COMMENTO
DI GIOVANNI IMPROTA | 17 LUGLIO 2025
In caso di demansionamento, non sorge automaticamente in capo al lavoratore il diritto al risarcimento del danno subito, ma è necessario che il lavoratore stesso fornisca la prova di aver subito una lesione patrimoniale e non patrimoniale dalla condotta tenuta dal datore di lavoro, così la Corte di cassazione con Ordinanza n. 11586/2025 .
Art. 2103 c.c.: variazione di mansioni
L’art. 3 del D.Lgs. n. 81/2015 ha modificato radicalmente la disciplina della modifica delle mansioni contenuta nell’art. 2103 del Codice Civile ed in particolare ha modificato il parametro sulla base del quale paragonare le nuove mansioni rispetto a quelle precedentemente svolte.
In altri termini, si è passati dal concetto di “equivalenza delle mansioni” a quello di “equivalente inquadramento”.
Il comma 1 del nuovo art. 2103 stabilisce infatti che “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”.
Il criterio della equivalenza delle mansioni viene quindi sostituito dal criterio dell’eguale inquadramento.
Il datore di lavoro, pertanto, può ora modificare le mansioni del lavoratore, purché le stesse siano inquadrate dal CCNL nel medesimo livello e categoria delle ultime effettivamente svolte (quadro, impiegato, operaio), non essendo invece più necessario valutare l’equivalenza da un punto di vista dell’importanza del contenuto professionale.
Il nuovo art. 2103 c.c. introduce il potere del datore di lavoro di affidare unilateralmente al lavoratore mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore rispetto alle ultime svolte, alle seguenti condizioni:
- la variazione di mansioni deve essere giustificata da una modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore;
- le mansioni affidate devono appartenere alla medesima categoria legale (quadro, impiegato, operaio);
- il lavoratore conserva il livello di inquadramento e il trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa (es. indennità e maggiorazioni per lavoro a turni).
Qualora sia necessario, inoltre, il datore di lavoro dovrà assolvere l’obbligo formativo nei confronti del lavoratore, ai fini dello svolgimento delle nuove mansioni. L’eventuale inadempimento dell’obbligo formativo, tuttavia, non determina la nullità dell’atto di assegnazione alle nuove mansioni.
L’assegnazione al lavoratore di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, sia nell’ipotesi prevista dall’art. 2103 codice civile dovrà essere comunicata per iscritto a pena di nullità.
Si evidenzia che l’assegnazione unilaterale da parte del datore di lavoro di mansioni inferiori è pertanto sottoposta a limiti rigorosi in quanto, oltre ad essere subordinata alla sussistenza di un mutamento organizzativo che incide sulla posizione del lavoratore, può avere ad oggetto solo le mansioni, ma non l’inquadramento e la retribuzione.
Il nuovo art. 2103 c.c. introduce, inoltre, la possibilità per le parti di stipulare nelle sedi previste dall’art. 2113 c.c. (sede protetta sindacale o amministrativa o giudiziale) e dinanzi alle commissioni di certificazione accordi individuali di modifica delle mansioni che, a differenza di quanto previsto per la modifica unilaterale disposta dal datore di lavoro, possono comportare anche la modifica della categoria legale, del livello di inquadramento e della relativa retribuzione.
Tali accordi possono essere stipulati qualora vi sia un interesse dal lavoratore:
- alla conservazione dell’occupazione;
- all’acquisizione di una diversa professionalità;
- al miglioramento delle condizioni di vita.
Alle parti viene quindi riconosciuta la possibilità, nelle sedi ed in presenza delle situazioni richiamate, di incidere significativamente sul rapporto di lavoro, modificandone il contenuto essenziale, ossia l’attività svolta dal lavoratore e la retribuzione corrisposta dal datore di lavoro.
Il lavoratore, per la sottoscrizione di questo accordo, può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o consulente del lavoro.
