CIRCOLARE MONOGRAFICA
DI MAURO LONGO | 9 OTTOBRE 2025
Breve disamina delle principali posizioni espresse dalla Corte di Cassazione in materia di società di comodo
Nell’attesa, ormai protrattasi da molto tempo, dell’intera revisione dell’istituto delle società di comodo, nel corso del 2025 la Corte di Cassazione è intervenuta più volte per chiarirne alcuni aspetti applicativi. In alcune sentenze ha confermato il proprio orientamento, in altre ha espresso principi completamente innovativi ed aventi valenza generalizzata, basti pensare a quanto precisato con riferimento al primo triennio di attività della società.
Premessa
L’istituto delle società di comodo, disciplinato dall’art. 30 Legge n. 724/1994, ha il fine di “disincentivare” il ricorso all’utilizzo dello schema societario per il raggiungimento di scopi estranei alle finalità delle società commerciali come il mero godimento dei beni societari e l’amministrazione dei patrimoni personali dei soci con il relativo risparmio fiscale. Dal punto di vista soggettivo, sono interessate:
- le s.p.a, le s.a.p.a. e le s.r.l.;
- le s.n.c, le s.a.s. e le società ad esse equiparate;
- le società e gli enti non residenti con stabile organizzazione in Italia.
La ratio dell’istituto è quella di disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario utilizzato come involucro per raggiungere scopi diversi da quelli previsti dal legislatore per le società; in tal senso è stata sviluppata la definizione di società senza impresao di mero godimento.
Il meccanismo consiste nel determinare un livello minimo di ricavi, correlato al valore di determinati beni patrimoniali, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società con conseguente presunzione di un reddito minimo, stabilito in base a coefficienti medi di redditività dei detti elementi patrimoniali di bilancio.
Onere della prova e natura della presunzione
La Suprema Corte, confermando il suo costante orientamento, ha confermato nell’ordinanza 24 settembre 2025, n. 25992, che l’onere della prova in giudizio è in capo al contribuente, il quale può vincere la presunzione dimostrando all’Amministrazione finanziaria le oggettive situazioni che hanno reso impossibile il raggiungimento dei ricavi/reddito minimi determinato secondo i parametri normativi. Tale onere deve essere inteso non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato. Detta “impossibilità in senso economico” può essere dovuta all’andamento del mercato, quale luogo (anche in senso figurato) e momento di incontro della domanda e dell’offerta (c.d. dinamica dei prezzi), in un determinato settore di attività e in una certa area geografica, il cui concreto atteggiarsi, all’interno di un sistema economico concorrenziale, dipende da una molteplicità di fattori, talvolta contingenti, altre volte strutturali, che possono prescindere del tutto dalle scelte o dal comportamento dell’imprenditore. L’onere probatorio può essere assolto anche dimostrando che l’esito quantitativo del test di operatività è:
- erroneo;
- privo della valenza sintomatica che gli ha attribuito il legislatore perché sussiste un’attività imprenditoriale effettiva caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale e, dunque, l’operatività reale della società.
È stato altresì affermato che non sussistono oggettive situazioni di carattere straordinario, che rendono impossibile il superamento del test di operatività, nell’ipotesi di:
- totale assenza di pianificazione aziendale da parte degli organi gestori della società;
ovvero - la completa “inettitudine produttiva”;
gravando sull’imprenditore, anche collettivo, ai sensi dell’art. 2086 c.c., l’obbligo di predisporre i mezzi di produzione nella prospettiva del raggiungimento del lucro obiettivo e della continuità aziendale.
Natura delle condizioni oggettive: le situazioni oggettive devono essere indipendenti dalla volontà del contribuente, che rendano impossibile conseguire il reddito presunto avuto riguardo alle effettive condizioni del mercato.
Natura della presunzione: nell’ordinanza 24 settembre 2025, n. 25992, la Suprema Corte ha confermato che l’ammontare dei ricavi/reddito di cui all’art. 30, Legge n. 724/1994, assume la natura di presunzione legale relativa fondata sulla massima di esperienza per la quale non vi è, di regola, effettività d’impresa senza continuità minima dei ricavi, in base alla quale, una società si considera “non operativa”, se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi è inferioreal test di operatività. Trattandosi di presunzione relativa, la società può assolvere l’onere probatorio dimostrando che, nel caso concreto, l’esito quantitativo del test di operatività è erroneo o non ha la valenza sintomatica che gli ha attribuito il legislatore, giacché il livello inferiore dei ricavi è dipeso da situazioni oggettive che ne hanno impedito una maggior realizzazione.
