COMMENTO
DI GIOVANNI IMPROTA | 2 DICEMBRE 2025
In tema di conciliazione in sede sindacale, è tornata nuovamente a pronunciarsi la Suprema Corte che con specifica ordinanza n. 9286/2025 ha confermato che non è valida né inoppugnabile ai sensi dell’art. 2113, comma 4, c.c. la conciliazione sottoscritta presso i locali dell’azienda, anche se svolta alla presenza di un rappresentante sindacale. Ciò in considerazione del fatto che la sede aziendale non può rappresentare una “sede protetta”, essendo assente il requisito della neutralità indispensabile a garantire l’effettiva assistenza sindacale e la libera determinazione del lavoratore.
La conciliazione in sede sindacale
Nel nostro ordinamento giuslavoristico, la conciliazione in sede sindacale rappresenta uno dei principali strumenti a cui il datore di lavoro ed il lavoratore possono reciprocamente ricorrere per comporre una lite insorta in ordine ad alcuni aspetti afferenti il rapporto di lavoro ancora in essere o in cessazione.
In particolare, con la conciliazione in sede sindacale, le rinunce del lavoratore e del datore di lavoro divengono non più impugnabili ai sensi dell’art. 2113 c.c.
La conciliazione in sede sindacale ha una duplice funzione:
- compositiva e deflattiva in quanto evita il contenzioso giudiziale consentendo alle parti di pervenire in tempi brevi ad un accordo equilibrato e condiviso;
- protettiva, in quanto garantisce una piena tutela dei diritti del lavoratore attraverso l’assistenza di rappresentanti sindacali che ne tutelano la volontà.
Sul piano procedurale, dopo che il datore di lavoro ed il lavoratore hanno raggiunto un’intesa in ordine al rapporto di lavoro ed alla sua cessazione, la richiesta di sottoscrizione in sede sindacale di specifico verbale di conciliazione può essere effettuata ad iniziativa di una delle due parti o su richiesta congiunta.
Nel corso dell’udienza di conciliazione è necessario che:
- le parti siano assistite da un rappresentante sindacale (RSU/RSA o rappresentanti territoriali delle OO.SS. comparativamente più rappresentative);
- l’intervento del sindacato sia effettivo, ossia non meramente formale: l’organizzazione deve comprendere il contenuto dell’accordo e verificarne l’equilibrio.
Il relativo verbale di conciliazione, il cui contenuto deve essere previamente condiviso dalle parti in causa, deve essere redatto per iscritto e sottoscritto da:
- datore di lavoro o suo rappresentante;
- lavoratore;
- rappresentante/i dell’organizzazione sindacale;
- eventuale consulente o avvocato (non obbligatorio ma frequente),
e successivamente depositato presso la Commissione di conciliazione o presso il Tribunale competente per l’omologazione, finalizzata a conferirgli efficacia esecutiva.
Validità della conciliazione in sede sindacale: le recenti pronunce della Cassazione
Il principio espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza in esame consolida il precedente orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte (Corte Cass. Sez. lav. n. 10065/2024; Corte Cass. Sez. lav. n. 25796/2023).
Giova precisare, infatti, con le sentenze sopra citate, che la Suprema Corte ha ribadito che l’assistenza prestata dai rappresentanti sindacali (esponenti della Organizzazione Sindacale cui appartiene il lavoratore o, comunque, dal medesimo indicati, cfr. Cass. n. 4730/2002; Cass. n. 12858/2003; Cass. n. 13217/2008) deve essere effettiva e ha lo scopo di porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in che misura, così da consentire l’espressione di un consenso informato e consapevole, previo conferimento di un mandato sindacale specifico.
Più nello specifico, secondo la Suprema Corte:
- “la protezione del lavoratore non è affidata unicamente alla assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l’assenza di condizionamenti, di qualsiasi genere”;
- “i luoghi selezionati dal legislatore hanno carattere tassativo e non ammettono, pertanto, equipollenti, sia perché direttamente collegati all’organo deputato alla conciliazione e sia in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro, estraneo al dominio e all’influenza datoriale”.
Conseguentemente, “la conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell’art. 411, comma 3 c.p.c., non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette, avente il carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente alla assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore”.
Analisi dell’Ordinanza n. 9286/2025sentenza n. 9286/2025
Il fatto
La vicenda trae origine dal licenziamento per giusta causa intimato a un lavoratore, seguito, nella stessa data, dalla sottoscrizione di un verbale di conciliazione alla presenza di un rappresentante sindacale UGL presso i locali dell’azienda.
In particolare, il lavoratore aveva proposto ricorso dinanzi il Tribunale per contestare la legittimità del verbale di conciliazione sottoscritto presso l’Azienda datrice di lavoro alla presenza di un conciliatore.
Sia in primo che in secondo grado, il verbale sottoscritto fra le parti era stato ritenuto valido.
Avverso tale pronuncia, il lavoratore ha presentato ricorso dinanzi la Cassazione.
La decisione della Cassazione
La Cassazione, con Ordinanza n. 9286/2025 , ribaltando l’esito dei precedenti gradi di giudizio, ha ritenuto non valide le rinunce contenute nel verbale di conciliazione sottoscritto dal lavoratore ricorrente sulla base dei principi di seguito indicati.
In particolare, la Suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui ai fini dell’inoppugnabilità delle rinunce del lavoratore contenute in un verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale è necessario che le intese contenute in detto verbale sia state raggiunte dalle parti coinvolte con un’assistenza sindacale effettiva, tale da porre il lavoratore nella condizione di prendere cognizione in ordine alle rinunzie effettuate rispetto ai suoi diritti.
Richiamando pronunce precedenti (Cass. n. 25796/2023; Cass. n. 24024/2013; Cass. n. 13217/2008), la Corte i inoltre ribadisce che la sede sindacale viene denominata “protetta” in quanto garantisce autonomia, neutralità e indipendenza del contesto in cui il lavoratore esercita la propria volontà.
Da ciò discende che:
- la sede non è irrilevante: influisce sulla genuinità del consenso;
- la firma in sede aziendale, anche in presenza del sindacato, espone il lavoratore a un ambiente potenzialmente condizionante;
- occorre valutare non solo chi assiste, ma anche dove avviene l’assistenza.
Pertanto, la Corte di Cassazione, in linea con i recenti orientamenti a riguardo, ha confermato che la conciliazione in sede sindacale non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, in quanto tale luogo non è annoverato tra le sedi protette e pertanto non garantisce il carattere di neutralità necessario per la libera determinazione della volontà del lavoratore.
Al contrario, invece, a parere della Corte, la sede aziendale, invece:
- non è neutrale,
- è luogo di possibili pressioni,
- rappresenta il “centro di potere” datoriale.
L’ordinanza in commento conferma e rafforza un orientamento orientato alla massima tutela del lavoratore nelle conciliazioni sindacali. La Cassazione evidenzia come non sia sufficiente l’assistenza del sindacalista, dovendo sussistere anche la neutralità del contesto in cui la volontà viene manifestata.
Riferimenti normativi:
- Corte di cassazione, Ordinanza 8 aprile 2025, n. 9286
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