3° Contenuto Riservato: Accertamenti nella ristorazione: aspetti procedurali

COMMENTO

DI MATTEO RIZZARDI | 2 OTTOBRE 2025

L’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria nel settore della ristorazione si fonda tradizionalmente sull’utilizzo di metodi presuntivi basati sui consumi unitari, noti nel gergo tecnico come i “metri” (come il tovagliometro, il farinometro o il caffettometro). L’ordinanza della Corte Suprema di Cassazione n. 24782/2025, pubblicata l’8 settembre 2025, non solo ribadisce la piena legittimità della ricostruzione induttiva dei ricavi di un’impresa di ristorazione basata sul consumo di acqua minerale (il c.d. “bottigliometro”), ma offre anche uno spunto di riflessione cruciale e tecnico sul rigore delle formalità procedurali che possono inficiare l’atto impositivo, indipendentemente dalla fondatezza sostanziale della pretesa.

La conferma della legittimità del “bottigliometro” e il limite della praesumptio de presumpto

Il caso esaminato trae origine da un avviso di accertamento (riferito all’annualità 2008) emesso dall’Agenzia delle Entrate a seguito di una verifica fiscale. L’Ufficio aveva ricostruito i maggiori ricavi presumibili di una società di ristorazione confrontando la quantità di acqua mineraleacquistata e destinata alla somministrazione con quella risultante effettivamente servita alla clientela. La differenza così rilevata aveva portato alla stima di maggiori coperti gestiti e, conseguentemente, all’accertamento di maggiori IRES, IRAP e IVA.

La difesa della contribuente ha censurato tale metodologia, contestando la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., e del divieto di praesumptio de presumpto (presunzione di secondo grado).

L’acqua minerale come presunzione di primo grado

La Corte di Cassazione, respingendo il terzo motivo di ricorso, ha fermamente ribadito la validità del metodo analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973 e art. 54, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972.

Secondo un principio consolidato, l’accertamento è legittimo quando la ricostruzione dei ricavi di un’impresa di ristorazione si basa sul consumo di acqua minerale, in quanto questo costituisce un ingrediente fondamentale, se non addirittura indispensabile, nelle consumazioni effettuate.

Il punto centrale di tale statuizione risiede nella qualificazione giuridica del consumo d’acqua:

  1. non si tratta di una presunzione di secondo grado: la Cassazione ha chiarito che il ragionamento presuntivo si fonda su dati oggettivi e documentati (l’acquisto dell’acqua) idonei a fondare presunzioni di primo grado, logicamente collegate al fatto ignoto (i ricavi non contabilizzati). Dunque, non si è in presenza di una praesumptio de presumpto;
  2. gravità, precisione e concordanza: il consumo di beni di uso ricorrente, come l’acqua nel ristorante, soddisfa i requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dagli artt. 2727 e 2729 c.c. Questo dato (il consumo sproporzionato di acqua rispetto ai ricavi dichiarati) è considerato un indice attendibile dei volumi reali di vendite.

Questa conferma giurisprudenziale consolida l’orientamento secondo cui gli “indici di consumo” sono strumenti di accertamento robusti, capaci di legittimare la rettifica dei ricavi anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, purché i funzionari verifichino e adattino i risultati della metodologia alle specificità dell’impresa (ad esempio, tenendo conto della stagionalità, della banchettistica e applicando una percentuale di sfrido).

Cuore dell’ordinanza: il vizio di rito e la nullità per motivazione apparente

Nonostante la Corte abbia pienamente validato il metodo del “bottigliometro” (rigettando il terzo motivo), l’ordinanza n. 24782/2025 giunge alla cassazione con rinvio della sentenza impugnata, accogliendo il primo motivo di ricorso.

Questo esito si fonda su un vizio di natura procedurale estremamente rilevante: la nullità della sentenza di secondo grado per motivazione apparente in relazione alla contestazione della sottoscrizione dell’avviso di accertamento.

