1° Documento Riservato: Tasso, non tasso (il Covid, così lontano, così vicino)

CIRCOLARE MONOGRAFICA

DI MASSIMILIANO TASINI | 6 OTTOBRE 2025

Il riporto delle perdite Covid tra interpretazioni fiscali e principi di diritto

Si esaminano le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sul riporto delle perdite 2020 in presenza di contributi Covid. L’Amministrazione li qualifica come “proventi esenti”, riducendo le perdite utilizzabili, mentre il dettato normativo parla di componenti positivi esclusi. Vediamo insieme le incongruenze della tesi erariale e le possibili ricadute economiche e sociali, rimettendo alla giurisprudenza la valutazione finale.

Premessa

In queste settimane il dibattito sul Coronavirus è ripreso di buona lena; a leggere i bollettini medici, sembra registrarsi un incremento dei casi registrati, e peraltro parlando con amici e parenti è raro non incontrare qualcuno che recentemente è stato contagiato.

Ci siamo abituati a convivere con il virus, ci siamo rafforzati, immunizzati. Ma, il trauma di quel terribile inverno del 2020 sarà sempre nei nostri pensieri.

Per noi professionisti la sfida era duplice, poiché occorreva garantire continuità operativa al servizio di imprese e cittadini: per carità, ben più di noi tanti e tanti hanno quotidianamente messo a repentaglio la loro vita per aiutare chi soffriva, ma di certo anche per noi non è stata una passeggiata di salute.

Il contesto nel quale furono emanati i provvedimenti legislativi era chiaramente emergenziale; immaginare che i provvedimenti potessero essere capolavori di tecnica normativa era impensabile, e qua e là qualcosa poteva scappare.

Ed infatti è scappato.

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate

Circolano schemi d’atto con i quali l’Agenzia delle Entrate contesta per le annualità successive al 2020 le perdite maturate nel 2020 in presenza di sussidi Covid.

Il riporto delle perdite di impresa è regolato dal comma 1 dell’art. 84 TUIR, in base al quale:

“La perdita di un periodo d’imposta, determinata con le stesse norme valevoli per la determinazione del reddito, può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi in misura non superiore all’ottanta per cento del reddito imponibile di ciascuno di essi … la perdita è diminuita dei proventi esenti dall’imposta … per la parte del loro ammontare che eccede i componenti negativi non dedotti ai sensi dell’articolo 109, comma 5”.

Cosa troviamo nel conto economicovoce A5, relativo all’esercizio 2020? I contributi/crediti di imposta erogati in conseguenza della pandemia quali ad esempio: il contributo di cui all’art. 25 del D.L. n. 34 /2020 per riduzione del fatturato di oltre un terzo, il credito di imposta di cui all’art. 125dello stesso D.L. per la sanificazione e l’acquisto di dispositivi di protezione nonché il contributo a fondo perduto di cui all’art. 48 dello stesso Decreto per la patrimonializzazione delle imprese esportatrici.

Naturalmente, ogni professionista ha considerato tali contributi non tassabili, in virtù dell’art. 10-bis del D.L. n. 137 del 28 ottobre 2020, in base al quale:

“I contributi e le indennità di qualsiasi natura erogati in via eccezionale a seguito dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 e diversi da quelli esistenti prima della medesima emergenza, da chiunque erogati e indipendentemente dalle modalità di fruizione e contabilizzazione, spettanti ai soggetti esercenti impresa, arte o professione, nonché ai lavoratori autonomi, non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive”.

C’è scritto che non concorrono alla formazione del reddito imponibile.

Non c’è scritto che sono esenti.

Tuttavia, a parere dell’Agenzia delle Entrate, si tratta di proventi esenti, per almeno due ragioni.

La prima. Il citato art. 10-bis prevede che detti contributi ed indennità

Non rilevano ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi …”.

E, siccome queste due disposizioni esplicano i loro effetti solo in presenza di proventi esenti, non può che trattarsi di proventi esenti.

La seconda. L’esenzione discende dalla applicazione di leggi speciali, che derogano ai criteri generali dell’ordinamento, con finalità prettamente agevolative; invece, l’esclusione è fondata su ragioni di ordine sistematico, correlate ad esempio alla esigenza di evitare una doppia imposizione su componenti positivi, che di fatto hanno già scontato una forma di tassazione.

Pertanto, a parere dell’Agenzia,

Derubricare i contributi Covid come altrettanti proventi esclusi genererebbe l’effetto di garantire una doppia mancata imposizione: nell’anno della percezione dell’aiuto e, se del caso, in quello di utilizzo della perdita fiscale generata dalla sua mancata ripresa in diminuzione in dichiarazione”.

Insomma, per l’anno Covid non pagate imposte ma quando utilizzerete quelle perdite le pagherete. Corollario di questa tesi è che naturalmente se perdita non vi è stata, mai vi sarà occasione di tassare quel contributo sotto forma di perdita non utilizzabile.

