RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
A CURA DI FABIO PACE | 10 OTTOBRE 2025
ACCERTAMENTO
Induttivo
Cessioni di immobili e valori OMI – Cass., Sez. trib., Ord. 9 settembre 2025, n. 24881
L’Agenzia eccepisce omessa contabilizzazione di ricavi per cessioni di immobili a terzi.
L’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili non può essere fondato solo sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita e il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (Cass., Sez. 5, 25 gennaio 2019, n. 2155).
Ferma la legittimità del criterio di stima sintetico-comparativo non è precluso al giudice fondare il proprio convincimento su un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e gravità, ma la rettifica del valore di un bene immobile non può basarsi solo sugli indici dell’Osservatorio dei valori medi di mercato di immobili similari siti nella medesima zona di quello considerato (OMI). Tali indici hanno una valenza puramente orientativa e di larga massima (Cass., Sez. 5, 11 maggio 2018, n. 11439), così da necessitare di adeguati riscontri probatori mirati su evenienze estimative di tipo non generale e statistico, ma concreto e specificamente concernente l’immobile oggetto di rettifica (Cass., Sez. 5, 5 febbraio 2024, n. 3202).
Nella specie, la ripresa, oltre al confronto dei prezzi delle compravendite dichiarati con i valori OMI, è radicata sul raffronto dei prezzi di vendita con quelli al metro quadro degli immobili nella stessa zona, nonché sul confronto con immobili simili per caratteristiche venduti dalla società a prezzi dichiaratamente diversi, e sulla presenza di vendite sottocosto emergenti dai prospetti presentati dalla società sul dettaglio delle rimanenze. Si tratta di elementi tutti potenzialmente decisivi perché astrattamente idonei a confermare le incongruenze evidenziate dai valori OMI e che non sono stati presi in considerazione dal giudice.
Prove
Disconoscimento di costi per fatture inesistenti – Cass., Sez. trib., Ord. 19 agosto 2025, n. 23516
L’Ufficio contesta l’inesistenza delle prestazioni fatturate; la CTR valorizzerebbe l’esistenza formale di un contratto, la coerenza dell’oggetto sociale dichiarato con le presunte attività rese e la liquidazione delle fatture. Tali aspetti non sono a controprove alle presunzioni dell’Ufficio per dimostrare la falsità delle fatture.
Nell’attività d’impresa, per disconoscere la deducibilità dei costi risultanti da una fattura emessa per operazioni oggettivamente inesistenti, l’A.F. ha l’onere di dimostrare, attraverso prove dirette o indiziarie, la fittizietà dell’operazione, spettando, invece, al contribuente fornire la rigorosa prova del contrario, che non può consistere nella mera esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché facilmente falsificabili e normalmente utilizzati proprio per fare apparire reale un’operazione fittizia (Cass. ord. 19 aprile 2025, n. 10336; sent. 19 dicembre 2019, n. 33915).
Nella specie, la Corte non ha considerato gli elementi presuntivi addotti dall’Ufficio, in tale modo invertendo l’onere della prova, in violazione della disciplina applicabile.
Responsabilità solidale
Componenti di consiglio direttivo di ASD – Cass., Sez. trib., Ord. 2 ottobre 2025, n. 26544
La questione investe l’estensione soggettiva della responsabilità tributaria dei componenti del consiglio direttivo di un’associazione sportiva dilettantistica.
La responsabilità personale e solidale ex art. 38, secondo comma, c.c. per le obbligazioni tributarie dell’associazione sportiva dilettantistica del semplice componente del consiglio direttivo, che non sia anche legale rappresentante e sottoscrittore della dichiarazione, non è automatica e richiede la dimostrazione da parte dell’A.F. di una sua attività negoziale concretamente svolta nei confronti di terzi per conto dell’ente, creando rapporti obbligatori fra questa e i terzi.
Nessun dubbio sussiste sulla responsabilità per le obbligazioni tributarie dell’associazione in capo a chi ha ricoperto la carica di legale rappresentante e sottoscritto la dichiarazione (Cass. ord. 30 giugno 2025, n. 17576; sent. 2 maggio 2024, n. 11869). Più complessa è la posizione dei componenti del consiglio direttivo.
