COMMENTO
DI MATTIA MERATI | 28 OTTOBRE 2025
Con la Risposta all’interpello n. 263 del 13 ottobre 2025, l’Agenzia delle Entrate ha fornito nuovi chiarimenti sull’applicazione del regime agevolativo per i lavoratori impatriati, in riferimento al caso di un contribuente “rientrante”, già coinvolto in una collaborazione con un’università italiana. La prosecuzione di tale collaborazione non osta all’accesso al beneficio fiscale, ma ne limita l’ambito ai soli redditi derivanti dalla “nuova” attività lavorativa, svolta in Italia, per conto di soggetti non collegati al precedente datore. Restano esclusi, invece, i compensi percepiti per la collaborazione coordinata e continuativa con l’università.
Il regime impatriati: contesto normativo
L’art. 5 del D.Lgs. n. 209/2023 ha riformulato integralmente la disciplina relativa al regime agevolativo degli impatriati, precedentemente contenuta nell’art. 16 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147. Il nuovo regime si applica, salvo quanto previsto dal regime transitorio, ai soggetti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia a partire dal periodo d’imposta 2024.
L’agevolazione consiste nella parziale concorrenza (al 50% o al 40% nel rispetto di certe condizioni) al reddito complessivo dei redditi di lavoro dipendente, assimilati e di lavoro autonomo “professionale” prodotti in Italia, entro il limite annuo di 600.000 euro (c.d. “de minimis”), per cinque periodi d’imposta. Non è prevista proroga, salvo le eccezioni contemplate dal regime transitorio.
In sintesi, le condizioni principali di accesso al “nuovo” regime includono:
- la residenza fiscale all’estero nei tre periodi d’imposta precedenti il trasferimento;
- l’impegno a risiedere in Italia per almeno quattro anni;
- l’attività lavorativa prestata per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio dello Stato;
- possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.
Tuttavia, in caso di continuità lavorativa con il datore di lavoro estero o con soggetti appartenenti allo stesso gruppo, l’art. 5, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 27 dicembre 2023, n. 209 dispone che il periodo minimo di residenza all’estero si estende a:
- sei periodi d’imposta, se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo (“test di continuità estero/Italia”);
- sette periodi d’imposta, se il lavoratore, prima del suo trasferimento all’estero, è stato impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo (“test di continuità storica”).
Il quesito e la soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
Il contribuente istante, cittadino italiano, ha trasferito la propria residenza all’estero dal 1° gennaio 2023 per svolgere attività di lavoro dipendentepresso una società estera. Contestualmente, ha mantenuto una collaborazione coordinata e continuativa, già in essere prima del trasferimento all’estero, con un’università italiana per attività di insegnamento.
Intende rientrare nuovamente in Italia, acquisendo la residenza fiscale italiana dal 2026, per assumere un nuovo incarico di lavoro dipendentepresso una società italiana non collegata al – né partecipata dal – precedente datore estero, continuando tuttavia la collaborazione con l’università. L’attività lavorativa sarà prestata prevalentemente in Italia. Il contribuente dichiara di non essere stato fiscalmente residente in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti (2023-2025) e si impegna a mantenere la residenza in Italia per almeno quattro anni.
L’istante ritiene di poter applicare, a decorrere dal periodo d’imposta 2026 e per le quattro annualità successive, il regime agevolativo “impatriati”, non ostando all’applicabilità di tale regime la continuità della prestazione di collaborazione con l’università (per la quale non sarebbe rispettato il requisito “rafforzato” di residenza estera per i precedenti sei o sette periodi d’imposta).
A mente dell’istante, il regime di favore può comunque trovare applicazione, ancorché limitatamente ai redditi da lavoro dipendente presso la nuova società italiana, escludendo invece quelli derivanti dalla collaborazione con l’università.
Risposta dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia conferma che il contribuente potrà accedere al nuovo regime agevolativo limitatamente ai redditi da lavoro dipendente presso la nuova società, non appartenente al gruppo del precedente datore estero.
Richiamando precedenti orientamenti di prassi (cfr. Risposte ad interpello n. 41, n. 53 e n. 142 del 2025), l’Agenzia delle Entrate evidenzia che il nuovo regime agevolativo può trovare applicazione anche nei casi in cui sussista una continuità con una precedente posizione lavorativa assunta in Italia prima del trasferimento all’estero. Tale circostanza, tuttavia, incide esclusivamente sulla determinazione del requisito temporale minimo di residenza all’estero, che – in presenza di rapporti lavorativi continuativi con il medesimo soggetto o con soggetti appartenenti al medesimo gruppo – risulta esteso a (nel caso specifico) sette periodi d’imposta, rispetto ai tre anni ordinariamente richiesti.
Ne consegue che non osta di per sé all’accesso al regime di favore la circostanza che l’istante continuerà a svolgere anche l’attività di collaborazione coordinata e continuativa con l’Università.
Dunque, l’istante:
- potrà fruire del regime di favore con esclusivo riferimento al reddito derivante dall’attività che intende svolgere alle dipendenze della società per la quale non ha svolto attività lavorativa all’estero;
- non potrà, invece, fruire del regime di favore con riferimento ai redditi derivanti dall’attività di collaborazione coordinata e continuativa con l’Università in quanto non risulterebbe – limitatamente a quest’ultimi – soddisfatto il periodo di permanenza estera “rafforzato” (nel caso specifico, di almeno sette anni).
Conclusioni
Le conclusioni dell’Agenzia delle Entrate ribadiscono un principio essenziale per l’accesso al regime agevolativo per i lavoratori impatriati, secondo cui non è sufficiente dimostrare la residenza fiscale all’estero per il periodo minimo richiesto. È invece necessario ricostruire in modo dettagliato l’intero percorso professionale del contribuente, al fine di individuare eventuali elementi di continuità con l’attività che si intende svolgere in Italia dopo il rientro.
Questa valutazione non può limitarsi a un’analisi formale ma deve estendersi a un esame sostanziale e funzionale delle relazioni professionali esistenti e passate, verificando eventuali elementi di connessione o continuità rispetto a quelle “future” che si intendono intraprendere.
Riferimenti normativi:
- D.Lgs. 27 dicembre 2023, n. 209, art. 5;
- Agenzia delle Entrate, Risposta a istanza di interpello 13 ottobre 2025, n. 263.
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