3° Contenuto Riservato: Rassegna di Giurisprudenza 5 dicembre 2025, n. 625

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA

A CURA DI BENEDETTA CARGNEL | 5 DICEMBRE 2025

CONTRIBUZIONE

Assenze non retribuite

La contribuzione dovuta in caso di assenze non retribuite del lavoratore – Cass., Sez. Lav., ord. 18 novembre 2025, n. 30428

Il Fatto

Una società ricorreva in Tribunale per far accertare l’insussistenza dell’obbligo di pagare i premi assicurativi pretesi dall’INAIL, sostenendo che le assenze non retribuite dei dipendenti giustificassero il calcolo dei contributi sulla sola retribuzione effettivamente erogata.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda, ritenendo che la società non avesse dimostrato che le sospensioni fossero giustificate ai sensi del CCNL, e che non era ammissibile versare una contribuzione riferita alla sola retribuzione percepita.

La società proponeva ricorso per cassazione.

Il Diritto

La Corte ricorda l’autonomia dell’obbligazione contributiva rispetto a quella retributiva. L’obbligo contributivo, che ha funzione pubblicistica come presidio del sistema di protezione sociale, non può essere inferiore al minimale contributivo stabilito dall’art. 1 del D.L. n. 338/89 (convertito nella Legge n. 389/89) sulla base dei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

L’obbligo contributivo, pertanto, permane nell’intero ammontare previsto dal contratto collettivo anche in caso di assenza del lavoratore o di sospensione della prestazione lavorativa.

La sospensione dell’obbligo contributivo si realizza solo nelle ipotesi tipiche previste dalla legge o dal contratto collettivo (es. malattia, infortunio, maternità o cassa integrazione).

Il principio del minimale contributivo è uno standard inderogabile e la retribuzione effettiva rileva solo se superiore a quella prevista dal contratto collettivo.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

INFORTUNIO SUL LAVORO

Copertura assicurativa

La copertura assicurativa in caso di infortunio sul lavoro – Cass., Sez. Lav., ord. 17 novembre 2025, n. 30335

Il Fatto

A seguito di un grave infortunio sul lavoro occorso a un lavoratore, caduto da un’altezza di circa sei metri mentre era impegnato in lavori di potatura di alberi sul fondo agricolo di un terzo , il Tribunale condannava la società datrice di lavoro e i suoi soci al risarcimento del danno e al regresso INAIL, ma rigettava la domanda di garanzia assicurativa proposta dalla società nei confronti della sua compagnia assicurativa.

La Corte d’Appello, in parziale riforma, accoglieva l’appello della società datrice di lavoro e riconosceva l’obbligo della compagnia assicurativa di tenere indenne la società, nei limiti del massimale.

La compagnia assicurativa ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La Corte ha ribadito che l’interpretazione delle clausole contrattuali (nella specie, relative alla portata e all’estensione del rischio assicurato) rientra tra i compiti del giudice di merito. Nel caso specifico, il giudice di merito ha correttamente interpretato la polizza valorizzando la circostanza che l’attività assicurata fosse connotata dal rischio riconducibile alla necessità di operare ad altezza considerevole, ravvisando una sostanziale “omogeneità” del rischio specifico tra l’attività espressa (montaggio infissi) e quella della potatura. Inoltre, ha rilevato che l’infortunio era avvenuto non a causa delle particolari modalità di impiego di strumenti adatti alla potatura, ma per la caduta dalla piattaforma, una volta terminata l’attività.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

INPS

Contribuzione

Il concetto del minimale contributivo inderogabile – Cass., Sez. Lav., ord. 18 novembre 2025, n. 30457

Il Fatto

Una società si opponeva ad un verbale di accertamento che aveva incluso dalla base imponibile contributiva l’importo relativo a una serie di indennità, segnatamente l’indennità mensile e l’indennità di turno oraria.

Il Tribunale e la Corte d’Appello accoglievano la domanda e ’INPS ricorreva per  Cassazione sostenendo che tali indennità, essendo previste come voci retributive nei contratti individuali, dovessero comunque essere assoggettate a contribuzione.

Il Diritto

La corte ricorda l’art. 1 del D.L. n. 338 del 1989  definisce il concetto di minimale contributivo, stabilendo che la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi non può essere inferiore all’importo stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi o, in aggiunta accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quella prevista dal contratto collettivo. Il venir meno di un contratto integrativo aziendale che abbia previsto indennità non esclude che le stesse fossero ancora dovute in ragione dei contratti individuali.

La Corte ha ribadisce quindi che la base imponibile contributiva si calcola sul trattamento astrattamente dovuto al lavoratore (in base al contratto collettivo nazionale più rappresentativo o al contratto individuale se più favorevole), e non sulla retribuzione concretamente erogata. Pertanto, l’inderogabilità in peius della retribuzione a fini contributivi impone di considerare anche le maggiori indennità previste nei contratti individuali per il calcolo del minimale.

