2° Contenuto Riservato: Il profilo temporale nell’abuso del diritto

COMMENTO

DI MASSIMILIANO TASINI | 2 DICEMBRE 2025

La sentenza della Corte di Cassazione 5 maggio 2025, n. 11756 costituisce l’occasione per esaminare alcuni profili, spesso trascurati, nella trattazione della delicata materia dell’abuso del diritto.

Il caso di specie

L’Agenzia delle Entrate, Direzione regionale della Lombardia, emetteva un avviso di accertamento per l’anno di imposta 2011 nei confronti di una Compagnia di assicurazione, contestando ai sensi dell’art. 10-bis della Legge 27 luglio 2000, n. 212, l’indebita deduzione di minusvalenze, con ripresa a tassazione dell’importo delle medesime ai fini dell’IRES, in riferimento a operazioni finanziarie di vendita e contestuale riacquisto di alcuni titoli azionari iscritti nell’attivo circolante; la contestualità delle operazioni di vendita e riacquisto, realizzate con una società appartenente allo stesso gruppo, nello stesso giorno e allo stesso prezzo, manifestava l’intento elusivo e la finalizzazione dell’operazione alla sola deduzione delle minusvalenze, altrimenti vietata dall’art. 110, comma 1, TUIR, che prevede che:

(…) il costo delle azioni … si intende non comprensivo dei maggiori o minori valori iscritti i quali non concorrono alla formazione del reddito (…)

In forza di tale contestazione, l’avviso rettificava le perdite dichiarate dalla società per l’anno in questione, riducendole.

Questa breve sintesi consente di focalizzare immediatamente i tre punti principali della fattispecie:

  1. si tratta di una operazione infragruppo,
  2. vendita e riacquisto sono intervenuti nello stesso giorno,
  3. la società non ha pagato minori imposte bensì aumentato l’entità delle perdite di impresa sofferte.

Contro tale avviso la società proponeva ricorso che la Commissione tributaria provinciale di Milano rigettava e ad analoga pronuncia giungeva il giudice di secondo grado, rilevando che:

  • dall’operazione finanziaria di vendita e contestuale riacquisto dei titoli azionari, senza quindi che vi fosse una effettiva dismissione dei medesimi, derivava un unico vantaggio di carattere fiscale, concludendo che si trattasse di operazioni prive di alcuna giustificazione economica;
  • la vendita e il successivo riacquisto di titoli della stessa specie, nello stesso giorno e alla stessa ora, allo stesso prezzo in relazione alla medesima controparte, peraltro appartenente al medesimo gruppo, provavano indubbiamente la volontà della società di conseguire un unico obiettivo, quello di ottenere una perdita senza dismissione del titolo venduto e nel contempo riacquistato, circostanza che dimostrava l’interesse a conservare i titoli stessi nel portafoglio della società;
  • l’operazione era quindi finalizzata esclusivamente a eludere il divieto di svalutare i titoli con rilevanza fiscale e anche ad aggirare le indicazioni dell’ISVAP, laddove esse dispongono che il risultato della gestione separata interna debba essere determinato sommando esclusivamente i proventi di competenza, gli utili e le perdite realizzati, e che quindi non considera rilevante le plusvalenze o le minusvalenze non realizzate;
  • evidenziava ancora che le operazioni effettuate dalla società non producevano alcun effetto rilevante diverso dai vantaggi fiscali e in particolare che la società, se nel rispetto delle regole ISVAP non poteva gravare la gestione separata interna, doveva in ogni caso farsene carico riducendo il margine assicurativo, onere facente parte del rischio imprenditoriale assicurativo per cui l’aggiramento degli obblighi previsti per limitare il rischio non poteva essere considerato un valido e legittimo motivo extra fiscale.

Contro tale sentenza la società propone ricorso affidato a undici motivi, tutti sostanzialmente respinti dalla Corte (fatti salvi i motivi otto e dieci, che tuttavia possono essere certamente accantonati), alcuni dei quali di notevole interesse e che pertanto meritano di essere esaminati.

Iniziamo con il secondo, che tocca la questione sub c): esiste un vantaggio fiscale, posto che l’operazione non ha consentito di pagare meno IRES, bensì solo di generare maggiori perdite fiscali?

Per la Corte, il motivo è infondato, nella considerazione che il comma 2 dell’art. 10-bis dello Statuto, alla lettera b) individua come vantaggi fiscali indebiti:

(…) i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

con nozione ampia che esplicitamente fa riferimento a qualunque beneficio e anche a quello non immediato, il che non supporta la tesi della società contribuente secondo cui non vi sarebbe vantaggio fiscale ove non vi sia minor IRES liquidata nell’anno di imposta in questione.

In altri termini, la Corte rileva che il beneficio può essere anche differito, cioè non conseguito sotto forma di un immediato minor versamento d’imposta ma che sia comunque conseguibile con certezza in esito alle operazioni realizzate.

Entriamo ora nel merito dei punti a) e b).

La questione è intanto affrontata nel quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., con il quale si deduce la violazione dell’art. 10-bis della Legge n. 212/2000 per il fatto che la CTR ha omesso di considerare il collegamento tra il divieto di svalutazione dei titoli con rilevanza fiscale e i principi generali dell’ordinamento tributario, in particolare il principio secondo cui un’operazione non è abusiva se comporta esclusivamente un differimento del pagamento dell’imposta.

