3° Contenuto Riservato: Rassegna di giurisprudenza 14 novembre 2025, n. 777

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA

A CURA DI FABIO PACE | 14 NOVEMBRE 2025

ACCERTAMENTO

Contraddittorio

Diritti e garanzie del contribuente verificato – Cass., Sez. trib., Ord. 11 settembre 2025, n. 25050

Un contribuente si duole del mancato espletamento del contraddittorio preventivo in fase amministrativa, eccependo il contrasto della decisione con i principi giurisprudenziali, anche unionali, sul tema.
Non è stato valutato che oggetto di ripresa a tassazione era anche l’IVA, cioè un tributo armonizzato, in relazione al quale il contraddittorio endoprocedimentale è sempre obbligatorio, alle condizioni indicate da Cass., Sez. U, sent. 9 dicembre 2015, n. 24823, o che, in mancanza di espletamento, il contribuente ha assolto all’onere di fornire la prova di resistenza (Cass., Sez. U, sent. 25 luglio 2025, n. 21271) e che si verteva in ipotesi di accertamento a seguito di accesso, ispezione e verifica, sia nei locali destinati all’esercizio della professione, sia nell’abitazione, ex art. 12, comma 7, legge n. 212/2000 (Cass. ord. 4 giugno 2025, n. 14997).
In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, cit., nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione “ex ante” della necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, anche in caso di tributi armonizzati, senza che, ai fini della relativa declaratoria vada effettuata la prova di resistenza, necessaria, per i soli tributi armonizzati, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente in fase amministrativa (ad esempio, accertamenti a tavolino), quando il giudice tributario è tenuto a effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio (Cass. sent. 15 gennaio 2019, n. 701; Cass. ord. 24 maggio 2025, n. 13851).
La norma in esame assicura al contribuente una garanzia anticipatoria e generale per ogni tipo di tributo e per ogni forma di accesso, ispezione e verifica, compresi gli accessi brevi o istantanei, finalizzati ad acquisire documenti (Cass. sent. 9 luglio 2014, n. 15624; Cass. ord. 17 gennaio 2017, n. 1007; Cass. ord. 21 novembre 2018, n. 30026), sicché, una volta decorso quel termine dalla data di consegna al contribuente del verbale di chiusura delle operazioni di verifica, l’A.F. non deve espletare ulteriori diverse forme di contraddittorio.

Presunzioni

Fatture inesistenti: equa ripartizione del vantaggio – Cass., Sez. trib., Ord. 5 novembre 2025, n. 29299

Si contesta la legittimità della tesi secondo cui il vantaggio fiscale illegittimamente ottenuto emettendo false fatture è da ripartire equamente tra i soggetti coinvolti, in assenza di riscontri esterni idonei a sostenerla ovvero di fatti notori, sicché l’accertamento non sarebbe fondato su indizi chiari, precisi e concordanti.
In tema di utilizzazione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, è ragionevole, trovando fondamento anche nel diritto positivo, la presunzione di equa ripartizione del vantaggio fiscale tra cedente e cessionario, gravando sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria.
L’accertamento tributario, con riferimento sia all’imposizione diretta, che all’IVA, può fondarsi anche su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove certe. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’A.F., dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 ss. e 2697, secondo comma, c.c. (Cass. 7 giugno 2017, n. 14237; Cass. 23 aprile 2010, n. 9784).

Società non operative

Istanza di disapplicazione e contraddittorio – Cass., Sez. trib., Ord. 7 settembre 2025, n. 24732

