RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
A CURA DI BENEDETTA CARGNEL | 7 NOVEMBRE 2025
DATORE DI LAVORO
Sanzione disciplinare
L’interesse del datore di lavoro ad agire in giudizio per far accertare inadempimenti del lavoratore – Cass., Sez. Lav., ord. 16 ottobre 2025, n. 27671
Il Fatto
Un datore di lavoro adiva il Tribunale per far accertare che l’infermità da cui i lavoratori erano stati affetti nei periodi di assenza per malattia non fosse stata di gravità tale da giustificare l’assenza dal lavoro.
Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettava la domanda per carenza di interesse ad agire.
Il Diritto
La Corte ricorda che l’interesse ad agire con un’azione di mero accertamento non implica necessariamente l’attuale verificarsi della lesione d’un diritto o una contestazione, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva, anche non preesistente rispetto al processo, sull’esistenza di un rapporto giuridico o sull’esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, costituendo la rimozione di tale incertezza un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l’intervento del giudice. Sul punto, la corte precisa che non è ammissibile un’azione preventiva di mero accertamento intesa a verificare se la condotta dal lavoratore sia, per la sua gravità, tale da ledere l’elemento fiduciario alla base del rapporto di lavoro e, dunque, da giustificare il licenziamento, considerato che l’interesse ad agire sussiste solo ove ricorra una pregiudizievole situazione d’incertezza relativa a diritti o rapporti giuridici non eliminabile senza l’intervento del giudice, mentre, in tale evenienza, l’esito del giudizio non risolve la questione controversa poiché è comunque rimessa alla successiva determinazione discrezionale del datore di lavoro la valutazione se procedere alla contestazione degli addebiti, peraltro con palese violazione dei principi di immediatezza della contestazione e di tempestività del recesso datoriale, che rispondono all’esigenza di rispettare le regole di buona fede e correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro.
La corte pertanto rigetta il ricorso.
INPS
ATP
Il giudizio di Atp in caso di contestazione delle valutazioni INPS in tutela di invalidità civile – Cass., Sez. Lav., ord. 25 ottobre 2025, n. 28342
Il Fatto
Veniva proposto ricorso con ATP per ottenere il riconoscimento dell’invalidità necessaria per l’indennità di accompagnamento e lo status di handicapgrave, di cui il cittadino era stato precedentemente titolare fino ad una visita di revisione che ne aveva ridotto la percentuale.
Il Tribunale dichiarava improponibile il ricorso per il difetto di una nuova domanda amministrativa volta al ri-ottenimento delle prestazioni.
Veniva proposto ricorso per cassazione.
Il Diritto
La corte ricorda che, cui, ai fini della proponibilità dell’azione giudiziaria con la quale si intenda accertare la persistenza dei requisiti costitutivi del diritto alla prestazione di invalidità revocata, non è necessario presentare una nuova domanda amministrativa.
Poiché i giudici non si sono attenuti a tale principio, la corte accoglie il ricorso.
Pensione
La costituzione di un nuovo rapporto di lavoro e le conseguenze per la pensione di invalidità – Cass., Sez. Lav., ord. 16 ottobre 2025, n. 27630
Il Fatto
Un lavoratore adiva in giudizio INPS per chiedere l’annullamento del dal provvedimento con cui l’INPS aveva annullato la pensione di anzianità liquidatagli, poiché dopo le dimissioni aveva immediatamente costituito con il medesimo datore di lavoro un nuovo rapporto di lavoro subordinato part-time.
La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda e il lavoratore ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La Corte ricorda che il conseguimento del diritto alla pensione è subordinato alla cessazione di qualsiasi rapporto di lavoro in essere, anche diverso da quello in riferimento al quale sono stati versati i contributi alla gestione deputata ad erogare la prestazione. La cessazione del rapporto costituisce una “presunzione di bisogno” che giustifica l’erogazione della prestazione sociale. Si ravvisa una presunzione semplice di simulazione della cessazione del rapporto laddove questa sia seguita da immediata riassunzione del lavoratore, alle medesime condizioni, presso lo stesso datore di lavoro. Questa presunzione può essere vinta solo provando il carattere realmente novativo del rapporto di lavoro successivo.