La Corte ritiene però la censura inammissibile poiché non coglie la ratio decidendi della sentenza della CTR che

  • non individua la condotta abusiva nel differimento del pagamento delle imposte bensì
  • nella elusione del divieto di deduzione delle minusvalenze non realizzate di cui all’art. 110, comma 1, lett d) TUIR, determinato dal carattere sostanzialmente fittizio dell’alienazione dei titoli iscritti nell’attivo circolante, come provato dal loro immediato riacquisto allo stesso prezzo, peraltro da società appartenente allo stesso gruppo, il che prova, secondo la CTR, la insussistenza della volontà di cessione effettiva degli stessi.

In altri termini, il comportamento abusivo è consistito nell’aver aggirato il divieto di deduzione delle minusvalenze non realizzate: la vendita ha consentito di dedurre ciò che non sarebbe stato possibile dedurre sulla base del profilo meramente valutativo.

A questo punto, il ricorrente cerca di dimostrare l’esistenza di ragioni extra-fiscali non marginali che avrebbero giustificato il comportamento adottato, questione che propone nel settimo motivo proposto nel ricorso. In sostanza, la società contesta l’affermazione del Giudice di merito secondo cui il motivo dedotto dalla società non potesse configurare un valido motivo extra fiscale in quanto la stessa doveva farsi carico del rispetto delle regole ISVAP, che invece erano state aggirate attraverso la vendita dei titoli.

Anche in questo caso, si tratta di una questione molto tecnica, ma è molto interessante citarla per la risposta offerta dalla Corte, secondo la quale: “il principio dell’unicità dell’ordinamento non lascia prevedere che la violazione di una regola possa costituire la giustificazione di un comportamento parimenti vietato”.

In altri termini, anche ammesso che questo motivo possa avere una qualche fondatezza, esso non può venire in rilievo, per il semplice motivo che “due errori non fanno il paio”.

Concludiamo con il terzo motivo di impugnazione, che abbiamo posposto poiché attiene ad una questione di procedura ma di estrema importanza, poiché condiziona notevolmente l’agire del difensore nel ricorso per Cassazione. La questione oggetto di impugnazione è anche in questo caso piuttosto tecnica, attenendo a meccanismi applicabili alle compagnie assicurative, ma merita attenta considerazione poiché la Corte la risolve “in rito”, sulla base del principio della “doppia conforme”.

Essa in particolare osserva che la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. esclude che possa essere impugnata ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”, e si applica per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dall’11 settembre 2012, come nel caso di specie, ove la CTR ha espressamente confermato la sentenza di primo grado.

Al riguardo, la Corte aggiunge che l’ipotesi ricorre non solo quando la decisione di secondo grado corrisponda in toto a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa. Non osta, dunque, alla configurazione della c.d. “doppia conforme” il fatto che il giudice di appello, nel condividere e confermare la decisione impugnata, abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione (cfr. Cass. 9 marzo 2022, n. 7724).

Quindi, nel ricorso per Cassazione è necessario indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5947/2023 e Cass. 28774/2016), pena l’inammissibilità.

Alcune considerazioni

La sentenza sembra allinearsi a diversi principi affermati nell’Atto di indirizzo del MEF del 27 febbraio 2025 in materia di abuso del diritto.

Tale documento, infatti, nella nozione di vantaggi fiscali contempla anche le maggiori perdite fiscalmente rilevanti ed i differimenti di imposizione, cioè le ipotesi in cui il contribuente ottiene un beneficio di tipo finanziario.

Quanto alla deduzione di ragioni extra-fiscali non marginali che potrebbero giustificare l’operazione, la giurisprudenza della Corte può dirsi costante. Basterà qui richiamare Cass. 2 marzo 2020, n. 5644, secondo cui: “va escluso il carattere elusivo di un’operazione caratterizzata dalla compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, le quali non sono necessariamente identificabili in una redditività immediata dell’atto posto in essere, ma possono consistere anche in esigenze di natura organizzativa implicanti un miglioramento strutturale e funzionale del contribuente; ne consegue che la prova dell’elusione deve incentrarsi sulle modalità di manipolazione ed alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché sulla loro mancata conformità ad una normale logica di mercato”.

Il caso affrontato nella sentenza n. 5644/2020 era proprio quello di acquisti di partecipazioni di società infragruppo: era accaduto che la controllata aveva distribuito dividendi generando un credito d’imposta in favore della controllante-acquirente, la quale aveva iscritto in bilancio le partecipazioni al valore di costo anziché al valore del patrimonio residuo, senza spiegare se la transazione, in tutte le sue fasi, fosse giustificata da ragioni extra fiscali, anche di natura organizzativa, o di mero risparmio d’imposta.

Il caso affrontato dalla Corte è certamente non frequente per i professionisti, ma a ben vedere esso costituisce null’altro che un esempio di abuso del diritto attraverso la realizzazione di operazioni circolari, rispetto al quale la prassi è oramai stabilizzata.

Si può fare qui l’esempio della risoluzione n. 99/E del 2017, che afferma l’abusività di una operazione di conferimento di azienda nella quale un immobile strumentale restava nella conferente: l’immobile avrebbe perso il requisito della strumentalità pur essendo ancora impiegato dalla conferente in virtù di un contratto di affitto, e per questa via avrebbe potuto beneficiare di assegnazione agevolata ai soci. Secondo l’AdE, la non strumentalità, requisito necessario per beneficiare della agevolazione, è stata ottenuta artificiosamente interponendo un nuovo soggetto giuridico. Inoltre, si tratterebbe di una operazione circolare, poiché, la società conferente, dopo l’assegnazione, sarebbe stata liquidata, tornandosi pertanto alla situazione di partenza senza, pertanto, una sostanza economica apprezzabile.

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