L’Agenzia sostiene che l’Ufficio non avrebbe dovuto attivare un ulteriore contraddittorio con la società, sollecitandola a produrre documentazione aggiuntiva, volta a chiarire le ragioni della disapplicazione.
E’ necessario tenere conto del fatto che, in ambito di società di comodo, il contraddittorio è espressamente previsto e regolato da una disciplina ad hoc. In particolare, ai sensi dell’art. 30, comma 4-bis, della legge n. 724/1994, è il contribuente a potere chiedere la disapplicazione della disciplina sulle società non operative, attivando la procedura di interpello disapplicativo, regolata dal D.M. n. 259/1998, la quale si inserisce nel più ampio quadro previsto dall’art. 37-bis, commi 8 e 9, del D.P.R. n. 600/1973. La richiesta va presentata alla Direzione regionale, che è tenuta a pronunciarsi con provvedimento espresso e motivato.
Questa procedura costituisce una forma tipica di contraddittorio endoprocedimentale, che garantisce al contribuente la facoltà di esporre le proprie ragioni prima che l’A.F. assuma una determinazione definitiva. Non è quindi corretto affermare che il contraddittorio è stato disatteso; per converso, è stato puntualmente rispettato quello previsto in relazione al caso di specie (Cass. ord. 30 luglio 2025, n. 22007). La società ha effettivamente presentato istanza di disapplicazione alla Direzione regionale, la quale ha rigettato la richiesta con provvedimento motivato, successivamente notificato alla società. L’Ufficio ha fondato la ripresa fiscale sui contenuti di tale provvedimento e su dati oggettivi tratti dai bilanci e dalle dichiarazioni fiscali depositate dalla stessa società. In tale contesto, non sussisteva alcun obbligo ulteriore per l’Ufficio di sollecitare la produzione di documentazione integrativa, tenuto conto, peraltro, che l’onere della prova in ordine alle condizioni che giustificano la disapplicazione della disciplina antielusiva incombe interamente sul contribuente, che è tenuto a fornire, fino dall’istanza, tutti gli elementi rilevanti. Il procedimento di interpello disapplicativo costituisce il luogo deputato all’esposizione delle ragioni giustificative da parte del contribuente, così che l’A.F. non è onerata di richiedere ulteriori chiarimenti o integrazioni documentali.

AGEVOLAZIONI

Prima casa

Anche il requisito della sede lavorativa va dichiarato nell’atto di acquisto – Cass., Sez. trib., Ord. 3 novembre 2025, n. 29069

Un contribuente ritiene rilevante che, al momento dell’acquisto, svolgesse la sua attività lavorativa nel Comune ove è sito l’immobile acquistato, pur senza averlo dichiarato nell’atto di acquisto.
L’agevolazione prima casa è subordinata alla dichiarazione del contribuente, nell’atto di acquisto, di svolgere la propria attività lavorativa nel Comune dove è ubicato l’immobile (requisito alternativo a quello del trasferimento della residenza anagrafica nello stesso entro 18 mesi), perché le agevolazioni sono generalmente condizionate a una dichiarazione di volontà dell’avente diritto di avvalersene e l’A.F. deve potere verificare la sussistenza dei presupposti del beneficio provvisoriamente riconosciuto (Cass. ord. 19 luglio 2021, n. 20583ord. 5 marzo 2020, n. 6212ord. 16 marzo 2018, n. 6501; ord. 31 maggio 2017, n. 13850ord. 31 maggio 2017, n. 13850; ord. 11 febbraio 2016, n. 2777). Occorre, pertanto, accertare se il contribuente, nell’atto di acquisto, abbia invocato solo il criterio della residenza o anche quello della sede di lavoro, perché la spettanza del beneficio deve essere valutata solo in base al criterio dichiarato.
Nella specie, il contribuente – all’atto di compravendita dell’immobile – ha assunto l’obbligo di trasferire la residenza entro 18 mesi nel Comune, non essendo ancora ivi residente, sicché, con questa dichiarazione, si è vincolato a realizzare tale presupposto. Pertanto, a fronte della mancata acquisizione della residenza nel suddetto Comune, non rileva la circostanza che, al momento dell’acquisto, il contribuente potesse valersi anche del requisito alternativo della sede lavorativa, dovendo tale circostanza essere dichiarata all’atto di stipula della compravendita, così da consentire all’amministrazione di effettuare i prescritti controlli.

Tremonti Ambiente

Il beneficio spetta solo alla società – Cass., Sez. trib., Ord. 5 novembre 2025, n. 29270