La responsabilità personale e solidale ex art. 38 c.c. di chi ha agito in nome e per conto dell’associazione riconosciuta sussiste in quanto collegata non alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, ma all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori tra l’ente e terzi (Cass., Sez. 1, 18 aprile 2024, n. 10490; Cass., Sez. 3, 25 agosto 2014, n. 18188; Sez. 3, 14 dicembre 2007, n. 26290). Ciò vale anche per le obbligazioni tributarie e l’onere della prova in capo all’A.F.
L’estensione soggettiva della responsabilità per le obbligazioni tributarie dell’ente investe il singolo componente del consiglio direttivo solo quando la proiezione esterna che impegna l’associazione verso terzi sia stata concretamente esercitata attraverso un’attività negoziale che impegni l’ente verso terzi.
Ai fini dell’applicazione dell’art. 38 c.c., non basta che l’Agenzia dimostri la carica rivestita dalla persona di componente del consiglio direttivo dell’ente, ma va fornita la prova della concreta attività svolta da costui in nome e per conto dell’associazione e tale onere, circa le obbligazioni tributarie dell’ente, grava sull’A.F.
CATASTO
Classamento di unità immobiliari urbane
Variazione della rendita immobiliare con procedura DOCFA – Cass., Sez. trib., Ord. 1° settembre 2025, n. 24294
L’Agenzia contesta l’uso della procedura DOCFA per variare la rendita di un immobile che aveva perso di pregio dal momento dell’accatastamento.
Secondo l’Agenzia, il contribuente avrebbe utilizzato la procedura DOCFA, riservata alla variazione relativa al mutamento di consistenza dello stato dell’immobile (ristrutturazioni) e non anche ai casi di mancanza di attualità della rendita per motivi esterni, quali l’obsolescenza degli impianti tecnologici dell’immobile o la sua vetustà (in generale) o la modifica della zona (degrado). La procedura DOCFA – utilizzata dal contribuente – risulta incontestata nei giudizi di merito (e neanche nell’avviso di accertamento).
Nel caso in giudizio, inoltre, l’immobile ha subito un’obsolescenza degli impianti tecnologici e l’eliminazione del servizio di portineria, elementi ritenuti, con accertamenti in fatto insindacabili in sede di legittimità, idonei a comportare una revisione della rendita, proprio con una DOCFA (con modifica di categoria e classe).
IMPOSTE DIRETTE
Deduzioni
Spese di rappresentanza deducibili solo se è provata l’inerenza – Cass., Sez. trib., Ord. 2 ottobre 2025, n. 26553
Si discute se la deducibilità delle spese di rappresentanza vada subordinata all’indicazione analitica dei clienti destinatari degli omaggi, piuttosto che a un giudizio di ragionevolezza e conformità agli usi di settore.
In tema di deducibilità delle spese promozionali da parte del professionista, non è sufficiente la dimostrazione dell’astratta possibilità di ricomprendere un bene acquistato tra le spese di rappresentanza, in considerazione della sua natura, per rendere in concreto deducibile l’onere sostenuto per l’acquisto, occorrendo assicurare la prova che l’acquisto sia stato effettivamente destinato a finalità promozionali dell’attività professionale e non personali e che, pertanto, gli esborsi sostenuti rispettino il requisito dell’inerenza.
Al ricorrere delle condizioni di legge, gli esborsi sostenuti per le spese di rappresentanza, per finalità promozionali dell’attività e di pubbliche relazioni, sono potenzialmente deducibili nella misura dell’1%.
L’A.F. contesta il difetto di prova di inerenza delle spese sostenute con l’attività professionale svolta, trattandosi di oneri, acquisti di gioielli, ecc., che possono essere stati sostenuti per finalità personali.
La prova dell’inerenza degli oneri deducibili compete al contribuente, che deve provare la destinazione a finalità promozionale dell’attività, cioè l’effettiva destinazione dei singoli beni.
IVA
Detrazione
Realizzazione di fabbricati ad uso abitativo – Cass., Sez. trib., Ord. 14 agosto 2025, n. 23296
L’Agenzia sostiene l’indetraibilità oggettiva degli immobili con destinazione abitativa, da cui conseguirebbe che l’IVA corrisposta per le opere di realizzazione dell’autorimessa e del piazzale, costituenti pertinenze dell’immobile adibito a studio notarile, ma con destinazione abitativa, non sarebbe detraibile.
