COMMENTO
DI MATTEO RIZZARDI | 28 NOVEMBRE 2025
Il tema dell’accertamento tributario e della sua possibile revisione o integrazione da parte dell’Amministrazione finanziaria rappresenta un nodo cruciale nel diritto tributario, ponendo in costante tensione l’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi (ex artt. 53 e 97 Cost.) e il diritto di difesa del contribuente, che aspira alla stabilità dei rapporti giuridici e al divieto di bis in idem. In questo contesto di bilanciamento, l’esercizio del potere di autotutela sostitutiva da parte dell’Ufficio (disciplinato dall’art. 2-quater, comma 1, del D.L. n. 564/1994, e, più recentemente, dagli artt. 10-quater e 10-quinquies della Legge n. 212/2000) è storicamente confluito in un’incertezza giurisprudenziale significativa, acuita dalle recenti evoluzioni normative.
Introduzione al quadro normativo e alla controversia sui limiti dell’azione impositiva
L’autotutela consente all’Amministrazione di annullare un atto impositivo che, a seguito di una valutazione successiva, si riveli illegittimo, per poi eventualmente emettere un nuovo atto in sua sostituzione. Sebbene l’autotutela sia funzionale a porre rimedio a un vizio, quando tale potere viene esercitato per riformulare la pretesa in senso peggiorativo per il contribuente (in malam partem), si solleva il dubbio sul suo confine rispetto all’accertamento integrativo, previsto dall’art. 43, comma 3, D.P.R. n. 600/1973.
L’elemento tradizionalmente discriminante tra l’accertamento in autotutela e quello integrativo risiede nella sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi: l’accertamento integrativo richiede che il nuovo atto si basi su fatti e diritti precedentemente non conosciuti, mentre l’autotutela, specialmente quella sostitutiva, può essere esperita anche per una diversa valutazione degli elementi probatori già in possesso dell’Ufficio. Questa distinzione, di per sé non sempre agevole nella pratica, è stata recentemente oggetto di interpretazioni che hanno ampliato il raggio d’azione dell’Ufficio.
La perennità dell’azione amministrativa e i suoi limiti sostanziali e procedurali
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30051 del 21 novembre 2024, hanno ribadito in via generale un principio fondamentale: l’Amministrazione finanziaria, in virtù del fondamento costituzionale della potestà impositiva, può legittimamente annullare, per vizi sia formali che sostanziali, l’atto impositivo viziato ed emettere, in sostituzione, un nuovo atto, anche per una maggiore pretesa.
Tale potere è soggetto ai soli limiti del decorso del termine di decadenza e dell’avvenuta formazione del giudicato sulla pretesa. L’esercizio del potere di autotutela non implica, dunque, la consumazione del potere impositivo.
Tale orientamento maggioritario, basato sul principio della perennità della potestà amministrativa, consente l’autotutela sostitutiva anche nel corso del giudizio e per vizi sostanziali. Questa estensione, tuttavia, ha sollevato perplessità, poiché potenzialmente “annacqua” la distinzione rispetto all’accertamento integrativo e rischia di favorire un eccessivo ampliamento del potere dell’Amministrazione, permettendole di “cambiare le ragioni a sostegno della pretesa” rispettando il solo termine decadenziale.
In questo scenario, assume rilievo la novella introdotta dall’art. 9-bis (Divieto di bis in idem nel procedimento tributario) dello Statuto dei diritti del contribuente (Legge n. 212/2000), entrato in vigore il 18 gennaio 2024. Questa norma formalizza il dogma dell’unicità dell’azione accertativa, stabilendo che il contribuente:
(…) ha diritto a che l’Amministrazione finanziaria eserciti l’azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d’imposta.
L’articolo ammette deroghe solo se “specifiche disposizioni prevedano diversamente” (con riferimento implicito all’accertamento parziale e integrativo) e “ferma l’emendabilità di vizi formali e procedurali”.
Si può formulare una critica: se l’Amministrazione potesse riemettere atti illimitatamente tramite autotutela sostitutiva basata su una diversa valutazione di elementi già noti (vizi sostanziali), l’accertamento integrativo verrebbe svilito. L’art. 9-bis sembrerebbe dunque fissare paletti chiari: l’emendabilità dei vizi è limitata a quelli formali e procedurali; per vizi sostanziali che portino a un aumento della pretesa, l’Ufficio dovrebbe rientrare nei limiti più stringenti dell’art. 43, comma 3 (sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi).