Una società acquistava un impianto fotovoltaico con tariffa incentivante, ma senza l’agevolazione Tremonti Ambiente. L’Agenzia ribadisce la decadenza dai benefici e contesta l’emendabilità delle dichiarazioni dei soci, in assenza di dichiarazione in rettifica dei redditi della società.
In tema di agevolazioni previste dalla legge n. 388/2000 (Tremonti Ambiente), qualora la società di persone non abbia chiesto di usufruire dei benefici previsti per l’investimento ambientale effettuato, va esclusa l’emendabilità, ad opera dei soci, della dichiarazione dei redditi loro imputati ex art. 5 del TUIR, ostandovi il rilievo dirimente che titolare del diritto all’agevolazione è unicamente la società.
In generale, si reputa applicabile il principio dell’emendabilità della dichiarazione per il riconoscimento delle agevolazioni di cui alla Tremonti ambientale, in ragione delle incertezze che ne hanno segnato l’applicazione (Cass. 21 giugno 2025, n. 16624). Tuttavia, nella specie, la società non ha mai fatto valere, nei confronti dell’A.F., l’agevolazione ad essa – e ad essa soltanto, quale titolare di reddito d’impresa – derivante dall’art. 6 della legge n. 388/2000. La società, cioè, non ha esercitato l’opzione attraverso una pur successiva variazione in diminuzione della base imponibile. Pertanto, il suo reddito, per inerzia della stessa, non è mai stato interessato da alcun ridimensionamento, neppure attraverso l’emenda della dichiarazione dopo l’emanazione dell’art. 19 del D.M. 5 luglio 2012. Esso, dunque, ha seguitato a essere quello esposto nelle dichiarazioni, per l’effetto cristallizzatesi, costituendo fondamento e matrice del reddito imputabile per trasparenza ai soci.
Né può sostenersi l’emendabilità della dichiarazione direttamente ad opera dei soci, poiché titolare del diritto all’agevolazione era solo la società, alla quale solo, quindi, perteneva la facoltà, non esercitata, di emenda: rispetto ai soci – rimasti immutati il reddito sociale e, a cascata, il reddito per trasparenza – non è mai neppure emerso un errore dichiarativo, con conseguente esclusione in radice della loro legittimazione all’emenda delle loro singole dichiarazioni (Cass. 15 maggio 2023, n. 13268).

IMPOSTE DIRETTE

Deduzioni

Fatture di acquisto di carburante per natanti – Cass., Sez. trib., Ord. 4 novembre 2025, n. 29093

Una società con unica attività la locazione di natanti, unici beni nel patrimonio societario, eccepisce l’inerenza dei costi sostenuti per il carburante, riportati nelle relative fatture di acquisto, in quanto destinati non a uno specifico motore, ma ai motori secondo necessità.
Ai sensi dell’art. 109, comma 5, del TUIR, il contribuente è tenuto a dimostrare l’inerenza del costo all’attività d’impresa, con la conseguenza che, in ipotesi di acquisto di carburante destinato ai natanti impiegati per l’esercizio dell’impresa, la fatturazione deve contenere gli elementi (ad esempio, il CIN) atti a dimostrare la riferibilità della spesa ai natanti, dovendo, in caso contrario, escludersi la deducibilità dei costi medesimi.
Il contribuente è onerato di provare, con idonea documentazione, l’inerenza dell’operazione all’attività d’impresa, così che, ove la fatturazione sia priva degli elementi che consentano di dimostrare la riferibilità di tali spese ai mezzi strumentali impiegati per l’esercizio dell’impresa, vanno escluse la deducibilità dei costi stessi e la detraibilità dell’IVA (Cass. 22 luglio 2020, n. 15616).
Con particolare riferimento alle spese di carburante per autoveicoli o, comunque, per veicoli a motore (Cass. 22 maggio 2025, n. 13764), la deducibilità dei relativi costi è subordinata all’esistenza di fatture in cui sia specificamente indicata la targa del veicolo (elemento identificativo dello stesso, unico in grado di dimostrare la riferibilità della spesa all’automezzo aziendale).
Analogo principio vale anche in caso di carburante acquistato per natanti, privi di targa, ma comunque dotati di altri elementi identificativi (ad esempio, il codice identificativo nazionale, CIN). Non è, invece, sufficiente l’astratta inerenza dell’operazione (acquisto di carburante) all’attività d’impresa (locazione di natanti).

Valutazioni

Uso del metodo TNMM nel transfer pricing – Cass., Sez. trib., Ord. 4 novembre 2025, n. 29083

