3° Contenuto Riservato: Rassegna di Giurisprudenza 24 ottobre 2025, n. 619

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA

A CURA DI BENEDETTA CARGNEL | 24 OTTOBRE 2025

INAIL

Assicurazione

L’assicurazione del lavoratore che subisce un infortunio sul lavoro – Cass., Sez. Lav., ord. 10 ottobre 2025, n. 27152

Il Fatto

Un lavoratore, socio di società cooperativa, adiva l’autorità giudiziaria per ottenere dall’INAIL il riconoscimento del diritto alla indennità giornaliera per inabilità temporanea e all’indennizzo per invalidità permanente a seguito di un infortunio.

Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettavano la domanda, ritenendo che l’infortunio non fosse occorso in “occasione di lavoro”.

Il lavoratore ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte afferma che l’art. 4, n. 7, D.P.R. n. 1124 del 1965, che prevede l’obbligo di assicurazione contro gli infortuni per i soci di cooperative che prestano attività manuale, deve essere interpretato in senso estensivo e non restrittivo;  rientra  quindi nella copertura assicurativa qualunque attività manuale connessa allo svolgimento delle mansioni lavorative, e non solo quella connotata da prevalente manualità, in coerenza con le finalità protettive dell’assicurazione (art. 38 Cost.), che è preordinata a tutelare la situazione di bisogno derivante dall’evento lesivo.

Poiché i giudici non si sono attenuti a tale principio, la corte accoglie il ricorso.

Malattia professionale

I presupposti per il riconoscimento dell’aggravamento della malattia professionale – Cass., Sez. Lav., ord. 9 ottobre 2025, n. 27124

Il Fatto

Un lavoratore, già titolare di una prestazione INAIL per malattia professionale presentava una domanda di aggravamento. L’INAIL, pur riconoscendo l’aggravamento, lo valutava in una misura di danno biologico del 14%.

Il  lavoratore ricorreva al Tribunale per ottenere un maggior aggravamento.

A seguito di CTU il Tribunale e la Corte d’Appello accoglievano al domanda e INAIL ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte osserva che i giudici di merito , nonostante la CTU avesse che l’aggravamento si era verificato e documentato dopo la domanda amministrativa,  avevano fatto retroagire la decorrenza alla data della domanda amministrativa. Inoltre, ricorda chela domanda di revisione è ammissibile oltre i quindici anni dall’originario riconoscimento della malattia solo se la variazione si è verificata prima dello scadere dei quindici anni.

Poiché i giudici di merito non si sono attenuti a tali principi, la corte accoglie il ricorso.

INPS

Indennità supplementare

L’assoggettamento a contribuzione delle somme versate al lavoratore a titolo retributivo e non risarcitorio – Cass., Sez. Lav., sent. 5 ottobre 2025, n. 26757

Il Fatto

Una società ricorreva avverso a un avviso di addebito INPS avente ad oggetto la contribuzione dovuta sull’indennità supplementare corrisposta da una società a un lavoratore, a seguito del riconoscimento giudiziale di un rapporto di lavoro dirigenziale e di un recesso datoriale ingiustificato.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, annullava l’avviso, , ravvisando la natura risarcitoria e non retributiva delle somme corrisposte.

INPS ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte rileva la differenza tra il piano fiscale e quello contributivo. Mentre in ambito fiscale sono tassabili anche i proventi risarcitori volti a coprire un pregiudizio di natura reddituale (lucro cessante), sul piano contributivo l’inclusione di una somma nella base imponibile richiede che essa abbia una funzione in qualche modo di corrispettività dell’attività lavorativa svolta o che il lavoratore avrebbe avuto diritto di svolgere.

La corte poi osserva che l’erogazione dell’indennità trova la sua causa non già nella (mancata) esecuzione del rapporto di lavoro, del quale viene giudizialmente accertata la cessazione, bensì nella autonoma esigenza di risarcire il lavoratore per l’inadempimento datoriale agli obblighi contrattuali, in funzione sanzionatoria e punitiva.  Dunque, l’indennità supplementare viene erogata quando sia il rapporto di lavoro che quello assicurativo sono irrimediabilmente risolti e quindi non è destinata a compensare la perdita di retribuzione.

Per tali motivi, la corte rigetta il ricorso.