Il ruolo decisivo della delega ex art. 42 D.P.R. n. 600/1973

Il primo motivo di ricorso denunciava la nullità dell’avviso di accertamento per la mancanza di una valida delega che abilitasse il funzionario sottoscrittore dell’atto, in violazione dell’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973. Tale norma impone, a pena di nullità, che l’avviso sia firmato dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR), nel respingere l’eccezione della contribuente, si era limitata ad affermare l’infondatezza del motivo, sostenendo che l’avviso fosse stato sottoscritto dal Capo Area Imprese Minori e Lavoratori Autonomi su delega del Direttore Provinciale.

La Cassazione ha rilevato che la CTR si è limitata a una formula apodittica e assertiva. Tale approccio non ha permesso di comprendere l’iter logico-giuridico seguito. La motivazione è risultata “meramente apparente” poiché il giudice d’appello ha omesso ogni verifica documentalesull’effettiva esistenza, natura (di firma o di funzioni), contenuto specifico e idoneità della delega a legittimare la sottoscrizione.

Rigore formale e principio di vicinanza della prova

L’accoglimento del primo motivo per vizio di motivazione apparente (art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., e art. 36, comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546/1992), rileva una fondamentale criticità procedurale che si pone a monte della legittimità sostanziale dell’accertamento.

La Cassazione ha implicitamente richiamato il principio di vicinanza della prova: nel caso di contestazione specifica (e autosufficiente) della delega, è onere dell’Amministrazione finanziaria produrre in giudizio l’atto di delega per dimostrare la legittimazione del sottoscrittore. L’omessa verifica di tale elemento, decisivo per la controversia, ha reso la sentenza nulla per error in procedendo.

Spunti di riflessione tecnica e critica

L’ordinanza n. 24782/2025 rappresenta un monito per l’Amministrazione finanziaria e offre strumenti difensivi affinati per i professionisti:

A. La robustezza del metodo induttivo di primo grado

Da un punto di vista sostanziale, la giurisprudenza di legittimità ha blindato l’uso dei “metri” (come il bottigliometro), classificandoli come presunzioni semplici pienamente valide. Per la categoria dei ristoratori, ciò impone un’accurata tenuta contabile e documentale di tutti i consumi e degli scarti (sfridi). L’unico strumento difensivo sulla fondatezza rimane la dimostrazione che l’applicazione del coefficiente unitario non sia conforme alla specifica realtà operativa dell’impresa o che vi siano stati errori nel calcolo degli scarti.

B. Il rischio della “motivazione apparente” nelle CTR

Il vizio di nullità per motivazione apparente è uno dei pochi strumenti rimasti per censurare efficacemente il ragionamento dei giudici di merito, specialmente dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. La Cassazione ha ribadito che la motivazione deve consentire di percepire il fondamento della decisione e l’intero percorso logico-giuridico, evitando formule apodittiche. L’accoglimento del primo motivo critica aspramente il deficit di controllo documentale della CTR laziale in una materia (la delega) dove l’onere probatorio incombe sull’Ufficio in caso di contestazione.

C. L’inderogabilità del vizio di rito

La pronuncia evidenzia come la corretta formalizzazione degli atti impositivi sia un presidio essenziale del contribuente. Sebbene il merito della pretesa (ricostruzione dei ricavi tramite bottigliometro) sia stato ritenuto legittimo dalla Suprema Corte, il vizio di rito legato alla firma non regolarmente delegata ha portato alla cassazione della sentenza.

Questo rafforza l’idea che le difese procedurali (se fondate e specifiche) sono in grado di annullare atti impositivi viziati, indipendentemente dalla verità sostanziale dei fatti economici accertati.

In conclusione, l’ordinanza n. 24782/2025 definisce un doppio binario: da un lato, rafforza la legittimità dei metodi induttivi basati sui consumi nel settore della ristorazione; dall’altro, sanziona con rigore l’inosservanza dei requisiti formali fondamentali da parte dell’Amministrazione e l’insufficienza motivazionale dei giudici di merito nel vagliare tali eccezioni. Per il professionista, la pronuncia sottolinea l’importanza di un controllo capillare sia sulla metodologia di accertamento (an e quantum dei coefficienti) sia sulla validità formale dell’atto introduttivo del contenzioso.

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