di redditività.
I costi fissi debbono essere molto ben osservati: infatti, mentre tutti sono costi di esercizio, alcuni non corrispondono a flussi di cassa in uscita nell’esercizio in cui sono registrati; questo è il caso degli ammortamenti.
Il punto di pareggio, o meglio la quantità di prodotti da vendere che consenta il pareggio, è calcolato tramite il margine di contribuzione:
Punto di pareggio = CF/MdC
tuttavia tale relazione ha senso ed utilità solo qualora:
- i margini di contribuzione dei vari articoli commercializzati siano allineati;
- il mix dei prodotti venduti non abbia valenza strategica. Questo significa che se la pianificazione strategica prevede di puntare sul prodotto Beta rispetto ad Alfa, che rischia di uscire dal mercato in 3/5 anni, raggiungere il punto di pareggio con un mix del 50% tra i due prodotti non avrà la medesima valenza del caso in cui il prodotto Beta copra l’80% delle vendite.
Qualora invece di ragionare in termini di pareggio, più realisticamente, si decidessero degli obiettivi di redditività, la relazione sarebbe:
Q.tà redditività obiettivo = (CF + Reddito Target)/MdC
Modello del costo diretto evoluto
La configurazione del costo diretto evoluto prevede l’integrazione dei costi fissi specifici ai costi variabili del modello del costo diretto “semplice”.
I costi fissi specifici sono costi che possono essere direttamente attribuiti al prodotto, come ad esempio:
- ammortamenti, affitti, leasing di impianti e macchinari afferenti ad un reparto “dedicato” alla produzione di una determinata linea di prodotti;
- sconti, premi, iniziative commerciali e di marketing, mirati alla promozione di uno specifico prodotto.
Seguendo questa modalità è ridotto l’aggregato dei i costi fissi comuni, che non sono né ripartiti, né imputati ai prodotti, ma sono considerati come un ammontare complessivo che deve essere coperto dal margine complessivo.
Questa modalità di calcolo del costo è particolarmente utile, ed anche necessaria, quando l’assorbimento dei costi fissi si differenzia significativamente rispetto ai vari prodotti; in questi casi, più si riducono i costi fissi comuni e migliore è la rappresentazione del costo del prodotto, permettendo di assumere decisioni senza distorsioni.
Sono commercializzati due prodotti, uno maturo con caratteristiche tradizionali ed uno in fase di lancio sui mercati, che presenta funzionalità innovative, per il quale vengono sostenuti significativi costi commerciali (campagne marketing e bonus di vario genere) e spese di R&S per migliorare alcune funzionalità e ottimizzare l’industrializzazione. Nel momento in cui l’azienda realizza che i costi fissi hanno un tasso di copertura vicino alla soglia, si trova di fronte alla decisione di come rimodulare i prezzi di vendita. Un modello di costo diretto tradizionaleporterebbe ad un aumento proporzionale rispetto ai prezzi di vendita dei due prodotti oppure, più correttamente, in proporzione ai loro costi diretti. Questa decisione nasconde il rischio che il prezzo del prodotto tradizionale raggiunga un prezzo troppo elevato, marginalizzandolo nel mercato, e che il prezzo del nuovo sia ancora troppo basso per coprire una ampia parte dei costi fissi destinati esclusivamente a quest’ultimo.
Applicare il modello del costo diretto evoluto evidenzierebbe come una buona parte dei maggior costi fissi da coprire sia attribuibile al nuovo prodotto e che un aumento di prezzo potrebbe consentirgli di rimanere ancora competitivo sul mercato, date le sue caratteristiche innovative.
Possiamo concludere che il costo diretto “evoluto”, pur mantenendo un’ottica di breve periodo, apre una finestra di considerazioni orientate al prezzo, per cui notoriamente lo strumento preferenziale sarebbe il full costing. Il motivo per cui il modello del costo diretto “evoluto”, pur includendo una quota di costi fissi, ha ancora una valenza di breve periodo è che i costi fissi specifici in parte possono essere rappresentati da costi “discrezionali”, come quelli dell’esempio, cioè R&D, spese promozionali ed altro che possono essere modulate nel tempo dalle decisioni del management pur essendo autonome dalla quantità della produzione. Mentre l’altra parte di costi fissi specifici hanno una portata di lungo periodo come l’ammortamento di reparti, macchinari destinati esclusivamente ad un prodotto.
Per cui tale configurazione di costo rappresenta una soluzione di bilanciamento tra il costo diretto ed il full costing.
Modello del full costing o costo pieno
La configurazione di full costing include che tutti i costi:
- variabili e fissi,
- specifici e comuni,
siano attribuiti al prodotto oggetto del calcolo. Concettualmente il “full costing”, allocando al singolo prodotto anche la quota dei costi fissi e/o comuni, finisce per variabilizzare tutti i costi. Questo aspetto che può sembrare avere una pertinenza solo teorica, in realtà può inficiare alcuni atteggiamenti delle decisioni aziendali, distogliendo l’attenzione al fatto che la copertura dei costi fissi è strettamente legata alle quantità vendute nel complesso, non essendo sufficiente ottenere un prezzo di vendita che copre abbondantemente la quota di costi fissi attribuita al singolo prodotto.