Mancato ottenimento di autorizzazioni
Le cause di disapplicazione sono state oggetto della circolare 9 luglio 2007, n. 44/E. In tale documento di prassi, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che la mancanzadelle “necessarie autorizzazioni amministrative” (ad esempio, il rilascio della concessione edilizia da parte del Comune), che hanno reso impossibile l’inizio dei lavori di costruzione, può realizzare una “situazione oggettiva” determinante ai fini della disapplicazione della disciplina delle società non operative, relativamente all’immobile in attesa di concessione edilizia. La disapplicazione sarà totale, qualora detto immobile costituisca l’unico asset rilevante ai fini dell’applicazione del test di operatività.
Nell’ordinanza 7 settembre 2025, n. 24732, la Corte di Cassazione ha chiarito che il mancato ottenimento delle autorizzazioni rimesse alla discrezionale valutazione dell’Autorità amministrativa di per sénon è dirimente. Occorre, infatti, vagliare se l’impedimento al conseguimento dell’oggetto sociale non sia dipendente da scelte imprenditoriali, le quali comportano la conservazione in vita della società per anni, anche se lo svolgimento dell’attività imprenditoriale risulti precluso.
Nella fattispecie sottoposta alla Corte, la società non aveva spiegato in alcun modo perché, pur avendo completato i lavori del complesso alberghiero sin dai primi anni ’90, la struttura non sia mai entrata in funzione, tanto da richiedere, allo stato attuale, dopo oltre 20 anni di inattività, la completa ristrutturazione ai fini dell’agibilità.
Più in particolare, se il requisito dell’oggettività allude a un impedimento estraneo alla sfera di controllo causale dell’imprenditore, è altrettanto vero che la condotta di quest’ultimo sul modo di confrontarsi con l’evento impeditivo che preclude il superamento del test di operatività non è sindacabile nella misura in cui sia riconducibile a una scelta imprenditoriale (per quanto sbagliata), ma non quando il protrarsi di tale evento sia tale da comportare l’impossibilità assoluta e oggettiva di esercitare l’attività d’impresa.
Primo triennio di attività e società di comodo
Nell’ordinanza 30 luglio 2025, n. 22007, la Corte di Cassazione ha affermato un principio molto importante, ed in contrasto con l’orientamento dell’Agenzia, per effetto del quale il test di operatività non può essere svolto se non esiste almeno un triennio utile (compreso quello oggetto del test di operatività).
Il caso affrontato dalla Corte era quello di una società costituita nel 2006 ed accertata, tramite l’istituto delle società di comodo sul 2008, non avendo per tale periodo d’imposta, superato il test di operatività. L’Agenzia delle Entrate nell’accertamento aveva svolto il test di operatività considerando il triennio 2006, 2007 e 2008 includendo nel calcolo anche il primo anno di attività. La società nel ricorso ha ritenuto l’accertamentoillegittimo in quanto nel test di operatività nel triennio aveva inserito anche il 2006 (anno di costituzione della società).
Secondo l’ordinanza, il test di operatività non è applicabilese non sussistono almeno tre esercizi (compreso quello oggetto del test) effettivi da prendere in considerazione, ed il primo esercizionon può esserlo mai essendo di avvio attività e come tale escluso dalla disciplina delle società di comodo. In sostanza, per la Corte di Cassazione, la normativa delle società di comodo non è applicabile nei primi tre anni di attività (con esclusione del periodo d’imposta di costituzione della società), anche se per il secondo ed il terzo non esiste una specifica causa di esclusione.
1° Esempio. Una società costituita nel corso del 2024, non può essere accertata per il 2026 applicando la disciplina delle società di comodo, in quando non sussistono almeno tre esercizi utili (quindi da considerare nel conteggio del test di operatività).
2° Esempio. Per una società costituita nel 2023, i periodi d’imposta 2024 e 2025 non possono essere accertati con la disciplina delle società di comodo, posto che il 2023, anno di costituzione, è escluso dalla disciplina in commento.
3° Esempio. Ad una società, al secondo periodo d’attività, il test non è validamente applicabile per mancanza del triennio completo utile (essendo presente solo i dati dell’esercizio in corso e del precedente).