L’Ufficio contesta che l’applicazione della metodologia di calcolo TNMM con il correttivo dell’indice ROS sia stata ritenuta ingiustificata e non coerente con la prassi ministeriale e con le Linee guida OCSE.
In tema di transfer pricing (art. 110, comma 7, del TUIR), nell’ipotesi di cessione di beni infra-gruppo tra due società a basso rischio, con alea ridotta in ragione dell’unicità del centro di produzione, che opera sostanzialmente su ordini già confermati, il sistema di TNMM risulta più aderente rispetto al CUP, perché il margine di guadagno è criterio più indicativo rispetto al prezzo che non è frutto di libero mercato.
La disciplina ex art. 110, comma 7, del TUIR, impone la determinazione dei prezzi ponderati di trasferimento per operazioni similari poste in essere da imprese concorrenti sul mercato, al cui fine è possibile utilizzare il metodo elaborato dall’OCSE, che si basa sulla determinazione del margine netto della transazione (cd. TNMM), a condizione che sia selezionato il periodo di indagine, siano identificate le società comparabili, siano apportate le appropriate rettifiche contabili al bilancio della parte testata, siano tenute in debito conto le differenze tra la parte testata e le società comparabili in termini di rischi assunti o di funzioni svolte e sia assunto un indicatore affidabile del livello di profitto di redditività (Cass. 17 maggio 2022, n. 15668; Cass. 12 settembre 2022, nn. 2669526698Cass. 28 aprile 2023, n. 11252; Cass. sent. 31 gennaio 2024, n. 2853).
Fra i diversi criteri forniti dalle norme tecniche, spetta all’interprete individuare quello più aderente alla fattispecie concreta; la motivazione sulla scelta del criterio di calcolo o del modello matematico è scrutinata dal giudice di merito in base ai canoni propri del provvedimento (accertativo, impositivo, impoesattivo) cui accede, mentre è sindacabile in sede di legittimità attraverso la censura della violazione di legge, individuando con precisione il vizio di sussunzione del giudice di merito e indicando al contempo il criterio alternativo ritenuto più aderente al caso concreto (Cass. 10 ottobre 2024, n. 26432).

PROCESSO TRIBUTARIO

Giudizio di cassazione

Escluso l’intervento in Cassazione – Cass., Sez. trib., Ord. 25 settembre 2025, n. 26172

La questione concerne l’inammissibilità dell’intervento volontario ad adiuvandum di una S.p.A., in qualità di subentrante ad altra S.p.A. nella gestione di un fondo comune di investimento.
Il successore a titolo particolare nel diritto controverso può impugnare per cassazione la sentenza di merito, entro i termini di decadenza, ma non può intervenire nel giudizio di legittimità, mancando un’espressa previsione normativa riguardante la disciplina di quell’autonoma fase processuale, che consenta al terzo la partecipazione al giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che hanno partecipato al giudizio di merito (Cass., Sez. III, 11 maggio 2010, n. 11375; Cass., Sez. I, 7 aprile 2011, n. 7986; Cass., Sez. I, 30 maggio 2014, n. 12179; Cass., Sez. I, 19 febbraio 2015, n. 3336; Cass., Sez. I, 23 marzo 2016, n. 5759; Cass., Sez. I, 4 marzo 2021, n. 5987; Cass., Sez. II, 16 dicembre 2022, n. 36923; Cass., Sez. II, 29 dicembre 2023, n. 36459; Cass., Sez. III, 13 giugno 2024, n. 16526; Cass., Sez. III, 30 marzo 2025, n. 8345), a meno che il dante causa non si sia costituito nel giudizio di legittimità, ai fini dell’esercizio del potere di azione derivante dall’acquistata titolarità del diritto controverso, determinandosi, in difetto, un’ingiustificata lesione del suo diritto di difesa. Tuttavia, tale ipotesi non ricorre nel caso in cui il dante causa sia stato parte fin dal giudizio di primo grado.

Parti

Insinuazione al passivo di credito erariale – Cass., Sez. trib., Ord. 5 novembre 2025, n. 29245