Ai fini della detrazione IVA nelle operazioni relative a immobili a destinazione abitativa, la natura strumentale del bene acquistato va valutata non solo in astratto, con riferimento all’oggetto dell’attività d’impresa, ma in concreto, dovendosi verificare che lo stesso costituisce, anche in funzione programmatica, il mezzo per esercitare la suddetta attività (Cass. 12 febbraio 2020, n. 3396; Cass. 26 febbraio 2019, n. 5559).
Nella specie, la realizzazione dell’autorimessa e del piazzale erano necessarie alla ristrutturazione dell’immobile adibito a studio notarile e il bene principale, sebbene catastalmente ad uso abitativo, era stato utilizzato come studio professionale. Pertanto, l’IVA versata sulle opere di realizzazione dell’autorimessa e del piazzale è stata detratta legittimamente, non essendo nemmeno rilevante che lo studio sia solo usufruttuario dell’area pertinenziale (dove è stata costruita l’autorimessa e il piazzale), spettando la nuda proprietà a un associato, poiché la titolarità dell’usufrutto non fa venire meno il vincolo pertinenziale.
PROCESSO TRIBUTARIO
Giudicato
Pronuncia riferita ad altra annualità – Cass., Sez. trib., Ord. 6 agosto 2025, n. 22748
Si denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia sull’eccezione di giudicato esterno.
Il contribuente ha dedotto ed eccepito l’esistenza di una precedente pronuncia della CTR in relazione a pregressa annualità per la stessa imposta. Su tale eccezione è mancata qualsiasi decisione da parte della CTR. A prescindere da eventuali profili di inammissibilità (perché tardivamente proposta) o infondatezza (per non essere la sentenza della CTR passata in giudicato) dell’eccezione, la CTR avrebbe dovuto delibarla, donde la configurazione della prospettata violazione dell’art. 112 c.p.c.
Incidenti
Il subentro di Agenzia entrate-Riscossione a Equitalia non comporta interruzione ed estinzione del giudizio – Cass., Sez. trib., Ord. 3 ottobre 2025, n. 26689
In seguito alla successione ex lege, in corso di causa, di Agenzia entrate-Riscossione a una società del gruppo Equitalia, si censura la dichiarazione di interruzione e, poi, di estinzione del processo.
L’errata dichiarazione di interruzione del processo tributario ex art. 40, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 546/1992, per la successione a titolo universale dell’Agenzia delle entrate-Riscossione a una società del gruppo Equitalia (art. 1, comma 3, del D.L. n. 193/2016), non ne comporta l’estinzione per inattività delle parti ex art. 45 del D.Lgs. n. 546/1992, in caso di inosservanza del termine semestrale per la riassunzione ex art. 43, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992.
La successione a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, di Agenzia delle entrate-Riscossione alle società del gruppo Equitalia, pur costituendo una fattispecie estintiva riconducibile al subentro in universum ius, riguarda il trasferimento tra enti pubblici, senza soluzione di continuità, del munus publicum riferito all’attività della riscossione, così che il fenomeno non comporta la necessità di interruzione del processo in relazione agli artt. 299 e 300 c.p.c. (Cass., S.U., 8 giugno 2021, n. 15911).
La mancata riassunzione, nel termine perentorio di sei mesi, del processo dichiarato interrotto (o sospeso) ne determina l’estinzione ai sensi degli artt. 43 e 45 del D.Lgs. n. 546/1992, sempre che, al momento della pronuncia di interruzione (o sospensione), siano effettivamente sussistenti i relativi presupposti, con la conseguenza che, qualora risulti, invece, che essi erano insussistenti, l’inosservanza del suddetto termine perentorio è irrilevante e non comporta l’estinzione del processo tardivamente riassunto (Cass., Sez. Lav., 19 aprile 2000, n. 5160; Cass., Sez. 2, 23 dicembre 2010, n. 26010; Cass., Sez. 1, 29 dicembre 2011, n. 30035; Cass., Sez. 5, 28 ottobre 2015, n. 1956; Cass., Sez. Trib., 20 febbraio 2024, n. 4508).