La corte pertanto rigetta il ricorso.
LAVORO SUBORDINATO
Onere della prova
L’accertamento giudiziale della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – Cass., Sez. Lav., ord. 24 ottobre 2025, n. 28320
Il Fatto
Un lavoratore adiva il Tribunale per ottenere l’accertamento del diritto alla iscrizione negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli e la condanna dell’INPS al pagamento dell’indennità di disoccupazione agricola.
il Tribunale e la Corte d’Appello rigettavano le domande, ritenendo non raggiunta la prova dell’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, prestato presso famigliari.
Il lavoratore ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte ribadisce che anche qualora si escluda la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative tra parenti, non opera ipso iure una presunzione di contrario contenuto (ossia, un rapporto di lavoro subordinato): la parte che intende far valere diritti derivanti da tale rapporto ha, in ogni caso, l’onere di dimostrarne, con prova precisa e rigorosa, tutti gli elementi costitutivi, specialmente l’onerosità e la subordinazione.
La corte pertanto rigetta il ricorso.
MOBBING
Responsabilità del datore
La responsabilità del datore di lavoro per mancata protezione del lavoratore – Cass., Sez. Lav., ord. 16 ottobre 2025, n. 27685
Il Fatto
Un lavoratore adiva il Tribunale per il risarcimento del danno da mobbing, lamentando la violazione dell’art. 2087 c.c. da parte della società datrice di lavoro.
La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva la domanda, escludeva la condotta mobbizzante, non ravvisando un “disegno persecutorio diretto ad emarginare il lavoratore”.
Il lavoratore ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte ribadisce che le nozioni di mobbing e straining sono di natura medico-legale e servono unicamente a identificare comportamenti in contrasto con l’art. 2087 c.c. L’elemento qualificante del mobbing è l’intento persecutorio soggettivo che avvince la pluralità delle condotte. Tuttavia, anche in assenza del mobbing, il giudice di merito deve comunque accertare se sussista un’ipotesi di responsabilità del datore di lavoro per inadempimento (anche solo per colpa) degli obblighi di protezione (art. 2087 c.c.).
La responsabilità del datore di lavoro è configurabile, secondo le regole generali sulla responsabilità contrattuale, a fronte di un mero inadempimento imputabile anche solo per colpa, che si ponga in nesso causale con un danno all’integrità psico-fisica del lavoratore. È un principio consolidato che, in caso di accertata insussistenza del mobbing, il giudice debba comunque verificare se sia configurabile la responsabilità datoriale per non aver adottato le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. Su quest’ultimo grava l’onere di provare il danno e il nesso causale, mentre sul datore di lavoro grava l’onere di provare di aver adottato tutte le misure necessarie.
Poiché i giudici di merito non si sono attenuti a tali principi, la corte accoglie il ricorso.
PENSIONE
Contributi
L’illegittimità delle trattenute operate dalle casse previdenziali private – Cass., Sez. Lav., ord. 25 ottobre 2025, n. 28344
Il Fatto
Un pensionato adiva il Tribunale per far dichiarare l’illegittimità trattenute operate a titolo di contributo di solidarietà sul suo trattamento pensionistico operate dalla cassa di appartenenza.
Il Tribunale e la Corte d’Appello accoglievano la domanda e la cassa ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte richiama il consolidato orientamento secondo cui gli enti previdenziali non possono imporre una trattenuta (quale un contributo di solidarietà) su un trattamento pensionistico già determinato. Tale prelievo non rientra nei criteri di determinazione del trattamento pensionistico, ma costituisce una prestazione patrimoniale ex art. 23 Cost. la cui imposizione è riservata al legislatore.