L’Agenzia deduce nullità del procedimento per difetto di interesse della curatela. L’obbligazione deriva dall’opzione per il pagamento rateale dell’imposta sostitutiva per la rivalutazione dei beni ammortizzabili, oggetto di iscrizione a ruolo e cartella di pagamento; la curatela ha ammesso l’insinuazione del credito.
In materia di ammissione con riserva al passivo fallimentare, ove oggetto di ammissione sia un credito erariale portato in una cartella di pagamento impugnata in un giudizio tributario, non può affermarsi il difetto di interesse della procedura a ricorrere avverso il rigetto della domanda in primo grado, in quanto l’accoglimento del gravame determinerebbe invariabilmente, per effetto dell’art. 113-bis, L. Fall., l’esclusione del credito erariale dal passivo, a nulla rilevando che il credito erariale possa essere insinuato al passivo a prescindere dall’emissione della cartella e in generale da un atto esecutivo, ma anche in base all’esistenza dell’obbligazione che, salvo contestazione nel merito, può essere provata dall’esibizione del ruolo.
In caso di accoglimento del ricorso avverso la cartella, anche in sede di gravame, la statuizione del giudice non poteva che comportare l’applicazione dell’art. 113-bis L.Fall., e dunque l’esclusione del credito oggetto di riserva, con conseguente pieno interesse a ricorrere da parte della procedura; mentre in quello di rigetto dello stesso, sarebbe stato quello dell’ammissione incondizionata del credito erariale.
L’unico mezzo per la difesa del fallimento di evitare l’effetto di definitivo accoglimento era costituito proprio dall’impugnazione della pronuncia di primo grado (cioè dalla prosecuzione del giudizio d’appello) che aveva respinto il ricorso; così come specularmente la difesa erariale non aveva altra possibilità di evitare l’esclusione dal passivo che impugnare la pronuncia d’appello che aveva accolto il gravame della procedura.
Emerge, quindi, l’interesse della curatela a resistere, perché l’esito del giudizio sulla cartella, alla luce del provvedimento di ammissione con riserva, non era affatto quello, comunque, dell’ammissione del credito sulla base dell’estratto di ruolo, ma appunto l’esclusione del credito in base all’art. 113-bis L.F.

RISCOSSIONE

Cartella esattoriale

Notifica di cartella a società scissa e società beneficiarie – Cass., Sez. trib., Ord. 6 ottobre 2025, n. 26784

L’Agenzia rileva che, in forza del legame di continuità giuridica fra società scissa e società beneficiarie, è sufficiente che nella cartella notificata a queste ultime sia indicato l’atto impositivo presupposto. Nella specie, la cartella menzionava il titolo di responsabilità del destinatario e gli estremi dell’atto impositivo presupposto.
Nell’ordinamento tributario, per gli obblighi della società scissa riferibili a periodi d’imposta anteriori alla data di efficacia della scissione, risponde anche la società beneficiaria; per tale responsabilità, valevole per le imposte, le sanzioni pecuniarie, gli interessi e ogni altro debito, non è prevista alcuna soglia quantitativa riferibile al patrimonio assegnato con l’operazione straordinaria (art. 173, commi 12 e 13, del TUIR).
Ai sensi dell’art. 15, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997, nei casi di scissione, anche parziale, di società o enti, ciascuna società o ente è obbligato in solido al pagamento delle somme dovute per violazioni commesse anteriormente alla data dalla quale la scissione produce effetto.
In ambito tributario, l’istituto della responsabilità solidale vige in conformità alla regola generale di integralità e pariteticità di cui agli artt. 1292 e 2740 c.c., così che – in ogni ipotesi di scissione – per i debiti fiscali della società scissa relativi a periodi d’imposta anteriori alla scissione rispondono solidalmente e illimitatamente tutte le società partecipi dell’operazione.
La società beneficiaria è solidalmente responsabile per i debiti erariali della scissa, relativi a periodi d’imposta anteriori alla data da cui l’operazione produce effetti, e può essere richiesta del pagamento di tali debiti, senza oneri di avvisi o altri adempimenti da parte dell’A.F., non pregiudicando tale disciplina il diritto di difesa della beneficiaria, che è a conoscenza della situazione debitoria della scissa, comprese le pendenze tributarie, e può dedurre, in sede di opposizione alla cartella, ogni argomento per contestare la pretesa impositiva (Cass. ord. 3 novembre 2022, n. 32469; Cass. sent. 21 giugno 2019, n. 16710sent. 6 dicembre 2018, n. 31591).

SANZIONI

Irrogazione

Motivazione della contestazione di sanzioni – Cass., Sez. trib., Ord. 7 ottobre 2025, n. 26885

Una società contesta l’applicazione di sanzioni, illegittime sia perché conseguenza di un’illegittima pretesa impositiva, sia in quanto prive di autonoma e specifica motivazione circa i presupposti soggettivi e oggettivi.
L’obbligo di motivazione dell’atto di contestazione della sanzione collegata al tributo, imposto dall’art. 16, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997, opera solo quando essa sia irrogata con atto separato e non contestualmente e unitamente all’atto di accertamento o di rettifica, in quanto, in quest’ultimo caso, viene assolto per relationem, se la pretesa fiscale è definita nei suoi elementi essenziali (Cass., Sez. V, 4 maggio 2021, n. 11610Cass., Sez. V, 2 marzo 2022, n. 6944; Cass., Sez. 5, ord. ord. 22 maggio 2024, n. 14259).