La corte pertanto accoglie il ricorso.

LAVORO SUBORDINATO

Mansioni

L’accertamento giudiziale dello svolgimento di mansioni superiori – Cass., Sez. Lav., ord. 17 novembre 2025, n. 30328

Il Fatto

Un lavoratore adiva il Tribunale per ottenere un inquadramento superiore.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, condannava la società al pagamento di una somma inferiore a titolo di danno biologico e morale (danno differenziale sottratta la rendita capitalizzata), ma respingeva la richiesta di inquadramento superiore.

Il lavoratore ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte osserva che i giudici di merito, nell’escluder la sussistenza di un inquadramento superiore hanno fatto buon governo del procedimento trifasico, rilevando il discrimine tra i due livelli, con riguardo all’autonomia operativa, prevista dal CCNL applicabile.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

MANSIONI

Accertamento

L’utilizzo del c.d. criterio “trifasico” nell’accertamento delle mansioni svolte dal lavoratore – Cass., Sez. Lav., ord. 16 novembre 2025, n. 30197

Il Fatto

Un lavoratore adiva il Tribunale per ottenere l’accertamento dello svolgimento di mansioni superiori.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda e la società ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La Corte ribadisce che l’accertamento del diritto all’inquadramento superiore avviene seguendo un procedimento logico-giuridico in tre fasi (accertamento delle mansioni, individuazione della qualifica contrattuale, confronto). Nel caso di specie, i giudici di merito avevano correttamente operato secondo tale sequenza procedimentale.

La Corte conferma poi che è processualmente consentito azionare la pretesa economica chiedendo solo una condanna generica, anche nel rito del lavoro.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

PENSIONE

Contribuzione

Il calcolo della pensione di vecchiaia sul monte contributivo effettivamente versato – Cass., Sez. Lav., ord. 18 novembre 2025, n. 30449

Il Fatto

Un professionista conveniva in giudizio la sua cassa previdenziale chiedendo il ricalcolo della pensione di vecchiaia riconosciutagli, sostenendo che i redditi professionali sui quali si calcola il trattamento pensionistico dovessero essere sottoposti ad una maggiore rivalutazione ISTAT (con aliquota del 21,1% anziché 18,7%) a decorrere dal 1980, in corretta applicazione degli artt. 15 e seguenti della Legge n. 576 del 1980.

La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda e la cassa ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La Corte conferma l’orientamento consolidato secondo cui, in tema di previdenza forense, l’entità dei redditi da assumere per il calcolo della pensione di vecchiaia, ai sensi della Legge n. 576 del 1980, va rivalutata a partire dall’anno di entrata in vigore della legge, ovvero dal 1980, applicando l’indice medio annuo ISTAT dell’anno 1980 (relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980) e non dal 1981, come sostenuto dalla Cassa. Questo criterio è generale e non transitorio.

La Corte ribadisce poi che  la contribuzione solo parziale non può impedire di conteggiare per intero l’annualità ai fini dell’anzianità contributiva.

La corte ricorda poi che  che i redditi da prendere a riferimento per il calcolo della pensione di vecchiaia devono essere solo quelli coperti da contribuzione effettivamente versata. Pertanto, nel caso in cui sia stato applicato un coefficiente di rivalutazione ISTAT inferiore a quello dovuto, con conseguente minore contribuzione versata, la pensione va calcolata prendendo a riferimento i redditi rivalutati secondo il minor coefficiente applicato, anziché secondo quello maggiore che sarebbe stato dovuto.

Poiché i giudici di merito non si sono attenuti a tale ultimo principio, la corte accoglie il ricorso sul punto.

L’illegittima imposizione del contributo di solidarietà – Cass., Sez. Lav., ord. 14 novembre 2025, n. 30090

Il Fatto

Un dottore commercialista adiva il Tribunale per ottenere la riliquidazione della pensione erogata dalla propria cassa ritenendo che il trattamento pensionistico fosse stato illegittimamente liquidato a causa dell’applicazione di un contributo di solidarietà operato in detrazione sulle rate di pensione. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello accoglievano il ricorso del pensionato, e la cassa ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La Corte ribadisce l’illegittimità del contributo di solidarietà imposto dalla Cassa in via regolamentare. Tali atti sono ritenuti incompatibili con il rispetto del principio del pro-rata e danno luogo a un prelievo riconducibile al genus delle prestazioni patrimoniali ex art. 23 Cost., la cui imposizione è riservata al legislatore.

La  corte conferma poi che l’azione di restituzione delle trattenute operate sulla pensione a titolo di contributo di solidarietà è soggetta al termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c. Questo perché il diritto alla riliquidazione degli importi è in contestazione e i ratei trattenuti non erano liquidi ed esigibili, ricordando che l’effetto interruttivo della prescrizione si realizza con la notificazione dell’atto al convenuto, non con il mero deposito del ricorso in cancelleria, anche nel rito del lavoro.