Full Costing = Costi Variabili + Costi Fissi
La redditività dei prodotti è misurata dal:
- risultato industriale: si allocano al prodotto quote di costi della gestione caratteristica;
- reddito netto: si alloca al prodotto parte degli oneri finanziari e delle imposte sul reddito.
Chiaramente il processo di attribuzione dei costi indiretti presenta un certo margine di soggettività, pur potendo essere supportato da elementi fattuali che possono stimare l’assorbimento dei costi indiretti. Questa caratteristica si presta a renderlo un metodo “non trasparente” consentendo di enfatizzare o sminuire determinati aspetti della gestione.
Le attribuzioni dei costi indiretti avvengono tramite il supporto dei centri di costo che consentono di allocare i costi in modo più vicino alla fabbricazione del prodotto.
Criteri di ripartizione dei costi comuni nel full costing
Sono utilizzati due tipologie di criteri di riparto:
- Base Unica: la somma di tutti i costi comuni che sono ripartiti con un’unica base;
- Basi Multiple: sono determinati vari clauster di costi comuni e per ognuno si costruisce una base di riparto che meglio rappresenta l’allocazione dei costi per ciascun prodotto.
Ripartizione con base unica
Tutti i costi comuni sono sommati:
- Affitti fabbricati industriali: 40.000
- Materiali di consumo non ripartiti: 5.000
- Ammortamenti industriali: 150.000
- Costi del personale indiretto industriale: 130.000
- Energia elettrica: 20.000
- Costi Generali Amministrativi e Commerciali: 400.000
Totale costi da ripartire: 745.000
La scelta dei criteri di riparto di solito avviene tra le seguenti grandezze:
- Consumi/Costi di materie prime;
- Consumi di ore MOD;
- Costo MOD
- Consumi ore macchina per prodotto
Usualmente quando si utilizza una base di riparto unica si scelgono indicatori abbastanza generici, in questo caso trattandosi di una attività labour intensive si è optato per il costo della manodopera diretta.
Tutti i costi da ripartire vengono:
- sommati tra di loro
- ripartiti in quote mediante un’unica base di ripartizione
- attribuiti ai diversi prodotti.
Il full costing a base unica non richiede la “localizzazione” dei costi fissi in centri di costo:
Di seguito un esempio di allocazione dei costi con base unica di riparto, con dati, informazioni ed elaborazioni.
La tabella dati della MOD è diretta a stabilire il costo della manodopera diretta partendo dall’aggregato contabile (conto di mastro) “Costo Mod”; questo comprende le retribuzioni lorde, contributi INPS, eventuali ratei ferie e costi per TFR. Da notare che le ore lavorate sono inferiori alle ore retribuite, ciò è dovuto a fermi di produzione per manutenzioni, settaggi macchina, “caricamento macchina”, assenteismo ed altre inefficienze fisiologiche.
I dati di produzione includono i tempi di produzione dei due prodotti ed il relativo costo (calcolato considerando le inefficienze, quindi più alto), presenti nelle distinte base valorizzate nonché le quantità prodotte.
La terza tabella contiene le elaborazioni di ripartizione dei costi, determinando il coefficiente di riparto ottenuto tramite il rapporto tra costo unitario della manodopera e costo annuale della manodopera. Questo viene moltiplicato per i costi da ripartire pari a 745.000 e si ottiene la quota unitaria dei costi da ripartire per i due prodotti.
Infine occorre sempre verificare che la sommatoria delle quote di costi comuni attribuiti ai prodotti sia eguale agli aggregati contabili di partenza (per essere sicuri che non vi siano errori che hanno condotto ad allocare costi maggiori o minori).
Uno dei sistemi di allocazione più utilizzati nella prassi è quella di calcolare la percentuale di tutti i costi comuni da ripartire (745.000 nell’esempio precedente) rispetto al totale dei costi diretti risultanti dal sistema contabile (450.000 per la MOD e ipotizziamo 250.000 di materie prime). La percentuale risulta pari a 106% cioè 745.000/(450.000+250.000), per cui se il costo diretto unitario di uno specifico prodotto fosse 140 l’allocazione dei costi comuni sarebbe 140+140*106%=288,4. Diciamo che questa sua metodologia nella sua disarmante semplicità (si utilizzano solo dati di origine contabile) è riconducibile ad un riparto mediante base unica formata dai costi diretti; risulta più generica rispetto ad una ripartizione a base unica che utilizza indicatori estremamente specifici come costo mod o ore/macchina ma è in grado di mediare i diversi comportamenti dei costi comuni che si vanno a ripartire.