Litisconsorzio
Appelli di sentenze nei confronti di società e soci – Cass., Sez. trib., Ord. 10 settembre 2025, n. 24940
Si contesta la mancata riunione da parte della CTR, chiesta nell’atto di gravame degli appelli avverso le sentenze della CTP, emesse nei confronti della società e dei soci, per litisconsorzio necessario.
L’unitarietà dell’accertamento a base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui all’art. 5 del TUIR e dei loro soci e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ogni socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili e indipendentemente dalla loro percezione, comporta che il ricorso proposto da uno dei soci o dalla società, anche avverso un solo avviso di rettifica, riguarda inscindibilmente sia la società, che tutti i soci, salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali. Pertanto, tutti questi soggetti devono essere parti dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni. Questa, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria, ma gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto impugnato, con configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Pertanto, il ricorso proposto anche da uno solo dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ex art. 14 del D.Lgs. n. 546/1992 (salva la possibilità di riunione ex art. 29) e il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche d’ufficio (Cass., S.U., sent. 4 giugno 2008, n. 14815; Cass. ord. 23 settembre 2019, n. 23585).
Va disposta la riunione quando la complessiva fattispecie, oltre che dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto dell’atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse, sia caratterizzata da: 1) identità oggettiva quanto a causa petendi dei ricorsi; 2) simultanea proposizione degli stessi avverso il sostanzialmente unitario avviso di accertamento e, quindi, identità di difese; 3) simultanea trattazione degli afferenti processi innanzi a entrambi i giudici del merito; 4) identità sostanziale delle decisioni adottate da tali giudici (Cass., Sez. 5, sent. 13 dicembre 2017, n. 29843).
RISCOSSIONE
Decadenza e prescrizione
Ruoli esattoriali e sanzioni: termine di prescrizione – Cass., Sez. trib., Ord. 9 settembre 2025, n. 24900
L’Agenzia rileva che, in caso di sanzioni irrogate contestualmente alle imposte, il termine di prescrizione è quello decennale; anche per gli interessi, trattandosi di obbligazione accessorie a un’obbligazione principale non aventi carattere periodico (cioè le imposte erariali), il termine di prescrizione sarebbe quello decennale.
La prescrizione per le sanzioni e gli interessi è comunque quinquennale.
Il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell’art. 2953 c.c., che disciplina specificamente e in via generale la cd. actio iudicati; se, invece – come nella specie – la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile, vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dall’art. 20 del D.Lgs. n. 472/1997 (Cass. 8 maggio 2024, n. 12528; Cass. 19 settembre 2024, n. 25222).
Gli interessi, invece, si pongono in rapporto di accessorietà rispetto alle obbligazioni principali tributarie solo nel momento genetico, dato che, una volta sorta, l’obbligazione di interessi acquista propria autonomia in virtù della sua progressiva maturazione, uniformandosi, quanto alla prescrizione, al termine quinquennale previsto, in via generale, dall’art. 2948, n. 4), c.c., che prescinde sia dalla tipologia degli interessi, sia dalla natura dell’obbligazione principale (Cass. 24 gennaio 2023, n. 2095; Cass. 8 marzo 2022, n. 7486).
SANZIONI
Violazioni relative alla contabilità
Distinzione tra violazioni formali o sostanziali commesse in dichiarazione – Cass., Sez. trib., Ord. 2 ottobre 2025, n. 26553
Un contribuente eccepisce l’illegittimità della sanzione irrogata con norma finalizzata a sanzionare violazioni formali, mentre la contestata errata indicazione in dichiarazione di costi indeducibili è violazione sostanziale.
Viene chiesta la disapplicazione della sanzione per irregolare tenuta della contabilità, la sanzione prevista dall’art. 9, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997 – viene irrogata quando emergono contabilizzazioni non corrette, tra cui rientra anche l’indebita deduzione di costi non inerenti.
In tema di sanzioni amministrative tributarie, per distinguere tra violazioni formali e sostanziali, è necessario accertare in concreto, con valutazione in fatto riservata al giudice di merito, se la condotta abbia cagionato un danno erariale, incidendo sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta o del versamento del tributo; in assenza di tale pregiudizio, la violazione resta formale, perché lesiva per l’esercizio delle azioni e dei poteri di controllo da parte dell’A.F. (Cass., Sez. V, 10 giugno 2021, n. 16450).