In senso contrario si è espressa l’Agenzia delle Entrate nella circolare 25/2007, secondo la quale nel conteggio deve essere considerato anche il primo periodo d’imposta (quello di costituzione della società). Nel citato documento di prassi è stato precisato che nella determinazione dei ricavi presunti e di quelli effettivi occorre considerare i due periodi di imposta precedentia quello in osservazione, anche se interessati da cause di esclusione dall’applicazione della norma. Per le società costituitesi da meno di tre periodi d’imposta, il valore medio in esame dovrà essere calcolato con riferimento al periodo d’imposta in osservazione e a quello immediatamente precedente (coincidente quest’ultimo con l’esercizio di costituzione).
A parere della Suprema Corte, la presenza di almeno un triennio consente di garantire attendibilità al test di operatività, essendo in tal modo garantito, il superamento delle “difficoltà di avviamento” che caratterizzano i primi anni di esercizio dell’attività. Il ragionamento fatto dalla Corte è il seguente: se il periodo d’imposta di costituzione è escluso dalla disciplina delle società di comodo, come tale, non rileva neppure nell’effettuazione dei conteggi.
Società che si trovano nel primo periodo d’imposta: si ricorda che nel primo periodo d’imposta, ai sensi dell’art. 30, Legge n. 724/1994, esiste una causa di esclusione dall’applicazione delle società di comodo e che il primo esercizio dell’attività coincide con la apertura della partita IVA. Non rientrano nell’esclusione le società neo-costituite a seguito di conferimento, scissione o fusione.
Trasformazione societaria e valore degli immobili
Nell’ordinanza 21 maggio 2025, n. 13583, la Corte di Cassazione ha affrontato la questione del valore da attribuire agli immobili nei test di operatività nel caso di trasformazione societaria. L’ufficio nell’avviso di accertamento aveva utilizzato il valore di perizia degli immobili effettuata in sede di trasformazione da società di persone in società di capitali. La Suprema Corte non ha condiviso il ragionamento dell’ufficio partendo dalla considerazione che, ai sensi dell’art. 170 TUIR, la trasformazione non costituisce realizzo, né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni. Ciò significa che la trasformazione è un’operazione fiscalmente neutra che presuppone il rispetto della continuità dei valori contabili. La neutralità fiscale riguarda sia i maggiori sia i minori valori iscritti rispetto a quelli storici dei beni presenti nel bilancio della società trasformata. Ne deriva che, nel caso in cui la stima evidenzi maggiori valori rispetto a quelli di iscrizione in bilancio, essi, anche se recepiti nella contabilità della società trasformata, originano plusvalori non imponibili ai sensi dell’art. 110, comma 1, lett. c), del TUIR.
Inoltre, la Corte ha osservato che ogni volta in cui si è voluto attribuire rilevanza a una rivalutazione dei beni questo è espressamente previsto dalla legge stabilendo, in linea di principio, il pagamento di un’imposta sostitutiva. La Corte conclude affermando che non era possibile attribuire rilevanza, ai fini del c.d. “test di operatività”, al valore di bilancio presente nella società trasformata corrispondente a quello stimato nella relazione redatta a norma dell’art. 2500-ter c.c., ma doveva essere assunto il costo storico (quindi il valore non rivalutato) come determinato ai sensi dell’art. 110, TUIR), presente nel bilancio della società trasformanda.
Riferimenti normativi:
- D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 110, 170;
- Legge 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30;
- Cass. civ., sez. trib., ord. 24 settembre 2025, n. 25992;
- Cass. civ., sez. trib., ord. 7 settembre 2025, n. 24732;
- Cass. civ., sez. trib., ord. 30 luglio 2025, n. 22007;
- Cass. civ., sez. trib., ord. 21 maggio 2025, n. 13583.
Il contenuto di questa newsletter è strettamente riservato e destinato esclusivamente ai destinatari autorizzati.
È espressamente vietata la condivisione totale o parziale di questa comunicazione su qualsiasi piattaforma pubblica o privata, inclusi (ma non limitati a):
• Gruppi e canali Telegram
• Chat di gruppo o broadcast su WhatsApp
• Post o storie su Facebook, Instagram, X (Twitter), LinkedIn, o altri social network.
Ogni violazione di questa norma potrà comportare l’esclusione immediata dalla lista dei destinatari e, nei casi più gravi, azioni legali.