COMMENTO
DI GIOVANNI IMPROTA | 4 NOVEMBRE 2025
Sul tema della compatibilità fra rapporto di natura organica e rapporto di lavoro subordinato, si segnala una significativa pronuncia di merito del Tribunale di Bari (Sentenza n. 3061/2025) secondo cui la coesistenza delle funzioni di amministratore e di lavoratore subordinato è ammissibile soltanto qualora risulti, in concreto, lo svolgimento di attività estranee a quelle proprie della carica sociale e la sussistenza di un effettivo vincolo di subordinazione, anche nella forma attenuata tipica del lavoro dirigenziale.
Il rapporto organico
Il rapporto di natura organica è il rapporto che lega una Società ad una persona fisica che assume all’interno della stessa una posizione apicale, in genere mediante cooptazione all’interno del CdA, in forza della quale opera quale organo societario.
Il tratto qualificante di tale rapporto è infatti la coincidenza tra volontà dell’organo e volontà dell’ente.
Il rapporto organico si distingue dal rapporto di lavoro subordinato per la mancanza del vincolo di subordinazione in senso tecnico in quanto:
- l’amministratore o componente dell’organo esercita poteri propri, non è soggetto a eterodirezione, né a un potere disciplinare;
- il suo compenso non costituisce retribuzione in senso stretto, bensì corrispettivo per l’attività organica;
- non sussistono gli obblighi tipici del datore di lavoro (orario, ferie, TFR, ecc.), salvo diversa previsione statutaria o contrattuale.
Fermo quanto sopra, la giurisprudenza ha riconosciuto tuttavia la coesistenza di un rapporto organico e di un rapporto di lavoro subordinato distinto, qualora il soggetto svolga mansioni ulteriori e diverse, con carattere di subordinazione effettiva (Cass. civ., sez. lav., n. 1545/2017; Cass. civ., sez. lav., n. 10426/2019).
Dal punto di vista previdenziale:
- gli amministratori di società sono generalmente iscritti alla Gestione Separata INPS (art. 2, comma 26, Legge n. 335/1995);
- laddove sussista anche un rapporto di lavoro subordinato, si applica la contribuzione alla Gestione Lavoratori Dipendenti (FPLD);
- per i soci amministratori di società di persone o di capitali operativi, può sussistere obbligo di iscrizione anche alla Gestione Commercianti o Artigiani, se svolgono attività materiale e abituale nell’impresa.
Sul piano fiscale, i compensi percepiti dagli organi sociali sono inquadrati come redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (art. 50, comma 1, lett. c-bis, TUIR), con conseguente applicazione della ritenuta IRPEF alla fonte e degli obblighi contributivi connessi.
L’amministratore o componente dell’organo risponde:
- nei confronti della società, per danni derivanti da violazione dei doveri di diligenza, lealtà e correttezza (artt. 2392 ss. c.c.);
- nei confronti dei creditori sociali, in caso di inosservanza degli obblighi di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale (art. 2394 c.c.);
- nei confronti dei terzi e dell’erario, per fatti illeciti o violazioni tributarie imputabili all’ente per immedesimazione organica (Cass. pen., sez. un., n. 22327/2004);
- nei confronti dei lavoratori, se l’amministratore ha inciso direttamente sulla violazione di norme in materia di sicurezza o di gestione del personale (D.Lgs. n. 231/2001, D.Lgs. n. 81/2008).
La natura del rapporto fra Società ed Amministratore: Sentenza n. 1545/2017 della Corte di Cassazione
Con la sentenza n. 1545/2017, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite – in linea con un orientamento giurisprudenziale emerso dopo la sentenza del 1994 – ha escluso che nel rapporto Società-Amministratore possa ravvisarsi l’elemento della “coordinazione” richiamato nell’art. 409 c.p.c.
La decisione della Suprema Corte si incentra sulla c.d. teoria del rapporto societario che conferisce un ruolo di centralità all’Amministratore inteso quale unico titolare della gestione dell’impresa, che pone l’Amministratore medesimo in un rapporto di convivenza con l’Assemblea dei soci.
In particolare, secondo tale teoria, l’amministratore rappresenta un organo essenziale per il funzionamento della società, con la conseguenza che gli amministratori risulterebbero titolari di poteri di gestione e rappresentanza della società in via originaria che li porrebbero sullo stesso piano dell’Assemblea dei soci.
La riforma del diritto societario intervenuta nel 2003 renderebbe infatti “l’amministratore il vero egemone dell’ente sociale. A lui spetta in via esclusiva la gestione dell’impresa, con il solo limite di quegli atti che non rientrano nell’oggetto sociale (art 2380 bis c.c.); il suo potere di rappresentanza è generale e concerne anche gli atti che non rientrano nell’oggetto sociale (art 2384 c.c., comma 1)”.
Per tali motivazioni, ad avviso della Suprema Corte, il rapporto Società-Amministratore non può essere ricondotto ad un rapporto di lavoro in quanto trattasi di per sé di un autonomo rapporto “di società” che dunque non necessita, né consente, una sua riqualificazione nell’ambito di un autonomo contratto d’opera, o di un rapporto di lavoro parasubordinato né tantomeno dipendente.
