2° Contenuto Riservato: Assunzione e interposizione illecita di manodopera: l’autonomia organizzativa come discrimine sostanziale

COMMENTO

DI GIOVANNI IMPROTA | 25 NOVEMBRE 2025

Con l’Ordinanza n. 16153/2025 , la Corte di Cassazione ha chiarito che il committente può impartire indicazioni di carattere generale sul servizio appaltato, purché finalizzate a definirne le caratteristiche essenziali, senza che ciò possa comportare un’ingerenza diretta nella gestione dei lavoratori dell’appaltatore ed a condizioni che tali indicazioni si limitino solo a fornire le istruzioni necessarie a coordinare le attività tra committente e appaltatore per il corretto raggiungimento dell’obiettivo contrattuale.

Appalto di servizi e implicazioni giuslavoristiche

L’art. 1655 del Codice civile definisce l’appalto come il contratto “con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”.

Lo schema giuridico del contratto di appalto di servizi trova pertanto applicazione in quelle situazioni in cui un soggetto (Committente) si trova nella necessità di affidare la gestione di specifiche attività che non costituiscono il proprio core business, ma sono meramente funzionali e strumentali ad esso (es.: la gestione di magazzino), ad altro soggetto (Appaltatore), sulla base di un regolare contratto di prestazione di servizi (e non di mera fornitura di manodopera).

Gli elementi tipici del contratto di appalto di servizi sono pertanto i seguenti:

  • organizzazione dei fattori produttivi,che implica per l’appaltatore lo svolgimento di un’attività direttiva e di coordinamento dei diversi elementi per la realizzazione dell’opera o del servizio oggetto del contratto di appalto (capitali, materiali, attrezzature, personale, etc.);
  • assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore, che rappresenta una “naturale” conseguenza derivante dalla gestione dei fattori produttivi.

Il rischio:
→ può concretizzarsi nel fatto che ad esempio la realizzazione dell’opera o del servizio risulti più onerosa per l’appaltatore rispetto a quanto preventivato alla sottoscrizione del contratto di appalto (ferma restando la possibilità per l’appaltatore di concordare con il committente, ai sensi dell’art.1664 c.c., una revisione del corrispettivo pattuito) o, diversamente, nel fatto che la realizzazione dell’opera o servizio si riveli impossibile;
→ non si concretizza solo nella copertura sotto il profilo economico di costi e ricavi, ma va inteso in senso ampio, configurandosi soprattutto nell’alea che deve necessariamente caratterizzare l’attività svolta dall’appaltatore in quanto imprenditore.

  • ampia autonomia dell’appaltatore rispetto al committente, intendendosi per tale la capacità e discrezionalità dell’appaltatore medesimo di predisporre e coordinare l’organizzazione dei fattori produttivi necessaria per la realizzazione dell’opera o servizio oggetto del contratto di appalto.

In particolare: la responsabilità solidale ex art. 29, D.Lgs. n. 276/2003

L’art. 29 D.Lgs. n. 276/2003, al comma 2, prevede quanto segue: “In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, i contributi previdenziali e assicurativi dovuti.”

Dalla lettura di tale disposizione normativa ne deriva che, sul piano soggettivo, i soggetti coinvolti dal regime di responsabilità solidale sono i seguenti:

  • committente (imprenditore o datore di lavoro);
  • appaltatore;
  • eventuali subappaltatori;
  • lavoratori impiegati nell’appalto.

Sotto il profilo oggettivo, invece, il regime di responsabilità solidale riguarda:

  • le retribuzioni correnti e quelle di mensilità aggiuntive;
  • il TFR;
  • i contributi previdenziali e assicurativi;

Sul piano temporale, il regime di responsabilità solidale si estingue dopo 2 anni dalla cessazione dell’appalto.

Analisi della sentenza n. 16153/2025

La pronuncia in commento affronta, ancora una volta, il tema dei confini tra appalto lecito di servizi e interposizione illecita di manodopera, con specifico riferimento all’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 (c.d. Legge Biagi).