Analisi della Ordinanza n. 11586/2025
Il fatto
La vicenda oggetto di pronuncia in esame riguarda il caso di una lavoratrice, restauratrice alle dipendenze dell’Impresa Violi Restauro e Conservazione Srl, che aveva agito in giudizio per ottenere l’inquadramento al 6° livello del CCNL Edilizia, il pagamento delle relative differenze retributive e il risarcimento per un periodo di demansionamento antecedente alle dimissioni per giusta causa.
La Corte d’Appello di Roma aveva accolto la domanda, ritenendo dimostrata la natura direttiva delle mansioni svolte, condannando il datore di lavoro al risarcimento di un danno non patrimoniale in misura equitativa e riconoscendo alla lavoratrice l’indennità di mancato preavviso, per ritenuta giusta causa del recesso.
Avverso tale pronuncia, il lavoratore proponeva comunque ricorso dinanzi la Corte di Cassazione.
Le argomentazioni del datore di lavoro
Il ricorso depositato in Cassazione da parte del datore di lavoro si basava sulle seguenti argomentazioni:
- con il primo motivo di ricorso, è stato contestato il fatto che la Corte d’Appello non aveva tenuto conto di un fatto decisivo (transazione parziale) rappresentato dalla transazione intercorsa tra le parti, che lasciava sub iudice un importo di € 4.500,00, potenzialmente compensabile;
- con il secondo motivo di ricorso afferente l’Indennità speciale ex art. 47 CCNL è stato contestato il fatto di aver ritenuto riconosciuto automaticamente la spettanza di detta indennità sulla base del solo inquadramento al VI livello, senza accertare i requisiti sostanziali richiesti dal contratto collettivo (funzioni direttive, esclusione dal limite orario);
- con il terzo motivo, la Corte d’Appello La Corte d’Appello ha omesso di indicare elementi fattuali da cui desumere l’esistenza del danno da dequalificazione, limitandosi ad una quantificazione equitativa non motivata;
- con il quarto motivo è stato contestato dal ricorrente il fatto avrebbe applicato il criterio trifasico (accertamento mansioni – declaratoria contrattuale – corrispondenza);
- con l’ultimo motivo di ricorso, il ricorrente ha rilevato un vizio di motivazione sulla quantificazione del danno.
Le argomentazioni della Corte di cassazione
La Corte, con ampia motivazione, ha accolto il ricorso presentato dal datore di lavoro precisando quanto segue.
In particolare, la Corte, nel confermare che il demansionamento posto in essere dal datore di lavoro rappresenta una condotta potenzialmente dannosa, ha escluso la lesione sia in re ipsa.
In altri termini grava sul lavoratore l’onere di provare di aver subito un pregiudizio, mediante la produzione in giudizio di prove concrete.
Con la pronuncia in esame la Corte, in linea con i principali orientamenti giurisprudenziali in materia ha ribadito che l’inquadramento contrattuale va determinato mediante il cd. metodo trifasico che prevede nell’ordine:
- l’accertamento in fatto delle mansioni;
- l’identificazione della qualifica;
- il confronto tra le due valutazioni di cui sopra.
La Suprema Corte, inoltre, relativamente alle indennità contrattuali previste dalla contrattazione collettiva in relazione a specifici livelli di inquadramento, ha affermato che tali indennità non derivano automaticamente dall’inquadramento superiore, ma presuppongono la prova dell’esistenza dei requisiti specifici previsti dalla norma del CCNL.
Infine, per quel che concerne il danno da demansionamento, la Corte ha ricordato che
il demansionamento è potenzialmente lesivo, ma non dà luogo automaticamente al risarcimento, essendo necessario fornire allegazioni e prove (anche presuntive) circa l’effettiva compromissione della professionalità o altri beni immateriali del lavoratore.
Riferimenti normativi:
- Codice civile, art. 2103
- Corte di cassazione, Ordinanza 2 maggio 2025 n. 11586
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