Ripartizione con base multipla
Una analisi dei comportamenti dei costi comuni può mostrare che questi contribuiscono, con dinamiche differenti tra loro, alla produzione e commercializzazione dei singoli prodotti; per cui la scelta di una base unica si rivela insoddisfacente e foriera di varie distorsioni. Quindi si può optare per un sistema di allocazione dei costi comuni tramite più kpi, che a questo punto possono essere più specifici ed in alcuni casi possono anche essere basati su aggregati “non financial”, come ad esempio il numero di componenti presenti in distinta base impiegato per attribuire il costo della funzione acquisti.
Il meccanismo opera come nella versione a base unica con la differenza che i costi comuni vengono clusterizzati a secondo del loro comportamento per poi individuare la base di riparto più idonea. A questo punto ogni cluster di costi comuni è soggetto ad una ripartizione con il metodo, appena visto, della base unica.
Activity based costing
In settori industriali, ed anche dei servizi, dove la maggior parte del valore è generato dalle attività indirette, può essere necessario un sistema di allocazione dei costi più evoluto rispetto a quello a basi multiple, al fine di evitare fenomeni di compensazione e sovvenzione tra diversi prodotti.
Con questo obiettivo fu ideato all’inizio degli anni novanta l’Actity Based Costing (ABC), un metodo di contabilità dei costi che assegna i costi ai prodotti in base alle attività (e processi) necessarie per progettarli, produrli e venderli. Il principio fondamentale che è alla base di questa metodologia è quello di porre al centro del calcolo dei costi le attività e non i prodotti.
Il sistema dell’Activity Based Costing si articola nelle seguenti fasi:
- mappatura delle attività;
- allocazione dei costi alle attività;
- identificazione e scelta degli activity drivers;
- attribuzione dei costi delle attività ai prodotti.
Pur essendo ovvia la superiorità teorica di tale metodologia, almeno in contesti produttivi/servizi avanzati, le implementazioni aziendali si sono sempre scontrate con due ordini di problematiche:
- l’organizzazione delle aziende nella maggior parte dei casi non è basata sui processi bensì su basi gerarchico-funzionali (esempio: funzione acquisti, funzione amministrazione fornitori, funzione tesoreria per i pagamenti). Questo comporta difficoltà nel mappare le attività e soprattutto definire quelle correlate tra loro (e definire il tipo di correlazione) che vanno a formare un processo;
- anche i sistemi di rilevazione contabile e dei dati gestionali extracontabili sono generalmente organizzati per “funzioni aziendali” o “natura dei costi” e non per processi o per attività. I centri di costi spesso suddividono un mastro di contabilità in raggruppamenti spaziali, lo stabilimento, la linea produttiva, il reparto, etc. Questo comporta paesanti attività di riclassificazione e gestione dei dati al di fuori delle normali prassi amministrative, anche extra-sistemi, al fine di associare i costi alle attività;
- difficoltà ad individuare i cost drivers sia dal punto di vista concettuale (più facile a dirsi che a farsi) che dal punto di vista della raccolta e disponibilità (effettiva) delle informazioni per costruire il kpi per eseguire l’allocazione del costo. I cost drivers sono indicatori che collegano a livello logico e quantitativo le attività con i prodotti e di conseguenza consentono l’allocazione dei costi.
Spesso un buon sistema di ripartizione di costi comuni con basi multiple, capace di cogliere due/tre basi di riparto dei costi comuni che generano valore, pure meno preciso dell’Activity Based Costing, garantisce una tempestività di allocazione, correttezza delle elaborazioni e relativa tracciabilità, minor impiego di risorse (investimenti IT e ore-uomo) che possono far propendere ad una sua maggior efficacia.
Conclusioni
Il costo dei prodotti viene utilizzato non solo ai fini gestionali ma anche per adempiere ad obblighi contabili e fiscali, in particolare la valorizzazione delle rimanenze dei prodotti finiti (e semilavorati). Per tali finalità è richiesta una configurazione che includa i costi diretti ed una quota dei costi indiretti ma solo quelli riferibili alla produzione (cosiddette SGP – spese generali di produzione). Quindi debbono essere esclusi i costi indiretti amministrativi, commerciali e generali.
Un altro aspetto da valutare è come poter controllare la corretta applicazione della configurazione di costo. Il rischio principale è che, nella complessità di elaborazione, alcuni dati di partenza non siano corretti o che si allochi un valore maggiore o minore rispetto ai costi indiretti contabili.
Il principale controllo consiste nel valorizzare ogni articolo di prodotto finito realizzato nell’anno moltiplicando il loro costo per le quantità prodotte per poi verificare che tendenzialmente tale aggregato corrisponda al valore del costo della produzione presente nel conto economico.
Se viene valorizzato il costo dei prodotti fabbricati la quadratura va cercata rispetto ai costi della produzione mentre se sono valorizzati i prodotti venduti occorre considerare la variazione delle rimanenze.
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• Post o storie su Facebook, Instagram, X (Twitter), LinkedIn, o altri social network.
Ogni violazione di questa norma potrà comportare l’esclusione immediata dalla lista dei destinatari e, nei casi più gravi, azioni legali.