La corte pertanto accoglie il ricorso solo sul termine di decorrenza della prescrizione.

PUBBLICO IMPIEGO

Retribuzione

Lo svolgimento di mansioni superiori nel lavoro pubblico – Cass., Sez. Lav., ord. 16 novembre 2025, n. 30194

Il Fatto

Un lavoratore, dipendente di ente pubblico economico  adiva il giudice del lavoro per ottenere l’accertamento dell’espletamento di mansioni superiori e il conseguente diritto all’inquadramento in una qualifica superiore oltre al pagamento delle differenze retributive.

Il Tribunale e la Corte d’Appello, pur condannando l’ente al pagamento delle differenze retributive per il periodo richiesto, rigettavano la domanda di riconoscimento della qualifica superiore, ritenendo necessario il .concorso per  l’inquadramento superiore.

Il lavoratore proponeva ricorso per cassazione avverso tale pronuncia.

Il Diritto

La Corte ribadisce che la regola concorsuale, pur essendo fissata per l’assunzione alle dipendenze di un ente pubblico economico, non può estendersi a giustificare la nullità dell’assegnazione a mansioni superiori. Pertanto, il diniego del diritto all’inquadramento superiore, non potendo operare l’art. 52 del D.Lgs. n. 165/2001 (proprio degli enti pubblici non economici), è illegittimo. Per tali enti trova invece applicazione la disciplina generale dettata dall’art. 2103 c.c., che non impedisce, in presenza dei presupposti di fatto, il riconoscimento del diritto alla qualifica superiore.

La corte pertanto accoglie il ricorso.

RAPPORTO DI LAVORO

Contribuzione

L’assoggettamento alla corretta contribuzione a seguito della riqualificazione del rapporto di lavoro – Cass., Sez. Lav., ord. 18 novembre 2025, n. 30453

Il Fatto

Una società si opponeva ad un avviso di addebito per contributi richiesti a seguito della riqualificazione di rapporti di lavoro, formalmente regolati come contratti di lavoro intermittente, in ordinari rapporti subordinati e per l’assoggettamento a contribuzione di somme erogate a titolo di indennità di trasferta.

Il Tribunale e la Corte d’Appello accoglievano la domanda La Corte d’Appello, pur ritenendo corretta la riqualificazione dei rapporti di lavoro come subordinati a tempo pieno e indeterminato, aveva nondimeno escluso la pretesa contributiva dell’INPS ritenendo  inapplicabile, in favore del CCNL “società di servizi ausiliari, fiduciari e integrati”.

INPS ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La Corte ha rilevato che i giudici di merito hanno omesso di pronunciarsi sulla domanda subordinata proposta dall’INPS. Tale domanda era volta a far accertare la diversa somma ritenuta dovuta dall’Istituto, quale conseguenza della riconosciuta riqualificazione dei rapporti lavorativi da intermittenti a subordinati a tempo pieno e indeterminato, anche nell’eventualità in cui fosse stato applicato il CCNL SAFI e non il CCNL “terziario Confcommercio” (come applicato in sede ispettiva).

La corte pertanto accoglie il ricorso.

RETRIBUZIONE

Accordo sindacale

L’inquadramento del lavoratore in caso di accordo sindacale – Cass., Sez. Lav., ord. 17 novembre 2025, n. 30329

Il Fatto

Un lavoratore adiva il Tribunale per ottenere l’accertamento del diritto ad un inquadramento superiore.

La Corte d’Appello, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, accoglieva la domanda limitatamente al periodo non prescritto.

Il datore di lavoro ricorreva per cassazione.

Il Diritto

in merito ad un accordo sindacale aziendale presente, la corte osserva che l’accordo in questione, che è successivo sebbene di natura aziendale, non può spiegare alcun effetto nella materia del contendere ove si controverte nell’inquadramento ab origine del dipendente nei livelli previsti dalla contrattazione collettiva e, pertanto, occorre fare riferimento alle disposizioni vigenti all’epoca in cui sono state svolte le mansioni. La corte osserva anche che  l’accordo aziendale, anche se in peius, non può influire sui diritti quesiti relativi a prestazioni già rese.

Inoltre, la corte ricorda che per l’ interpretazione della contrattazione collettiva, quindi, trovano applicazione i criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 e ss. c.c., sicché, seguendo un percorso circolare, occorrerà tener conto, in modo equi-ordinato, di tutti i canoni previsti dal legislatore, sia di quelli tradizionalmente definiti soggettivi che di quelli oggettivi, confrontando il significato desumibile dall’utilizzo del criterio letterale con quello promanante dall’intero atto negoziale e dal comportamento complessivo delle parti, coordinando tra loro le singole clausole alla ricerca di un significato coerente con tutte le regole interpretative innanzi dette.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

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