CIRCOLARE MONOGRAFICA
DI MATTEO RIZZARDI | 22 OTTOBRE 2025
In via di interpretazione estensiva la Cassazione riconduce un caso di “do ut facias” al trasferimento di un immobile in corso di costruzione
L’agevolazione fiscale per l’acquisto della “prima casa” costituisce da decenni una scelta normativa fondamentale delle politiche abitative nazionali, mirando a favorire la soddisfazione del bisogno primario di disporre di un’abitazione principale. Il regime di favore, originariamente concepito per gli immobili già ultimati, ha conosciuto, nel tempo, una significativa evoluzione interpretativa ad opera della prassi amministrativa e della giurisprudenza di legittimità, estendendosi progressivamente alle fattispecie più complesse, quali l’acquisto di fabbricati in corso di costruzione e, recentemente, anche a negozi giuridici atipici.
Il quadro normativo, la prassi e l’immobile in divenire
Il dettato normativo, in particolare la Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986 (applicabile all’imposta di registro) e il richiamo contenuto nella Tabella A, Parte II, n. 21, del D.P.R. n. 633/1972 (per l’IVA), prevede l’applicazione dell’aliquota ridotta a condizione che l’immobile acquistato non rientri nelle categorie catastali A/1, A/8 o A/9, ovvero che non si tratti di abitazione di lusso secondo i parametri originari del D.M. 2 agosto 1969.
Già da tempo, la prassi amministrativa e la giurisprudenza hanno riconosciuto l’applicabilità dell’agevolazione anche all’acquisto di fabbricati “in corso di costruzione”. Tale principio trova il suo fondamento nella ratio della norma stessa.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, l’agevolazione spetta anche se l’immobile si trova in “qualsiasi stadio dell’opera, quindi anche un fabbricato alle fondamenta”.
La circolare 38/E del 2005 ha chiarito che il beneficio si applica a patto che l’immobile presenti, “seppure in fieri, le caratteristiche delle abitazioni non di lusso”.
L’acquirente è tenuto a rendere una dichiarazione in atto in cui si impegna a “non rendere l’abitazione di lusso nel prosieguo dei lavori”.
Questo orientamento è stato ampiamente consolidato dalla Corte di Cassazione, la quale ha affermato che i benefici fiscali per l’acquisto della “prima casa” spettano “anche all’ acquirente di immobile in corso di costruzione, da destinare ad abitazione non di lusso”.
La disciplina dei termini e l’ultimazione dei lavori
L’aspetto più delicato per gli immobili non ultimati riguarda i termini per la conservazione del beneficio.
Poiché la normativa agevolativa non fissava inizialmente un termine per l’ultimazione dei lavori, la prassi ha colmato il vuoto prevedendo che il contribuente, al fine di conservare l’agevolazione, debba dare dimostrazione dell’ultimazione dei lavori entro tre anni dalla registrazione dell’atto.
Tale termine triennale non è arbitrario, ma è stato fatto coincidere con il termine di decadenza del potere di accertamento dell’imposta di registro di cui all’art. 76 del T.U.R.
La Suprema Corte ha specificato che se il legislatore non fissa il termine entro il quale la condizione per il riconoscimento del beneficio deve verificarsi, tale termine “non può essere mai più ampio di quello previsto per i relativi controlli, i quali, diversamente, non avrebbero alcun senso”.
Secondo la prassi, qualora l’immobile non sia ultimato entro il triennio o presenti caratteristiche non agevolabili (A/1, A/8, A/9), il contribuente decade dai benefici.
È stato altresì precisato che il termine triennale di decadenza degli uffici decorre dall’ultimazione dei lavori stessi, per evitare la “situazione paradossale in base alla quale il termine per l’ultimazione dei lavori e quello per l’accertamento coincidono”.
È importante notare che, nel periodo di emergenza Covid-19, il termine di tre anni per l’ultimazione dei lavori non è rientrato tra i termini oggetto di sospensione (a differenza di quello di 18 mesi per il trasferimento di residenza o di un anno per il riacquisto).
L’estensione del beneficio ai negozi atipici: commento all’ordinanza 25761/2025
L’evoluzione giurisprudenziale ha trovato un punto di approdo fondamentale nell’estensione del beneficio non solo agli acquisti di immobili in costruzione, ma anche alle operazioni negoziali atipiche che hanno ad oggetto beni futuri, come evidenziato dall’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. trib., n. 25761, depositata il 22 settembre 2025.
Il caso esaminato dalla Corte Suprema traeva origine da un avviso di liquidazione emesso dall’Agenzia delle Entrate a seguito di un “contratto atipico (do ut facias, consistente in cessione di immobile contro costruzione di tre unità immobiliari abitative)”.
L’Amministrazione finanziaria aveva revocato l’agevolazione “prima casa”, sostenendo che la fattispecie di “cessione di bene presente contro bene futuro” non fosse espressamente contemplata dalla legge e che, trattandosi di norma speciale e derogatoria, non potesse essere estesa analogicamente.
La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ha posto al centro la finalità sostanziale della norma agevolativa, in linea con i suoi precedenti che già riconoscevano il beneficio per gli immobili in costruzione (e persino per fabbricati collabenti destinati a essere ricostruiti).