SOCIETÀ

Registro delle imprese

Trasferimento di sede sociale all’estero – Cass., Sez. trib., Ord. 7 novembre 2025, n. 29575

L’Agenzia eccepisce la mancata equiparazione del trasferimento all’estero della società con la sua liquidazione, ai fini della responsabilità dei supposti amministratori di fatto, sia per i tributi, che per le sanzioni, anche considerando che il trasferimento all’estero integra gli estremi di un abuso del diritto.
In tema di accertamento a carico di amministratori di fatto di società di capitali, ai fini degli artt. 2495 c.c. e 36 del D.P.R. n. 602/1973, il trasferimento della sede legale di una società all’estero non è equivalente alla sua liquidazione e successiva cancellazione dal Registro delle Imprese, salvo che il trasferimento sia fittizio.
La cancellazione di società dal registro imprese, avvenuta non per liquidazione dell’ente o per altra situazione che implichi la cessazione dell’esercizio dell’impresa e da cui la legge faccia discendere l’effetto necessario della cancellazione (Cass., Sez. U., sent. 11 marzo 2013, n. 5945), ma per trasferimento all’estero della sede sociale e, quindi, sull’assunto che questa continui a svolgere attività imprenditoriale, benché in altro Stato, non fa venire meno la continuità giuridica della società trasferita (Cass. ord. 11 marzo 2015, n. 4818). Inoltre, non ne comporta la cessazione dell’attività né l’estinzione ex art. 2495 c.c. In tale ipotesi, non è applicabile la responsabilità sussidiaria degli amministratori, liquidatori e soci ex art. 36 del D.P.R. n. 602/1973, sempre purché il trasferimento all’estero della società non sia stato fittizio (Cass. sent. 3 gennaio 2017, n. 43).
Le sanzioni sono a carico della società dotata di personalità giuridica, ex art. 7 del D.L. n. 269/2003, anche quando gestita da un amministratore di fatto, salvo che nelle ipotesi di società cartiera, dove sarebbe una mera “fictio”, utilizzata quale schermo per evitare le conseguenze degli illeciti tributari commessi a personale vantaggio dell’amministratore di fatto (Cass. 20 ottobre 2021, n. 2903822 novembre 2021, n. 36003). Perché difetti la ratio dell’art. 7 cit. e sia ripristinata la regola secondo cui la sanzione pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito, è necessario acquisire riscontri probatori, anche presuntivi, valevoli a escludere la vitalità della società, quand’anche gestita da un amministratore di fatto (Cass. 23 gennaio 2023, n. 1946).

TRIBUTI LOCALI

IMU

Immobili sequestrati o confiscati – Cass., Sez. trib., Sent. 12 ottobre 2025, n. 27267

Si eccepisce che l’A.F. non può esigere imposte sugli immobili sottoposti a sequestro o confisca: nella specie, il patrimonio immobiliare della società è stato sequestrato, nell’ambito di un procedimento penale, rendendo inapplicabili le pretese tributarie; l’accertamento contrasterebbe con i diritti di terzi sui beni sequestrati.
Nel caso di specie, l’avviso riguarda un credito maturato in periodo di imposta precedente a quello delle misure di prevenzione patrimoniale del sequestro, cui i beni sono stati assoggettati solo successivamente.
Inoltre, il comma 3-bis dell’art. 51 del D.Lgs. n. 159/2011 – il quale dispone che gli immobili sono esenti da imposte, tasse e tributi durante la vigenza dei provvedimenti di sequestro e confisca e comunque fino alla loro assegnazione o destinazione – è stato introdotto solo successivamente.
Nel regime anteriore all’entrata in vigore dell’art. 51, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 159/2011, il destinatario del provvedimento di sequestro civile, giudiziario o amministrativo, di un bene immobile resta soggetto passivo ICI/IMU finché non sopravvenga il decreto di confisca o l’esecuzione della demolizione del bene, che, fino a quel momento, rimane in sua disponibilità, diretta o indiretta (Cass. 2 dicembre 2020, n. 27491).
Nella specie, fino al decreto di trasferimento, l’immobile è perciò riferibile al concessionario, sul quale grava l’onere d’imposta. Il passaggio della titolarità passiva si ha solo al successivo momento della confisca, che determina l’effetto traslativo dell’immobile. Atteso che vi era stato solo un sequestro nell’anno di imposta, non può perciò ritenersi che sia cessata la titolarità passiva di imposta.

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