COMMENTO
DI STEFANO ROSSETTI | 16 LUGLIO 2025
La trasformazione da società di persone o da s.r.l. unipersonale a imprenditore individuale rappresenta un’operazione, sotto il profilo fiscale, non scevra di criticità.
I dubbi derivano da un incerto inquadramento dell’operazione sotto il profilo civilistico che si ripercuote, conseguentemente, sul trattamento fiscale della stessa.
Alla luce di quanto sopra, stante un solo chiarimento di prassi sul tema, la gestione fiscale di tale operazione lascia ampi margini di incertezza.
Premessa
Nella generalità di casi i contribuenti che svolgono l’attività imprenditoriale individualmente, una volta raggiunti cospicui volumi, manifestano l’esigenza di mutare la propria veste giuridica decidendo di operare per il tramite di una società di capitali.
Le motivazioni che conducono a questa scelta sono varie e sono riconducibili in via generale alla limitazione della responsabilità sociale, al trattamento fiscale del reddito d’impresa e alla semplicità con cui possono circolare le partecipazioni sociali.
Tuttavia, ci si può imbattere anche nel percorso inverso, ovvero la “trasformazione” da società (di persone o di capitali) a impresa individuale.
Questa operazione non risulta ben inquadrata e definita sotto il profilo civilistico e, di conseguenza, è incerta anche la qualificazione sotto il profilo fiscale.
Nel presente contributo analizzeremo gli aspetti di tipo fiscale legati alle imposte dirette.
La trasformazione da società di persone a impresa individuale
L’operazione di trasformazione da società di persone a imprenditore individuale può avvenire qualora, ai sensi dell’art. 2272, comma 1, n. 4 del Codice civile, non venga ricostituita la pluralità dei soci entro 6 mesi da quando è venuta meno.
In questo caso, dunque, il socio superstite può proseguire l’attività d’impresa per il tramite dell’azienda appartenente all’ex società di persone.
Sotto il profilo fiscale, ad Avviso dell’Agenzia delle Entrate (circolare n. 54/E/2002):
- lo scioglimento della società di persone a causa della mancata ricostituzione della pluralità dei soci non dà luogo ad alcuna emersione di plusvalenza imponibile in relazione ai beni oggetto dell’attività d’impresa a condizione che il socio superstite continui l’attività sotto forma di ditta individuale e mantenga inalterati i valori dei beni;
- l’eventuale somma percepita dai soci uscenti rappresenta, per la parte che eccede il costo d’acquisto delle quote, un reddito di capitale tassabile ai sensi dell’art. 20-bis TUIR (la circolare richiamata faceva riferimento all’art. 44, comma 3, del TUIR nella sua versione vigente fino al 31 dicembre 2003). Il socio superstite, proseguendo l’attività commerciale in qualità di imprenditore individuale, continuerà a produrre reddito d’impresa. Resta però esclusa l’ipotesi di un eventuale inquadramento di detto reddito come reddito di partecipazione, data la liquidazione della società preesistente;
- in merito agli obblighi dichiarativi, la società è tenuta a presentare la propria dichiarazione dei redditi per l’ultimo periodo d’imposta chiuso allo scadere del sesto mese utile per la ricostituzione della pluralità dei soci, utilizzando il modello Redditi SP. Specularmente, nell’anno in cui si ha lo scioglimento della società, il socio superstite, che prosegue l’attività in qualità di imprenditore, dichiarerà il reddito d’impresa prodotto nel residuo periodo utilizzando il modello Redditi PF.
Quindi, ad avviso dell’Amministrazione finanziaria la transizione da società di persone a impresa individuale avviene in continuità fiscale sotto la condizione che il socio superstite prosegua l’attività d’impresa con i medesimi valori fiscali.
Occorre sottolineare però, che la soluzione proposta dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 54/E/2002 si focalizza esclusivamente sulla neutralità fiscale che riguarda i beni aziendali, mentre non viene fatto nessun cenno relativamente alle c.d. posizioni soggettive.
