2° Contenuto Riservato: Le sanzioni tributarie non si ereditano. La distinzione tra sanzioni e tributi resta decisiva per gli eredi

CIRCOLARE MONOGRAFICA

DI MATTEO RIZZARDI | 22 SETTEMBRE 2025

Le sanzioni fiscali non si ereditano, i tributi (debiti fiscali) sì se l’eredità viene accettata

La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 22476/2025, pubblicata il 4 agosto 2025, rappresenta un punto fermo di notevole rilevanza nel panorama del diritto tributario italiano, riaffermando con forza il principio della personalità della responsabilità per le sanzioni fiscali. Tuttavia, è imperativo, con un taglio critico e da giurista esperto, porre l’accento su un aspetto fondamentale che spesso genera confusione tra gli operatori e, soprattutto, tra i non addetti ai lavori: la distinzione tra sanzioni tributarie e tributi (debiti fiscali). L’efficacia liberatoria della sentenza, infatti, riguarda specificamente le prime e non può in alcun modo essere estesa ai secondi, la cui trasmissibilità mortis causa segue regole differenti e altrettanto stringenti.

Inquadramento normativo: aspetti civilistici e fiscali della successione

Il tema della responsabilità degli eredi per i debiti tributari del de cuius è disciplinato da norme appartenenti sia al diritto tributario che al diritto civile. Queste due discipline presentano, tuttavia, “marcate disarmonie”, con una distinzione “rigida e fondamentale” civilistica tra chiamato all’eredità ed erede, contrapposta ad una “pressoché totale sovrapposizione” delle due figure in alcune disposizioni tributarie.

La disciplina civilistica delle successioni

Il diritto civile delle successioni è regolato dal Libro II, Titolo I del Codice civile (art. 456 e ss.). Con la morte del de cuius si apre la successione (art. 456 c.c.), e una nuova situazione giuridica subentra nei rapporti del defunto, “mediante legge o testamento”.

La figura centrale è il chiamato all’eredità, il quale non acquisisce automaticamente la qualità di erede, ma deve accettare l’eredità.

L’accettazione può essere:

  • Espressa: una dichiarazione formale in atto pubblico o scrittura privata (art. 475 c.c.).
  • Tacita: il compimento di un atto che “presuppone necessariamente la volontà di accettare l’eredità e che non avrebbe avuto il diritto di compiere se non in qualità di erede” (art. 476 c.c.).

L’accettazione, sia essa espressa o tacita, può essere:

  • Pura e semplice: l’erede assume tutti gli attivi e i passivi dell’eredità, rispondendo dei debiti anche con il proprio patrimonio personale.
  • Con beneficio d’inventario: l’erede assume attivi e passivi, ma la sua responsabilità per i debiti è limitata al valore dell’attivo ereditario, tenendo distinto il suo patrimonio da quello del defunto (art. 490 c.c.).

In assenza di accettazione, il chiamato all’eredità può anche rinunciare all’eredità.

La rinuncia è un atto formale e irrevocabile (non può essere soggetta a condizioni o limitazioni), che deve essere fatta con “dichiarazione ricevuta da notaio o dal cancelliere del tribunale dove si è aperta la successione” (art. 519 c.c.).

L’effetto della rinuncia è retroattivo: “Chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato” (art. 521 c.c.). Ciò significa che il rinunciante non acquista alcun bene ereditario né è soggetto ad alcuna passività.

La rinuncia è revocabile entro dieci anni dalla morte, purché nessun altro successibile abbia già accettato (art. 524 c.c.). Dopo dieci anni scatta la decadenza dal diritto di rinunciare (art. 480 c.p.c.).

Se tutti i chiamati rinunciano, si determina l’istituto dell’eredità giacente, con la nomina di un curatore da parte del giudice (art. 528 c.c.).

La disciplina fiscale delle successioni e dei debiti tributari

Il diritto tributario, pur riconoscendo la distinzione civilistica tra chiamato ed erede, introduce peculiarità significative.

L’imposta di successione è disciplinata dal D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (Testo Unico delle imposte sulle successioni e donazioni – TUS) e si applica sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte (art. 1 TUS). L’art. 7 TUS stabilisce che l’imposta è liquidata assumendo come eredi quelli “chiamati che non abbiano rinunciato”, ma la giurisprudenza ha chiarito che ciò “vale solo ai fini della successione tributaria e non modifica il principio generale di mancata responsabilità del rinunciante per i debiti del de cuius”.