La corte ribadisce poi che quando è in contestazione l’ammontare del trattamento pensionistico a causa di una trattenuta indebita (come il contributo di solidarietà), il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto alla ordinaria prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. La prescrizione quinquennale di cui all’art. 47-bis D.P.R. n. 639/70, infatti, riguarda la riliquidazione della pensione in sé e non la restituzione di una trattenuta patrimoniale illegittima.
Poiché i giudici di merito si sono attenuti a tali principi, la corte rigetta il ricorso.
PUBBLICO IMPIEGO
Lavoro a termine
Il risarcimento del danno per l’illegittima reiterazione di contratti a termine nel settore pubblico – Cass., Sez. Lav., ord. 11 ottobre 2025, n. 27242
Il Fatto
Un lavoratore del pubblico impiego adiva il Tribunale per ottenere il risarcimento del danno per abuso nella reiterazione di contratti a termine.
La Corte d’Appello, in sede di rinvio rigettava la domanda, rilevando che nel caso di specie sussisteva un rapporto diretto di causa efficiente tra il pregresso abuso e la successiva stabilizzazione, avvenuta in forza del diritto di precedenza spettante ai lavoratori già titolari di pregressi rapporti a termine.
Il lavoratore ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte ribadisce che, nel lavoro pubblico privatizzato, l’immissione in ruolo del lavoratore a tempo determinato in seguito ad abusiva successione di contratti a termine ha efficacia riparatoria dell’illecito (c.d. danno comunitario) solo in presenza di una stretta correlazione tra l’abuso commesso e la stabilizzazione, condizione che non ricorre quando l’assunzione a tempo indeterminato avviene all’esito di una procedura concorsuale, anche se riservata, poiché l’abuso opera come mero antecedente e offre una mera chance di assunzione.
La corte pertanto accoglie il ricorso.
RETRIBUZIONE
Ferie
Il principio di onnicomprensività della retribuzione anche in ferie – Cass., Sez. Lav., ord. 12 ottobre 2025, n. 27250
Il Fatto
Un lavoratore, adiva il Tribunale per ottenere dal datore di lavoro il pagamento di differenze retributive maturate per ottenere, nella base di computo della retribuzione per ferie, di alcune indennità, tra cui quelle di permanenza a bordo, di riserva, di servizio fuori distretto, di efficientamento e le provvigioni.
La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto la domanda e il datore di lavoro ricorreva per cassazione.
Il Diritto
Preliminarmente, la corte osserva che nel rito del lavoro per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto che ne costituiscono il fondamento, non è sufficiente che taluno di tali elementi non venga formalmente indicato, ma è necessario che ne sia impossibile l’individuazione attraverso l’esame complessivo dell’atto.
La corte poi ribadisce che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie subisce la decisiva influenza dell’interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha precisato come l’espressione «ferie annuali retribuite» contenuta nell’art. 7, n. 1, della Direttiva n. 88 del 2003 faccia riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, deve essere mantenuta la retribuzione che il lavoratore percepisce in via ordinaria.
La corte pertanto rigetta il ricorso.
Mansioni
Il giudizio di accertamento delle mansioni svolte dal lavoratore – Cass., Sez. Lav., ord. 16 ottobre 2025, n. 27679
Il Fatto
Un lavoratore adiva il Tribunale di Torino per ottenere il riconoscimento di mansioni superiori e la condanna della società al pagamento delle differenze retributive.
Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, riconoscendo il superiore inquadramento nei limiti della prescrizione, mentre la Corte d’Appello, in riforma della pronuncia di primo grado, riteneva che le mansioni svolte dal lavoratore non possedessero gli elementi qualificanti per essere definite complesse e, dunque, non consentissero il riconoscimento dell’inquadramento superiore.
Il lavoratore ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte osserva che nella valutazione dei giudici di merito è stato utilizzato il giudizio trifasico per l’accertamento del corretto inquadramento (accertamento in fatto, individuazione delle qualifiche contrattuali e raffronto).
La corte pertanto rigetta il ricorso.
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