COMMENTO
DI STUDIO TRIBUTARIO GAVIOLI & ASSOCIATI | 20 OTTOBRE 2025
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 32779, del 3 ottobre 2025, ha confermato la condanna al commercialista che non ha restituito la documentazione al suo cliente. Nel decidere la controversia la Corte ha dichiarato che integra il delitto di appropriazione indebita aggravata dall’abuso di prestazione d’opera la condotta del consulente contabile che, cessato il rapporto professionale, non restituisce al cliente i registri IVA e la documentazione contabile ricevuta per l’espletamento dell’incarico, quando tale rifiuto sia finalizzato a impedire l’emersione di irregolarità gestionali commesse durante lo svolgimento della prestazione professionale.
La condanna in secondo grado
L’intervento dei giudici di legittimità è la conseguenza della sentenza emessa dalla Corte di Appello nel gennaio 2022 che, in riforma della sentenza assolutoria del Tribunale, ha dichiarato il consulente fiscale responsabile del delitto di cui all’art. 646 c.p., per essersi appropriato, con fini di profitto, dei registri IVA e della documentazione contabile di una associazione, di cui aveva il possesso in qualità di consulente contabile, con l’aggravante di aver commesso il fatto con abuso di prestazione d’opera; la Corte di Appello ha inflitto la pena sospesa alle condizioni di legge, a otto mesi di reclusione ed euro 1.000 di multa oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
Il ricorso in Cassazione
Il professionista, tramite il difensore, censura la sentenza poiché dall’esame delle prove dichiarative e documentali acquisite si evinceva, in conformità con la valutazione del Tribunale che ricordiamo aveva assolto il consulente fiscale, che non vi era mai stata consegna dei libri contabili e che nessun profitto era ravvisabile per l’eventuale detenzione delle scritture contro il volere dell’associazione.
Alcuni precedenti orientamenti
La Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 39881 del 5 ottobre 2015, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un professionista che non aveva restituito per tempo le scritture contabili, impedendo così la presentazione della dichiarazione, affermando che rischia una condanna per appropriazione indebita e il risarcimento al cliente, il commercialista che restituisce in ritardo la contabilità e non presenta la dichiarazione dei redditi.
In particolare la Cassazione evidenzia che la Corte d’Appello, correttamente, si era limitata a dichiarare l’esistenza, in capo al commercialista imputato, dell’obbligo al risarcimento del danno, quale conseguenza della ritenuta consumazione del delitto di appropriazione indebita aggravata, come contestato nel capo di imputazione.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 20231, del 10 maggio 2019, afferma che compie reato di appropriazione indebita il commercialista che dopo la revoca del mandato non restituisce la contabilità al cliente per nascondere le sue responsabilità dopo le cartelle esattoriali notificate al contribuente. E ciò perché con il passaggio delle consegne a un nuovo incaricato il collega si accorgerebbe che gli errori del predecessore hanno determinato la grave esposizione dell’assistito nei confronti del Fisco.
La non consegna dei documenti è finalizzata ad evitare la ricostruzione della mala gestio del commercialista
Osservano i giudici di legittimità che la sentenza della Corte di Appello fornisce una convincente ed esaustiva valutazione delle acquisizioni istruttorie, sottolineando le incongruenze della decisione di primo grado e più precisamente:
- riporta le dichiarazioni dei commercialisti che prima dell’imputato si erano interessati della contabilità dell’associazione, attestanti come il passaggio delle funzioni implicasse la consegna della documentazione, portata dal precedente consulente presso lo studio dell’imputato;
- indica la conferma di tale circostanza nella causale della fattura relativa all’anno 2015 (“fisso annuale per tenuta vostra contabilità”) e nella testimonianza del commercialista che era subentrato, inutilmente impegnatosi nella richiesta di consegna dei libri contabili per far fronte a contestazioni mosse dagli Uffici giudiziari per gli anni precedenti;
- sottolinea come, a seguito delle numerose sollecitazioni, il commercialista imputato non abbia mai negato di aver ricevuto la documentazione contabile, sia pure “in modo frammentario, incompleto, tardivo e caotico”.
Il motivo di ricorso insiste in un’alternativa e in realtà poco plausibile ricostruzione dei fatti, incentrata sulla mancata consegna dei beni, che, oltre a non essere consentita in sede di legittimità perché attinente al merito della vicenda processuale, risulta smentita dalle acquisizioni processuali richiamate nella sentenza impugnata.
Inoltre, osserva la Cassazione, il motivo risulta generico nella parte in cui afferma che l’eventuale detenzione contro il volere del dominus non avrebbe portato al commercialista imputato alcun profitto, omettendo di confrontarsi con i rilievi al riguardo della Corte di Appello che, ribadendo l’inequivocità del dato probatorio, riteneva superficiale l’analisi del Tribunale al quale era sfuggito del tutto “come l’imputato avesse un preciso interesse, patrimonialmente rilevante, a non riconsegnare la contabilità ricevuta negli anni, quello, cioè, a fronte delle contestazioni mosse dagli uffici finanziari, di non consentire la ricostruzione della sua mala gestio nella cura degli affari dell’associazione che gli era stata affidata e che sarebbe emersa con tutta evidenza qualora il nuovo consulente designato fosse stato in grado di esaminare la relativa documentazione”, con conseguente azione di danni e applicazione di sanzioni da parte degli Uffici competenti.
La Corte di Cassazione, in conclusione, dichiara il ricorso inammissibile e condanna il commercialista al pagamento delle spese del procedimento.
Riferimenti normativi:
- Cass. pen., sent. 3 ottobre 2025, n. 32779.
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