Nella specie, la possibilità di ipotizzare l’integrazione di una violazione sostanziale nella condotta del contribuente non esclude la commissione di una violazione di carattere formale nella tenuta della contabilità, che il giudice del merito, esprimendo il giudizio sul fatto processuale che gli compete, ha condivisibilmente ritenuto che risultasse comunque integrata.
TRIBUTI LOCALI
ICI
Opere abusive costruite su terreno locato – Cass., Sez. trib., Ord. 25 settembre 2025, n. 26166
Si discute se il proprietario del terreno possa essere esonerato dall’ICI in caso di acquisto per accessione in suo favore di fabbricato abusivamente edificato dal conduttore, rispetto al quale egli conservi la sola facoltà di demolizione alla cessazione della locazione.
La lite involge la sussistenza del presupposto impositivo ICI (art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 504/1992) in caso di terreno concesso in locazione, nei riguardi del proprietario locatore, per il fabbricato edificato dal conduttore senza il suo consenso (e a sua insaputa) in difetto di concessione edilizia, quando il proprietario, dopo averne acquisito conoscenza, si sia prontamente attivato per il recupero coattivo della disponibilità del terreno, per l’annullamento in autotutela della concessione in sanatoria nel frattempo rilasciata a favore del conduttore e per la demolizione a proprie spese del fabbricato abusivo subito dopo la restituzione del terreno.
Si ritiene non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 42, secondo comma, e 53, primo comma, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 504/1992, nella parte in cui non esclude la soggezione a ICI del proprietario (o del titolare di altro diritto reale di godimento), che abbia concesso in locazione un terreno, con limitato riguardo al fabbricato edificato dal conduttore sullo stesso terreno in difetto di concessione edilizia e senza l’assenso (preventivo o successivo) del locatore, quando quest’ultimo, dopo averne avuto cognizione, si sia immediatamente attivato in sede giudiziale per la restituzione coattiva del terreno locato, nonché in sede amministrativa per l’annullamento in autotutela della concessione edilizia in sanatoria eventualmente rilasciata al conduttore privo di titolo, e abbia curato la demolizione del manufatto abusivo dopo lo sgombero coattivo del terreno locato.
IMU
Base imponibile delle aree urbane fabbricabili – Cass., Sez. trib., Sent. 3 ottobre 2025, n. 26673
La lite riguarda l’IMU relativa alla proprietà di un’area oggetto di frazionamento catastale. Il Comune nega la spettanza del rimborso, affermata in base alla sola carenza di rendita per l’immobile sovrastante, classificato in catasto, anche considerando la destinazione urbanistica dell’area pertinenziale.
Ai fini IMU, le aree urbane, il cui classamento catastale esclude l’attribuzione di una rendita, ex art. 3, comma 2, lett. d), del D.M. n. 28/1998, non possono essere equiparate ai fabbricati, a causa della carenza di un’edificazione in senso tecnico con la realizzazione di costruzioni coperte su uno o più livelli, né ai terreni agricoli, a causa dell’alterazione subita dallo stato naturale del suolo per effetto delle opere ascrivibili all’intervento antropico, ma devono essere considerate alla stregua di aree fabbricabili, nell’accezione sancita dall’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 504/1992 (quale richiamato dall’art. 13, comma 3, del D.L. n. 201/2011), con la conseguenza che l’imposta deve essere liquidata in base al valore venale in comune commercio, tenendo conto dell’edificabilità desumibile dalle previsioni della pianificazione urbanistica.
L’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel PRG adottato dal Comune, indipendentemente dalla sua approvazione da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi, fermo restando che l’inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone di tenere conto, in concreto, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonché della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio (Cass., Sez. 5, 2 marzo 2018, n. 4952; Sez. 6-5, 3 aprile 2019, n. 9202; Sez. 5, 7 agosto 2019, n. 21080; Sez. 5, 10 marzo 2020, n. 6702; S.U., 29 ottobre 2020, n. 23902; Sez. 5, 16 febbraio 2021, n. 3973; Sez. trib., 1° dicembre 2022, n. 35436; Sez. trib., 11 agosto 2023, n. 24547; Sez. trib., 23 novembre 2023, n. 32662; Sez. trib., 15 maggio 2024, n. 13462; Sez. trib., 19 febbraio 2025, n. 4313; Sez. 6-5, 31 maggio 2018, n. 13820).
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