Per quanto riguarda in particolare la gestione di detti rapporti sul piano normativo e processuale, l’assenza di una situazione di debolezza contrattuale dell’amministratore nei confronti della società conforta la tesi dell’inconfigurabilità dell’amministratore quale lavoratore parasubordinato soggetto alla disciplina dell’art. 409 c.p.c.. Il rapporto tra società e amministratore deve “essere ricondotto nell’ambito dei rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario” ex art. 3, comma 2, lett a), D.Lgs. n. 168/2003 per l’individuazione della competenza per materia del tribunale delle imprese.
Fermo restando quanto sopra, la Corte di Cassazione con la sentenza in commento non ha escluso tuttavia la possibilità che, a latere del rapporto societario fra Società ed Amministratore, e per lo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico, possa sussistere “(…) un autonomo, parallelo e diverso rapporto che assuma, secondo accertamento esclusivo del giudice di merito, le caratteristiche di un rapporto subordinato, parasubordinato o d’opera”. Per quanto riguarda in particolare la compatibilità tra rapporto di lavoro subordinato dirigenziale e rapporto organico tra gli stessi soggetti, “dovranno essere in concreto verificati da un lato l’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico, dall’altra la ricorrenza della subordinazione”.
La Sentenza n. 3061/2025 del Tribunale di Bari
Il fatto
La vicenda riguarda il caso di un dirigente che, dopo aver ricoperto per anni ruoli di vertice e di collaborazione in una società di brokeraggio assicurativo, ha chiesto l’accertamento della natura subordinata del rapporto intercorso con la società dal 2007 al 2018 e il riconoscimento della qualifica dirigenziale, oltre al pagamento di differenze retributive, TFR, regolarizzazione contributiva e declaratoria di nullità del patto di non concorrenza.
Sulla base delle motivazioni di seguito indicate, al termine del giudizio di primo grado, il Tribunale ha rigettato integralmente il ricorso depositato dall’ex amministratore, ritenendo insussistente la prova della subordinazione e delle mansioni dirigenziali, nonché infondate le doglianze relative al recesso per giusta causa e alla nullità del patto di non concorrenza, accogliendo invece la domanda riconvenzionale della società per il pagamento dell’indennità di mancato preavviso.
Le argomentazioni del Tribunale
La Sentenza del Tribunale di Bari del 14 luglio 2025, n. 3061 affronta, con taglio sistematico e rigore argomentativo, una delle questioni più complesse e dibattute nel diritto del lavoro societario: la compatibilità tra la carica di amministratore e l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato con la medesima società.
In particolare, in ordine al profilo di compatibilità fra rapporto organico e rapporto di lavoro subordinato, il Tribunale richiama integralmente la Sentenza n. 1545/2017 a Sezioni Unite della Corte di Cassazione sopra citata.
Tenendo conto delle considerazioni espresse dalla Suprema Corte, il Tribunale ha affermato che il cumulo tra funzioni gestorie e rapporto di lavoro subordinato è possibile solo quando l’attività svolta esuli, in concreto, dai compiti propri dell’amministratore e risulti caratterizzata da un effettivo vincolo di subordinazione, seppur nella forma attenuata propria delle figure apicali.
Nel caso di specie, le prove testimoniali e documentali non hanno consentito di dimostrare né l’eterodirezione, né un inserimento organico e continuativo nella struttura aziendale. Il ricorrente operava con ampia autonomia, gestendo un’area di business specifica, ma senza essere soggetto a direttive, controlli o poteri disciplinari.
Infatti, il Tribunale ha escluso che il ricorrente avesse svolto attività estranee alle funzioni proprie del ruolo gestorio, evidenziando come:
- le deleghe conferite dal CdA e la procura speciale successiva fossero solo limitate alla gestione del settore “aziende private”;
- le testimonianze non fossero idonee a dimostrare l’esistenza di poteri direttivi, organizzativi o disciplinari altrui nei confronti del ricorrente;
- non fosse emersa prova di un effettivo inserimento gerarchico nell’organizzazione societaria, né di un vincolo di eterodirezione.
Inoltre, secondo i giudici di primo grado del Tribunale di Bari, non basta coordinare un team o riferire periodicamente all’amministratore unico per integrare la subordinazione: occorre che il lavoratore sia “inserito” nella struttura e soggetto a un potere gerarchico, anche solo di indirizzo. E questa prova, nel caso concreto, non è emersa.
Per quel che concerne invece l’accertamento della natura subordinata del rapporto organico, con richiesta da parte del ricorrente di vedersi riconosciuta la qualifica dirigenziale, il Tribunale di Bari, richiamando i più recenti orientamenti giurisprudenziali, nel caso di specie, ha affermato quanto segue:
- il riconoscimento della qualifica dirigenziale presuppone un grado di autonomia e di rappresentanza tale da incidere sull’intera organizzazione aziendale, non limitandosi a un settore operativo;
- la qualificazione giuridica del rapporto non può prescindere dalle modalità concrete di svolgimento della prestazione;
- gli elementi distintivi della subordinazione – ordini specifici, reiterati, controllo continuo – devono emergere in modo chiaro, non potendo essere sostituiti da meri rapporti di collaborazione o coordinamento.
Riferimenti normativi:
- Codice civile, artt. 2392 e 2394
- D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 50, comma 1
- Tribunale di Bari, Sentenza 14 luglio 2025, n. 3061
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