Pensione

Le decadenze in materia pensionistica – Cass., Sez. Lav., ord. 9 ottobre 2025, n. 27116

Il Fatto

Un pensionato adiva il Tribunale per ottenere la ricostituzione della propria pensione di anzianità, chiedendo l’accredito di un maggior valore retributivo per le settimane di contribuzione figurativa per malattia.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, negava il diritto del lavoratore dichiarando l’estinzione della pretesa per effetto della decadenza triennale (art. 47 del D.P.R. n. 639/1970, modificato dal D.L. n. 98/2011).

Il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione.

Il Diritto

La corte ribadisce che la decadenza triennale introdotta nel 2011 per le azioni giudiziarie relative a prestazioni riconosciute solo in parte si applica anche ai trattamenti pensionistici già in essere, ma il termine decorre dall’entrata in vigore della nuova disciplina (6 luglio 2011), in applicazione dei principi di diritto transitorio.

La corte poi esclude che la decadenza possa avere un effetto “tombale”, estinguendo l’intero diritto alla rideterminazione della prestazione. Di conseguenza, la decadenza triennale determina l’estinzione del diritto solo ai ratei pregressi maturati prima del triennio dalla domanda giudiziale, ma non pregiudica l’adeguamento della prestazione pro futuro e i ratei più recenti.

La corte pertanto accoglie il ricorso.

LAVORO A TERMINE

Retribuzione

La non discriminazione dei lavori a termine – Cass., Sez. Lav., ord. 6 ottobre 2025, n. 26849

Il Fatto

Un lavoratore  adiva il Tribunale chiedendo il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata in relazione a incarichi direttivi, con il pagamento della differenze retributive.

Il Tribunale e la Corte d’Appello respingevano le domande.

Il lavoratore ricorreva  per Cassazione.

Il Diritto

La Corte ha escluso la violazione della Direttiva 1999/70/CE, ribadendo che gli incarichi direttivi temporanei che si innestano su un rapporto di lavoro a tempo indeterminato già costituito non costituiscono autonomi rapporti a tempo determinato. Non sono, dunque, applicabili le tutele approntate per i lavoratori precari a tempo determinato.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

LAVORO SUBORDINATO

Responsabilità del datore

Il trattamento del lavoro subordinato di dipendenti assunti in Europa – Cass., Sez. Lav., sent. 7 ottobre 2025, n. 26962

Il Fatto

L’Ispettorato territoriale del lavoro ingiungeva a una compagnia area straniera il pagamento di sanzioni per la omessa presentazione delle comunicazioni obbligatorie di assunzione e/o cessazione del rapporto di lavoro al Centro per l’impiego e all’INAIL, e nella mancata consegna di documenti obbligatori ai dipendenti.

La Corte d’Appello, in riforma parziale, accoglieva l’appello principale del datore di lavoro, escludendo l’applicabilità della legge italiana ai rapporti di lavoro degli operatori di volo, in quanto i contratti erano stati conclusi a Dublino, la sede della compagnia era in Irlanda, la legge prescelta dai contraenti era l’irlandese, e l’attività era svolta prevalentemente all’interno di aeromobili registrati in Irlanda. Riteneva che la materia sanzionatoria non inerisse alle obbligazioni contrattuali o ai diritti dei lavoratori.

L’Ispettorato proponeva ricorso per Cassazione.

Il Diritto

La Corte ha escluso che, ai fini dell’individuazione della legge applicabile, si potesse fare riferimento, anche solo in via analogica, ai Regolamenti CE in materia di sicurezza sociale (n. 1408/71 o n. 883/2004), i quali si occupano esclusivamente del coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e non della normativa sanzionatoria. Le pretese sanzionatorie in oggetto non rientrano nella materia della sicurezza sociale, che è limitata a prestazioni specifiche.

La corte ribadisce che  gli illeciti contestati integrano violazioni amministrative volte a salvaguardare l’interesse pubblico a un costante monitoraggio del mercato del lavoro , e non hanno un nesso diretto tale da attrarle nell’ambito del Regolamento di sicurezza sociale europeo, in quanto non ne derivano omissioni contributive.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

Retribuzione

La domanda di retribuzione in assenza della prestazione lavorativa – Cass., Sez. Lav., sent. 7 ottobre 2025, n. 26961

Il Fatto

Alcuni  lavoratori impugnavano la sospensione dall’attività lavorativa e dalla retribuzione, con conseguente assenza ingiustificata, disposta dal datore di lavoro per il loro rifiuto di sottoporsi al vaccino obbligatorio contro il SARS-CoV-2.

Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettavano la domanda e  I lavoratori ricorrevano per Cassazione.