Il rigore procedurale nell’autotutela sostitutiva: il caso dell’annullamento esplicito
Al di là del dibattito sui limiti sostanziali, il potere di autotutela sostitutiva è soggetto a requisiti procedurali rigorosi, come evidenziato dall’ordinanza della Corte di Cassazione n. 29604 del 10 novembre 2025.
La vicenda esaminata dalla Suprema Corte riguardava l’emissione, nel medesimo periodo d’imposta, di un primo avviso di accertamento affetto da un vizio formale (mancanza di sottoscrizione) e di un secondo atto successivo, emesso dall’Ufficio nell’esercizio dell’autotutela per correggere tale difetto. Il primo atto era stato impugnato e risultava ancora sub iudice. Poiché il secondo atto, pur essendo una riedizione “anastatica” del primo salvo il vizio, non fu impugnato, l’Ufficio lo ritenne definitivo e procedette alla riscossione mediante cartelle di pagamento.
La Suprema Corte, confermando la decisione del giudice di appello, ha ritenuto infondato il ricorso dell’Ufficio, stabilendo che il nuovo avviso di accertamento, per assumere natura sostitutiva, deve contenere l’esplicita menzione che con esso si pone nel nulla l’atto anteriore.
Questa esplicita dichiarazione di annullamento ex tunc è essenziale per due ragioni fondamentali:
- tutela del diritto di difesa: il contribuente deve sapere con certezza quale atto è oggetto di ricorso;
- divieto di doppia imposizione: solo l’annullamento esplicito elimina il primo atto dall’ordinamento, garantendo che rimanga un solo titolo di pretesa superstite.
Nel caso specifico, l’Agenzia non aveva dedotto, né provato, la presenza di tale menzione esplicita. Essendo il secondo atto anastatico (cioè identico) al primo e mancando la dichiarazione di annullamento, non poteva essergli riconosciuta natura sostitutiva. Di conseguenza, il contribuente non era obbligato ad impugnare il secondo atto, poiché esso non aveva eliminato il primo ancora sub iudice, rendendo le cartelle di pagamento prive di un titolo legittimo idoneo a fondare la riscossione.
Conclusioni e spunto critico
Le recenti pronunce, inserite nel contesto di una riforma che introduce il principio di unicità (art. 9-bis), mostrano un quadro in evoluzione ma ancora disomogeneo. Se da un lato, le Sezioni Unite hanno confermato l’ampiezza del potere sostanziale dell’Amministrazione di auto-correggersi (anche in malam partem e per vizi sostanziali) finché non sia scaduto il termine di decadenza o formato il giudicato, dall’altro, la giurisprudenza di legittimità pone un limite procedurale invalicabile: l’autotutela sostitutiva richiede una manifestazione di volontà chiara e inequivocabile volta a estinguere il precedente atto. La mancanza di tale formalità è sufficiente a rendere il nuovo avviso inidoneo a legittimare la riscossione, preservando il contribuente dal rischio di una duplicazione delle pretese.
L’incertezza sulla reale portata del potere sostitutivo, in particolare per i vizi sostanziali (ove l’art. 9-bis suggerirebbe l’applicazione delle regole sull’accertamento integrativo), permane. La riforma tributaria avrebbe potuto essere l’occasione per definire paletti più chiari al potere accertativo. In attesa di una risoluzione definitiva tra la dottrina della perennità e la tutela rafforzata offerta dal nuovo Statuto, l’unica certezza per il contribuente resta il rigore formale che l’Amministrazione è tenuta a rispettare nell’emettere atti sostitutivi, obbligo che serve da baluardo contro la potenziale “schizofrenia” del potere impositivo.
Il processo impositivo, in questo senso, assomiglia a una gara di staffetta: anche se l’Amministrazione detiene il testimone (il potere impositivo) con una presa perenne, per passarlo validamente da un atto all’altro (dal primo viziato al secondo corretto), deve eseguire un passaggio procedurale netto (l’annullamento esplicito), altrimenti il tentativo di corsa si annulla e il risultato non è valido.
Riferimenti normativi:
- D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 43;
- Legge 27 luglio 2000, n. 212, art. 9-bis
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