Le critiche alla tesi erariale

Il Dossier predisposto dal Senato della Repubblica e dalla Camera dei Deputati al Decreto Legge – A.S. 1994 – conferma trattarsi di componenti positivi che non concorrono alla formazione del reddito imponibile.

Detto questo, la tesi erariale si presta ad obiezioni di non scarso rilievo.

Iniziamo dal secondo argomento dell’Agenzia, che sul piano sistematico merita però di essere trattato per primo. Si sostiene che l’esclusione per sua natura è fondata su ragioni di ordine sistematico, correlate ad esempio alla esigenza di evitare una doppia imposizione su componenti positivi.

Ma, questa tesi è difficilmente sostenibile, e basterà esaminare la disciplina della PEX, che contempla una esenzione – e non una esclusione – proprio per evitare fenomeni di doppia imposizione, tesi che trova conferma negli stessi documenti di prassi dell’Agenzia, oltreché in decine di manuali di diritto tributario, che a lungo si soffermano sui metodi per evitare i meccanismi di doppia imposizione.

La circolare 29 marzo 2013, n. 7/E dell’Agenzia delle Entrate, riguardo proprio alla PEX osservava che essa

Persegue la finalità di eliminare la doppia tassazione economica”.

Prima ancora, la circolare 4 agosto 2004, n. 36/E dell’Agenzia delle Entrate, sempre in materia di PEX, aveva precisato che:

… nel caso di utili da partecipazione si è in presenza di una “esclusione”, mentre in ipotesi di plusvalenze deve propriamente parlarsi di “esenzione”. La distinzione assume rilievo sostanziale agli effetti della deducibilità dei costi. L’art. 109, comma 5, del nuovo TUIR, prevede, infatti, che “le spese e gli altri componenti negativi … sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”. In particolare, in applicazione della predetta norma, si desume che: 
• i costi connessi alla gestione delle partecipazioni risultano deducibili in quanto afferenti a proventi “esclusi” dall’imponibile; ciò in coerenza con il criterio direttivo indicato all’art. 4, lett. d), della Legge delega; 
• i costi di cessione della partecipazione non sono deducibili in quanto correlati ad un provento esente, quale è la plusvalenza realizzata in occasione di detta cessione
”.

Dunque, la distinzione tra esenzione ed esclusione è ben chiara al legislatore, e fa bene l’Agenzia delle Entrate a chiosare sul punto ed a trarne i necessari corollari.

Il legislatore può stabilire l’esclusione o l’esenzione. Il legislatore può anche sbagliare, e forse sbagliare nel periodo Covid era molto ma molto ma molto facile. Ma se una norma si esprime nel senso della esclusione, non è possibile riqualificare la fattispecie come esenzione, nemmeno se a quel legislatore è (contraddittoriamente) sfuggita la penna aggiungendo il riferimento agli artt. 61 e 109 TUIR. Del caso, sarà compito della Corte Costituzionale censurare la norma per la sua eventuale irrazionalità, mentre ai Giudici non resta che applicarla.

E, d’altra parte, la stessa Agenzia delle Entrate, nella Risposta n. 618/2021 ha tacciato di inammissibilità la richiesta di chiarimenti formulata da un contribuente, il quale chiedeva quale fosse il regime di tassazione dei contributi Covid e quali i profili dichiarativi. Dice l’Agenzia: non c’è una questione interpretativa, la norma è chiara nel senso della esclusione (mai si fa cenno alla diversa ipotesi della esenzione).

Sotto altro profilo, deve essere rilevato che i ristori ex Covid hanno in tutta evidenza un carattere marcatamente risarcitorio. Colpire un’impresa che riporta le perdite sofferte nel periodo Covid significa colpire seppure in modo differito nel tempo un provento accordato per fare fronte ad una crisi che non ha precedenti. L’Agenzia delle Entrate è certamente organo di carattere tecnico, ma non possono sfuggire le conseguenze di ordine sociale conseguenti ad una simile valutazione: e, che di valutazione si tratti, è certo, poiché l’interpretazione adottata supera in modo limpido il dettato normativo.

Conclusioni

L’opera di “restauro” del trattamento tributario delle agevolazioni Covid nel 2025 trova già un precedente notevole nella Risposta dell’Agenzia delle Entrate n. 35/2025, che ha negato l’applicabilità della “detassazione Covid” ai contributi in conto impianti. La posizione aveva già suscitato forti critiche, poiché ai più apparsa illogica, contraria alla ratio della norma agevolativa di cui all’art. 10-bis, D.L. n. 137/2021 ma anche contraria ai principi che governano il reddito di impresa.

Ora la sferzata è più netta e di portata generale. E tuttavia, è difficile non far valere il notissimo brocardo ubi lex vòluit dìxit, ubi nòluit tàcuit. La parola alla giurisprudenza.

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