Il Diritto

La corte ricorda che  è dalla scelta personale di non conseguire la certificazione vaccinale (cioè di non sottoporsi a vaccino) che deriva, come conseguenza prevista dalla legge, la mancata corresponsione della retribuzione o di altri emolumenti a causa dell’omesso svolgimento della funzione, con ciò bilanciando il diritto individuale all’autodeterminazione e la tutela generale della salute pubblica.

La corte osserva poi che la mancata corresponsione della retribuzione non era una sanzione discriminatoria, ma l’effetto della sospensione del sinallagma contrattuale  dovuta alla temporanea impossibilità del dipendente di svolgere le mansioni per carenza di un requisito sanitario essenziale. Il datore di lavoro, in tale ipotesi, non versa in mora credendi.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

L’onere probatorio gravante sul datore di lavoro in caso di contestazione delle giornate lavorate -Cass., Sez. Lav., ord. 7 ottobre 2025, n. 26972

Il Fatto

Un lavoratore adiva il Tribunale per ottenere il pagamento di differenze retributive e TFR.

La Corte d’Appello, in parziale riforma, riteneva  le quietanze di pagamento non integravano rinunce o transazioni e, quindi, non era applicabile l’art. 2113 c.c. In secondo luogo, pur ritenendo non provato l’orario di lavoro maggiore lamentato dal lavoratore, accertava una differenza di 10 giornate lavorative non retribuite. Tali giornate eccedevano quelle retribuite dalle buste paga, ma risultavano dichiarate nella Certificazione Unica (CU) rilasciata dal datore di lavoro.

Il datore di lavoro ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte osserva che  la Certificazione Unica idonea prova del credito del lavoratore, in quanto prova documentale prodotta da quest’ultimo. Conseguentemente, l’affermazione per cui era onere del datore di lavoro dimostrare l’erroneità della CU non ha costituito un’inversione dell’onere probatorio, ma una logica conseguenza della rilevanza data al documento.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

LICENZIAMENTO DISCIPLINARE

Vincolo fiduciario

La necessaria lezione del vincolo fiduciario per il licenziamento disciplinare – Cass., Sez. Lav., sent. 6 ottobre 2025, n. 26771

Il Fatto

Un dirigente impugnava il licenziamento disciplinare irrogatogli.

Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettavano la domanda, ritenendo pienamente utilizzabili gli esiti delle intercettazioni telefoniche e delle dichiarazioni verbalizzate dalla polizia giudiziaria.

Il lavoratore ricorreva per cassazione.

Il Diritto

la corte ricorda che in tema di licenziamento per giusta causa, nel giudicare se la violazione disciplinare addebitata al lavoratore abbia compromesso la fiducia necessaria ai fini della conservazione del rapporto di lavoro e, quindi, costituisca giusta causa di licenziamento, rilevano la natura e la qualità del singolo rapporto, la posizione delle parti, l’oggetto delle mansioni e il grado di affidamento che queste richiedono, occorrendo altresì valutare il fatto concreto nella sua portata oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante, ai fini in esame, alla potenzialità del fatto medesimo di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento.

Poiché i giudici di merito  si sono attenuti a tali principi, la corte rigetta il ricorso.

MALATTIA

Periodo di comporto

Il superamento del periodo di comporto in caso di necessità di terapie salvavita – Cass., Sez. Lav., sent. 7 ottobre 2025, n. 26956

Il Fatto

Un lavoratore impugnava il licenziamento intimatogli per superamento del periodo di comporto.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva la domanda ritenendo che le uniche assenze ulteriori giustificabili sono solo le patologie che richiedono la sottoposizione a terapie salvavita o assimilabili.

Il lavoratore proponeva ricorso per cassazione.

Il Diritto

La Corte ribadisce che la nozione di “malattia particolarmente grave” ha natura elastica (clausola generale) e la sua interpretazione deve tener conto del senso letterale, dell’intero atto negoziale e dell’evoluzione della scienza medica. I giudici di merito si sono  conformati ai corretti principi ermeneutici, interpretando il concetto di “malattie particolarmente gravi” nel senso di patologie che richiedono terapie salvavita, ossia quelle connotate da gravità della condizione patologica e dalla necessità di trattamenti indispensabili alla sopravvivenza o al miglioramento della qualità della vita. In quel caso è onere del lavoratore inviare una certificazione medica che attesti la sopravvenienza di una patologia grave che richieda una terapia salvavita, al fine di escludere l’onere del datore di lavoro di classificare e qualificare la patologia.

Poiché nel caso di specie mancava tale prova, la corte rigetta il ricorso.

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