Fatti di causa

La vicenda origina dal ricorso di un lavoratore che, impiegato in attività di consegna merci, lamentava la natura fittizia dell’appaltointercorrente tra la società committente e la cooperativa appaltatrice presso cui prestava attività lavorativa, con conseguente richiesta di riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato direttamente in capo al committente, oltre al pagamento di differenze retributive e straordinari.

La Corte d’Appello di Firenze respingeva le richieste presentate in primo grado dal lavoratore ricorrente e, pur avendo accertato l’esistenza di successivi appalti illeciti di mera manodopera, confermava la sussistenza di un regolare rapporto di lavoro fra l’appaltatore e il ricorrente medesimo e condannava solo il datore di lavoro al pagamento di differenze retributive in favore dello stesso.

Avverso tale sentenza, il lavoratore ricorreva in Cassazione.

Le motivazioni del lavoratore ricorrente in Cassazione

Il ricorso depositato in Cassazione dal lavoratore si fonda sulle seguenti motivazioni:

  • con il primo motivo, il lavoratore censura la sentenza della Corte d’Appello per non aver riconosciuto l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato direttamente con l’Azienda committente, nonché per non aver ritenuto illegittimo il licenziamento a lui intimato in forma orale dal datore di lavoro;
  • con il secondo motivo, il lavoratore deduce che il licenziamento, intimato in forma orale dal soggetto formalmente indicato come datore di lavoro, deve ritenersi giuridicamente inesistente, in quanto proveniente da un soggetto privo del potere di recesso, spettante invece all’effettivo datore di lavoro individuabile nell’Azienda committente;
  • con il terzo motivo, il lavoratore censura la sentenza della Corte d’Appello per omessa pronuncia in ordine alla domanda volta al riconoscimento e alla corresponsione delle somme dovute a titolo di lavoro straordinario;
  • con il quarto ed ultimo motivo, il lavoratore censura la sentenza della Corte d’Appello per non aver applicato, nei confronti dell’Azienda committente, il regime di responsabilità solidale previsto dall’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte respinge il ricorso, confermando integralmente la decisione di merito e ribadendo principi consolidati in materia.

In particolare, la Suprema Corte, in ordine alla tesi sostenuta dal lavoratore ricorrente rispettivamente sulla qualificazione del rapporto di lavoro e sull’onere della prova del licenziamento orale:

  • sul primo aspetto, ribadisce il corretto operato del giudice di merito, avendo lo stesso correttamente valutato le prove testimoniali e documentali;
  • sul secondo aspetto, ribadisce che in caso di licenziamento intimato oralmente, l’onere di provare che la cessazione del rapporto sia imputabile a una volontà datoriale, grava sul lavoratore, non essendo sufficiente la mera interruzione della prestazione lavorativa.

In riferimento, invece, alle contestazioni del lavoratore in ordine alla mancata applicazione verso il Committente del regime di responsabilità solidale ex art. 29 D.Lgs. n. 276/2003, la Corte ha confermato un principio oramai consolidato secondo cui ai fini della liceità dell’appalto è richiesto che l’appaltatore organizzi in autonomia il processo produttivo con la propria manodopera, esercitando poteri direttivi effettivi, non meramente formali.

Al contrario, invece, a parere della Corte, si configura intermediazione illecita quando l’appaltatore si limita a fornire personale, mantenendo solo compiti di gestione amministrativa (retribuzioni, ferie, assicurazioni) senza una reale organizzazione autonoma.

Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione della Corte territoriale, che aveva accertato:
(i) in capo datore di lavoro del ricorrente un effettivo potere di organizzazione del lavoro dei conducenti, indipendente dal committente e che
(ii) le direttive impartite dal Committente – relative alla definizione delle zone di consegna e all’uso di strumenti aziendali (palmari, cellulari) – erano da qualificarsi quali indicazioni di carattere generale, funzionali al coordinamento del servizio, non all’esercizio del potere direttivo sui lavoratori.

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