Per quanto riguarda i debiti tributari del de cuius (diversi dalle sanzioni, come vedremo), l’art. 65, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (TUIR), stabilisce che “sono tenuti in solido al pagamento delle imposte gravanti sul contribuente e dovute per periodi d’imposta anteriori alla data della sua morte” gli “eredi del contribuente”. Questa disposizione garantisce all’Amministrazione finanziaria il diritto di agire nei confronti di ciascuno degli eredi per l’intero ammontare delle obbligazioni tributarie sorte in capo al de cuius.

Un obbligo fiscale fondamentale per i chiamati all’eredità, “a prescindere dalla decisione di divenire o meno eredi”, è la presentazione della dichiarazione di successione (art. 28, D.Lgs. n. 346/1990), entro dodici mesi dalla morte.

Tuttavia, la giurisprudenza di Cassazione ha consolidato l’orientamento secondo cui la presentazione della dichiarazione di successione, essendo un “atto obbligatoriamente previsto dalla legge”, è una “manifestazione di scienza, e non anche di volontà” e non costituisce di per sé accettazione tacita dell’eredità (art. 476 c.c.). Analogamente, l’Amministrazione finanziaria non può assolvere l’onere di provare l’accettazione tacita attraverso la semplice “produzione della sola denuncia di successione” o dell’avvenuto pagamento della relativa imposta. La presentazione della dichiarazione serve ad evitare “l’applicazione di sanzioni pecuniarie”. Anche la voltura catastale, sebbene obbligatoria per i soggetti tenuti alla dichiarazione di successione, “non è di per sé idonea ad integrare un’ipotesi di accettazione tacita di eredità” (vedasi da ultimo Cassazione, ord. 30 aprile 2021, n. 11478)

L’Amministrazione finanziaria ha la facoltà di notificare atti impositivi relativi a obbligazioni tributarie del de cuius, anche “impersonalmente e collettivamente presso l’ultimo domicilio di quest’ultimo, ai chiamati all’eredità, senza che sia necessario che gli stessi abbiano provveduto ad accettare l’eredità”. Ciò è previsto dall’art. 65, comma 2 e 4, D.P.R. n. 600/1973, che obbliga i chiamati a comunicare le proprie generalità e domicilio fiscale. Tuttavia, i chiamati, pur in presenza di una corretta notifica, “possono legittimamente impugnarlo, eccependo la loro carenza di legittimazione passiva ed estraneità ai debiti del defunto”. L’onere di provare l’accettazione tacita dell’eredità spetta sempre all’Amministrazione finanziaria.

Infine, per quanto riguarda le sanzioni tributarie, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, reca disposizioni in materia di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie. L’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997 sancisce il principio di personalità della responsabilità: “la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione”. Corollario diretto di questo principio è l’art. 8 del medesimo D.Lgs. n. 472/1997, che stabilisce l’intrasmissibilità della sanzione agli eredi. Questo significa che “il debito erariale derivante da violazioni fiscali si estingue con la morte dell’autore”.

Il contesto e la decisa pronuncia della Cassazione n. 22476/2025

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava un contribuente coinvolto in un contenzioso per omessa dichiarazione di investimenti all’estero, con sanzioni quantificate in oltre 460 mila euro. Durante il procedimento, il contribuente è deceduto. L’ordinanza ha stabilito in maniera inequivocabile che le sanzioni tributarie si estinguono con la morte del contribuente e non si trasmettono agli eredi.

La Corte ha richiamato l’art. 8 delle disposizioni sanzionatorie amministrative per violazioni di norme tributarie, ribadendo un principio cardine: la responsabilità per le sanzioni tributarie è personale. Come corollario del principio di personalità delle sanzioni, espresso dall’art. 2 delle stesse disposizioni, ne consegue che “il debito erariale derivante da violazioni fiscali si estingua con la morte dell’autore”.

La pronuncia è chiarissima anche in merito alle spese legali, statuendo che “il sopravvenire della morte della persona destinataria della contestazione, impedisce di procedere nel vaglio dei motivi di doglianza, i quali, pertanto, restano inesplorati, di talché non vi è luogo a regolare le spese e, pertanto, non può trovare applicazione il principio della soccombenza virtuale”. In pratica, la morte del contribuente comporta la “cessazione della materia del contendere” per quanto riguarda le sanzioni.

Criticità e la distinzione fondamentale: Sanzioni vs. Tributi

La chiarezza della Cassazione sulla non trasmissibilità delle sanzioni fiscali è certamente un passo importante per la tutela degli eredi, in quanto impedisce che le conseguenze punitive di un comportamento illecito ricadano su soggetti terzi. Tuttavia, ed è questo il punto critico che merita la massima attenzione, questa pronuncia non va confusa con la trasmissibilità dei debiti tributari tout court. Molti articoli e analisi tendono a generalizzare, creando l’erronea percezione che “i debiti con il Fisco non si ereditano”, il che è profondamente fuorviante.