Ad avviso della dottrina maggioritaria (F. Giommoni, “La trasformazione delle società unipersonali in imprese individuali: problematiche civilistiche e fiscali”, in “Gestione straordinaria delle imprese”, n. 2, 2015, p. 72) e del Consiglio Nazionale del Notariato (Studio n. 545-2014/I), la criticità sopra esposta potrebbe essere superata qualora la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del socio superstite venga considerata alla stregua di una trasformazione omogenea, seppur atipica, ciò in quanto non espressamente regolamentate dal Codice civile.
Infatti, in tal caso, la diretta conseguenza in termini fiscali di questa impostazione dovrebbe essere l’applicabilità dell’art. 170 del TUIR, il quale prevede che
“la trasformazione della società non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento”.
L’applicabilità dell’art. 170 del TUIR permetterebbe l’applicazione di un generalizzato principio di neutralità fiscale che investirebbe tutti gli elementi reddituali.
La neutralità fiscale dovrebbe essere applicata anche in caso di “trasformazione” volontaria della società di persone in impresa individuale (L. Miele, “Società di persone: se viene meno la pluralità dei soci, scioglimento neutrale”, in eutekne.info, 15 maggio 2013).
La trasformazione da società a responsabilità limitata unipersonale a impresa individuale
Coerentemente con quanto visto nel paragrafo precedente, la dottrina maggioritaria (F. Tassinari, “La trasformazione della società di persone con unico socio in impresa individuale”, in “La trasformazione delle società”, II, Ipsoa, 2011) ritiene che la trasformazione da società a responsabilità limitata unipersonale a impresa individuale sia ammissibile e rientri tra le trasformazioni c.d. eterogenee.
Seguendo tale impostazione, sotto il profilo fiscale, dunque, potrebbe essere applicabile il disposto dell’art. 171 del TUIR, dove al comma 1 viene previsto che
“i beni della società si considerano realizzati in base al valore normale, salvo che non siano confluiti nell’azienda o complesso aziendale dell’ente stesso”.
Ai fini della neutralità fiscale, quindi, è necessario che il contribuente, ex socio, prosegua l’attività d’impresa mediante il compendio aziendale della società a responsabilità limitata.
In relazione a questa tipologia di operazione, una tematica da tenere in considerazione riguarda il destino fiscale delle riserve di patrimonio netto qualificate come di utili.
L’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 171 del TUIR prevede che le riserve di utili costituite prima della trasformazione sono assoggettate a tassazione nei confronti dei soci o associati:
- nel periodo di imposta in cui vengono distribuite o utilizzate per scopi diversi dalla copertura di perdite d’esercizio, se dopo la trasformazione sono iscritte in bilancio con indicazione della loro origine;
- nel periodo d’imposta successivo alla trasformazione, se non iscritte in bilancio ovvero iscritte senza la detta indicazione. In caso di trasformazione in comunione di azienda si applicano le disposizioni dell’art. 67, comma 1, lett. h), del TUIR. Si applicano le disposizioni del comma 5 dell’art. 170 del TUIR.
In riferimento a quest’ultimo aspetto, considerando che l’imprenditore individuale non redige il bilancio di esercizio, non è chiaro se l’adozione del regime di contabilità ordinaria possa permettere il differimento della tassazione di tali riserve.
Il generale principio di neutralità ex art. 171 del TUIR può essere assicurato solo se l’attività d’impresa viene proseguita avendo cura di monitorare i valori fiscali trasferiti.
Se l’imprenditore individuale non adottasse il regime di contabilità ordinaria non sarebbe possibile tenere traccia di alcuni disallineamenti tra i valori fiscali e i valori civilistici.
A maggior ragione ciò potrebbe avvenire nell’ipotesi in cui l’imprenditore individuale dovesse accedere al regime forfetario.
Riferimenti normativi:
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