Gli Ermellini hanno ribadito che l’estensione del beneficio “alle ipotesi di immobili in corso di costruzione, da destinare ad abitazione non di lusso, risponde quindi alla medesima finalità dell’agevolazione ‘prima casa’, cioè favorire l’acquisto dell’abitazione principale”.
Di conseguenza, “deve prevalere l’effettiva destinazione dell’immobile rispetto al suo stato in divenire al momento dell’acquisto”.
Applicando tale impianto teorico, la Cassazione ha ritenuto che escludere l’agevolazione per la sola circostanza che l’immobile sia in costruzione determinerebbe “una disparità di trattamento irragionevole tra chi acquista un’abitazione già completata e chi, con lo stesso intento abitativo, acquista un bene ancora da ultimare”.
In entrambi i casi, l’acquisto “risponde alla medesima esigenza di soddisfare il bisogno abitativo primario del contribuente”.
La conclusione logica del ragionamento è stata l’assimilazione del contratto atipico – nella fattispecie, il do ut facias che realizzava una permuta di cosa presente contro cosa futura – alla cessione di un bene in corso di costruzione.
Il principio di diritto cristallizzato dalla Suprema Corte è inequivocabile: “l’agevolazione ‘prima casa’ di cui all’art. 1 Tariffa Parte I, Nota II-bis del d.lgs. 131/1986 in materia di imposta di registro ricomprende anche l’ipotesi degli immobili in corso di costruzione destinati ad abitazione non di lusso, ivi comprese le ipotesi in cui vengano in rilievo operazioni atipiche (nella fattispecie permute e do ut facias) inerenti ad immobili ancora da costruire, laddove realizzano la finalità di assicurare una prima casa all’acquirente, risultando coerenti con la finalità della norma, che consiste nel favorire l’acquisto dell’abitazione principale, ed assumendo in ogni caso rilievo, a tal fine, l’effettiva destinazione dell’immobile a residenza, da realizzarsi entro i termini di legge”.
Riflessioni giuridiche e interpretative
L’orientamento espresso dalla Cassazione n. 25761/2025 non è solo un chiarimento operativo, ma rappresenta un momento di grande rilevanza interpretativa che privilegia l’approccio funzionale alla norma agevolativa rispetto all’interpretazione strettamente letterale o formale.
L’Amministrazione finanziaria aveva correttamente invocato il principio secondo cui una norma speciale e derogatoria, come quella fiscale di favore, non può essere estesa per analogia.
Tuttavia, la Corte ha superato questa rigida impostazione non attraverso una vera e propria analogia, ma attraverso una interpretazione estensiva basata sulla eadem ratio.
L’operazione atipica (permuta di cosa presente contro costruzione di cosa futura) viene ricondotta concettualmente al trasferimento di un immobile in corso di costruzione (il cui beneficio era già consolidato).
Il perno di tutta la costruzione giuridica è l’impegno del contribuente a destinare l’immobile a residenza principale, un impegno che deve concretizzarsi entro il termine triennale di decadenza del potere di accertamento dell’Ufficio.
Si pone così l’accento sulla condizione sostanziale finale (l’abitazione principale non di lusso) e non sullo stato materiale o sulla forma contrattuale al momento del trasferimento.
Conclusioni: la funzione equitativa della giurisprudenza
L’evoluzione della normativa “prima casa” per i fabbricati in costruzione riflette la necessità di adattare il beneficio alle dinamiche del mercato immobiliare e ai moderni schemi negoziali.
In assenza di un espresso intervento legislativo che contemplasse esplicitamente i negozi atipici aventi ad oggetto immobili futuri, la giurisprudenza di legittimità ha assunto un ruolo cruciale, garantendo coerenza e equità.
L’orientamento della Cassazione, culminato nell’ordinanza del 2025, appare lodevole poiché evita un irragionevole scollamento tra l’intenzione abitativa, che è la vera ratio della norma, e la sua applicazione concreta, che rischiava di penalizzare chi accede al bene primario attraverso operazioni più complesse o in fasi iniziali di realizzazione.
Tuttavia, pur riconoscendo la potenza del principio espresso (“l’effettiva destinazione dell’immobile a residenza” come elemento dirimente), emerge la critica implicita alla necessità che sia la Suprema Corte a dovere costantemente colmare le lacune della legislazione fiscale attraverso un’interpretazione così marcatamente funzionale.
La chiarezza normativa, soprattutto in un ambito così sensibile come quello tributario, ridurrebbe il contenzioso e rafforzerebbe la certezza del diritto fin dall’atto di stipula, rendendo meno necessaria la complessa assimilazione di negozi atipici a fattispecie previste in modo restrittivo.
Nonostante ciò, l’ordinanza n. 25761/2025 fissa un punto fermo, ribadendo che, di fronte al bisogno abitativo primario, la sostanza prevale sulla forma.
Riferimenti normativi:
- D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 76 e Tariffa;
- D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, Tabella A;
- Cass. civ., sez. trib., ord. 22 settembre 2025, n. 25761.
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