COMMENTO
DI GIOVANNI IMPROTA | 19 SETTEMBRE 2025
Si segnala un’interessante ordinanza della Corte di Cassazione (n. 23189 del 12 agosto 2025 ) in tema di licenziamento disciplinare secondo la quale la richiesta di rimborso spese di trasferta da parte del lavoratore, ancorché parzialmente indebita per carenza di giustificativi o per non conformità alla policy aziendale, non può essere automaticamente equiparata ad ipotesi di furto o frode idonee a giustificare il recesso per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c., dovendo il datore di lavoro rispettare il principio di proporzionalità.
Il licenziamento per giusta causa: in particolare il principio di proporzionalità
L’aspetto più significativo affrontato dalla Cassazione nell’ordinanza n. 23189 del 12 agosto 2025 in esame riguarda un principio cardine del procedimento disciplinare, ossia il c.d. principio di proporzionalità fra il comportamento negligente tenuto dal lavoratore e la sanzione disciplinare prescelta dal datore di lavoro per sanzionare detto comportamento.
In sintesi, tale principio prevede che il datore di lavoro, in fase di valutazione della sanzione disciplinare da applicare a conclusione del procedimento avviato nei confronti del lavoratore negligente, debba adottare una sanzione fra quelle previste dalla legge e dal CCNL applicato adeguata alla gravità del fatto contestato, tenendo conto dei seguenti fattori:
– natura e intensità dell’inadempimento;
– mansioni e posizione del lavoratore;
– grado di dolo o colpa;
– precedenti disciplinari;
– circostanze attenuanti o aggravanti.
Tale verifica preliminare da parte del datore di lavoro assume estrema rilevanza in prospettiva dell’eventuale impugnazione in sede amministrativa o in via ordinaria dinanzi al Giudice del Lavoro, in quanto quest’ultimo è tenuto ad effettuare un controllo di merito sulla proporzionalità della sanzione, potendo dichiarare illegittimo un licenziamento per giusta causa se reputato eccessivo rispetto alla condotta (soprattutto nei casi in cui, a parere dell’organo giudicante, il comportamento negligente del lavoratore avrebbe dovuto essere sanzionato con l’applicazione di una sanzione conservativa).
Infatti, qualora all’esito di tale controllo, il Giudice dovesse ritenere violato da parte del datore di lavoro il principio di proporzionalità, la sanzione irrogata verrebbe ritenuta illegittima.
Si pensi ad esempio al caso di licenziamento disciplinare: la lesione del suddetto principio comporterebbe una sentenza di illegittimità del licenziamento, con conseguente diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro.
Di contro, laddove il Giudice dovesse ritenere proporzionata la sanzione irrogata, la verifica si limiterebbe solo all’osservanza da parte del datore di lavoro delle garanzie procedimentali previste dall’art. 7 Legge n. 300/1970.
Analisi della sentenza n. 23189/2025
Il fatto
La vicenda trae origine dal licenziamento disciplinare intimato da Amazon Italia Logistica S.r.l. ad una dipendente, accusata di aver richiesto ed ottenuto il rimborso di spese non inerenti ad una trasferta lavorativa, per un importo di € 265,96 su un totale di € 927,86.
Avverso tale provvedimento, la lavoratrice ha depositato presso il competente Tribunale il ricorso ex art. 414 c.p.c.
Al termine del giudizio di primo grado, il tribunale di Rovigo dichiarava insussistenti gli estremi della giusta causa e del giustificato motivo del licenziamento intimato da Amazon Italia Logistica Srl, con conseguente condanna del datore di lavoro al pagamento nei confronti della lavoratrice ricorrente dell’indennità di 6 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, ai sensi dell’articolo 3 del D.Lgs. n. 23/2015.
Al termine del giudizio d’appello avviato dal datore di lavoro, la Corte ribaltava la decisione, ritenendo la condotta della lavoratrice assimilabile ad un furto ex art. 32 lett. C) CCNL Logistica e confermando la legittimità del licenziamento sulla base delle seguenti argomentazioni:
- assenza da parte della lavoratrice ricorrente della prova afferente all’inerenza delle spese alla trasferta;
- gravità dell’inadempimento anche con riferimento al requisito di proporzionalità ed all’art. 32 del CCNL di categoria.
Avverso il licenziamento la lavoratrice proponeva ricorso per Cassazione.
Le argomentazioni della Suprema Corte
Con la sentenza in esame la Suprema Corte ha affermato l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato nei confronti della lavoratrice ricorrente per violazione del principio di proporzionalità, disponendo nel contempo per un nuovo giudizio.
In particolare, la Corte di Cassazione:
- con riferimento alle argomentazioni della Corte d’Appello afferenti l’assenza di prove fornite dalla lavoratrice, ha respinto detta argomentazione, affermando che nel caso di specie non c’è stata alcuna violazione del principio dell’onere della prova avendo la Corte positivamente accertato che le spese oggetto della contestazione non fossero in concreto inerenti alla policy aziendale in materia di rimborsi conosciuta dalla dipendente;
- anche con riferimento alla gravità dell’inadempimento affermata dalla Corte d’Appello, ha respinto detta argomentazione, affermando che il giudizio circa la gravità delle infrazioni commesse dal lavoratore subordinato e la loro attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento implica un accertamento di fatto demandato al giudice di merito, la cui valutazione è incensurabile in sede di Cassazione;
- ha affermato che la giusta causa ed il giustificato motivo soggettivo configurano nozioni legali ai sensi dell’art. 2119 cod. civ. o dell’art. 3 della Legge n. 604/1966, in base alle quali il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto ed a tutte le circostanze del caso. In particolare, la valutazione della gravità dell’inadempimento deve rispettare il principio di proporzionalità e tener conto sia delle previsioni del CCNL, che possono tipizzare condotte punibili con sanzione conservativa, sia delle concrete modalità della condotta, nonché dell’assenza di fraudolenza o di induzione in errore, ove la richiesta sia stata presentata secondo le procedure aziendali ed il controllo sulla debenza delle spese sia rimesso al datore di lavoro.
La Cassazione, inoltre, nel riformare la sentenza della Corte d’Appello, ha contestato il fatto per cui i giudici di secondo grado hanno assimilato la condotta tenuta dalla lavoratrice ricorrente ad un furto, senza tener conto del fatto che la medesima:
- aveva utilizzato la procedura prevista dal portale aziendale;
- non aveva alterato documenti, né posto in essere condotte fraudolente;
- aveva prontamente restituito le somme richieste dall’azienda;
- era priva di precedenti disciplinari.
Pertanto, il comportamento negligente tenuto dalla dipendente doveva essere ricondotto ad un’ipotesi di irregolarità o mancato rispetto delle direttive aziendali, sanzionabile in via conservativa dal CCNL e non con la massima sanzione espulsiva.
Riferimenti normativi:
- Codice civile, art. 2119
- Codice procedura civile, art. 414
- D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, art. 3
- CCNL Trasporto merci – Logistica, 18 maggio 2021, art. 32 lett. C)
- Corte di Cassazione, Ordinanza 12 agosto 2025, n. 23189
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