Il diritto tributario, infatti, stabilisce che gli eredi subentrano nei rapporti di natura fiscale del de cuius. L’art. 65, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, prevede espressamente che gli eredi siano tenuti in solido al pagamento delle imposte gravanti sul contribuente e dovute per periodi d’imposta anteriori alla data della sua morte. Ciò include debiti IRPEF, IVA, IMU, TARI e altri tributi locali. La solidarietà degli eredi, seppur con diritto di rivalsa tra coeredi, rende la loro posizione particolarmente delicata, esponendoli alla piena pretesa impositiva dell’Amministrazione finanziaria per l’intero ammontare del debito tributario.

Il punto cruciale è, quindi, che le imposte non sono sanzioni. Mentre la sanzione ha una natura afflittiva e personale, il tributo è un’obbligazione patrimoniale. La Cassazione, con la decisione in esame, ha ribadito che la pena si estingue con il reo; ma l’obbligazione economica del tributo dovuto rimane e si trasferisce.

È vero che “la responsabilità per il debito tributario del de cuius presuppone l’assunzione della qualità di erede”. Questo significa che il semplice chiamato all’eredità non è automaticamente responsabile dei debiti tributari, ma lo diventa solo con l’accettazione dell’eredità. La rinuncia all’eredità, come ampiamente chiarito dalla giurisprudenza, produce un effetto retroattivo per cui il rinunciante è considerato come se non fosse mai stato chiamato e, di conseguenza, “non risponde dei debiti tributari del defunto”. Tale principio è stato confermato in più sentenze di Cassazione, come la n. 37064/2022, la n. 21006/2021, la n. 10387/2022 e la n. 11832/2022.

Le opzioni per il chiamato all’eredità rimangono, dunque:

  • Accettazione pura e semplice: l’erede assume tutti gli attivi e i passivi, rispondendo dei debiti anche con il proprio patrimonio personale.
  • Accettazione con beneficio d’inventario: l’erede assume attivi e passivi, ma la sua responsabilità per i debiti è limitata al valore dell’attivo ereditario.
  • Rinuncia all’eredità: l’atto formale con il quale il chiamato dichiara di non voler accettare, venendo considerato come mai chiamato e non rispondendo di alcun debito ereditario, inclusi quelli tributari. Questa è la via per evitare di pagare con il proprio patrimonio i debiti altrui.

Implicazioni pratiche per i chiamati all’eredità

L’ordinanza n. 22476/2025 offre una tutela importante contro la trasmissibilità delle sanzioni fiscali, garantendo che l’aspetto punitivo della violazione non si estenda mortis causa. Tuttavia, questa chiarezza non dispensa i chiamati all’eredità dalla necessità di un’attenta valutazione e, spesso, di un intervento tempestivo riguardo ai debiti tributari. L’Amministrazione finanziaria ha comunque la facoltà di notificare atti impositivi relativi a obbligazioni tributarie del de cuius agli eredi o ai chiamati, anche se in assenza di accettazione. L’onere della prova dell’avvenuta accettazione tacita dell’eredità spetta sempre all’Amministrazione finanziaria.

La rinuncia all’eredità rimane lo strumento più efficace per chi vuole evitare ogni responsabilità per i debiti del defunto, siano essi tributari o di altra natura. È cruciale che tale atto sia formalizzato correttamente, con dichiarazione ricevuta da notaio o cancelliere del tribunale (art. 519 c.c.), entro i termini di legge (tre mesi se si è in possesso dei beni ereditari, dieci anni negli altri casi).

Conclusioni: chiare acque, ma non per tutti i fiumi

In sintesi, l’ordinanza della Cassazione n. 22476/2025 è un’ottima notizia per gli eredi, in quanto sancisce l’intrasmissibilità delle sanzioni tributarie, mettendo un freno alle pretese del Fisco su un fronte delicato. Questo principio, fondato sulla personalità della responsabilità sanzionatoria (art. 2, D.Lgs. n. 472/1997) e sull’intrasmissibilità agli eredi (art. 8, D.Lgs. n. 472/1997), garantisce che la colpa e la pena non vengano ereditate.

Tuttavia, come giuristi, è nostro dovere sottolineare che questa pronuncia non cambia la natura e la trasmissibilità dei debiti tributari (i tributi dovuti). L’errore di confondere “sanzioni” con “tributi” può portare a conseguenze economiche gravi per chi eredita. I debiti fiscali, infatti, continuano a trasferirsi agli eredi che accettano l’eredità (art. 65, comma 1, D.P.R. n. 600/1973), e solo attraverso una rinuncia formale o un’accettazione con beneficio d’inventario è possibile mitigare o annullare tale responsabilità.

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