COMMENTO
DI MARCO PEIROLO | 1 SETTEMBRE 2025
Con la sentenza 1° agosto 2025, causa C-794/23 , la Corte di giustizia UE ha affermato che, in caso di erronea applicazione di un’aliquota IVA più alta, il fornitore non è tenuto a versare la maggiore imposta all’Erario se il cliente è un “privato consumatore”, in quanto tale impossibilitato ad esercitare il diritto di detrazione.
Descrizione del caso
Nell’anno 2019, una società austriaca che gestisce un parco giochi ha applicato ai biglietti d’ingresso l’aliquota IVA del 20%, anziché quella ridotta del 13%.
L’Amministrazione tributaria ha negato alla società la rettifica “a posteriori” dell’aliquota IVA dato che:
- da un lato, non era possibile modificare le fatture né trasmettere ai clienti note di credito corrispondenti alla differenza tra l’IVA all’aliquota del 20% e l’IVA all’aliquota ridotta
- e che, dall’altro, avendo i clienti corrisposto l’imposta all’aliquota del 20%, una siffatta rettifica avrebbe comportato l’arricchimento senza causa della società.
Tenuto conto che le prestazioni sono state fornite quasi esclusivamente a privati, non abilitati a detrarre l’IVA pagata a monte, con la conseguente esclusione del rischio di perdita di gettito fiscale, il giudice nazionale ha chiesto alla Corte europea:
- se l’art. 203 della Direttiva n. 2006/112/CE debba essere interpretato nel senso che un soggetto passivo, il quale abbia effettuato una prestazione e abbia indicato nella propria fattura un importo di IVA calcolato sulla base di un’aliquota errata, non è debitore della parte dell’IVA erroneamente fatturata qualora la prestazione indicata in fattura sia stata fornita ad un soggetto non passivo;
- se per “consumatore finale non legittimato alla detrazione dell’IVA pagata a monte”, ai sensi della sentenza 8 dicembre 2022, causa C‑378/21, debba intendersi unicamente un soggetto non passivo oppure anche un soggetto passivo che si avvalga della prestazione unicamente a fini privati e non abbia, pertanto, diritto alla detrazione;
- sulla base di quali criteri debba essere stabilito, nel caso di una fattura semplificata ai sensi dell’art. 238 della Direttiva n. 2006/112/CE, quali siano le fatture in relazione alle quali il soggetto passivo non è debitore dell’IVA erroneamente fatturata, in quanto non sussiste alcun rischio di perdita di gettito fiscale.
Esclusione dell’obbligo di versare l’IVA non dovuta se il cliente non può esercitare la detrazione
L’art. 203 della Direttiva n. 2006/112/CE prevede che l’IVA sia dovuta da chiunque la indichi in fattura, la quale, quindi, è dovuta dall’emittente anche in assenza di una qualsiasi operazione imponibile reale.
Dalla giurisprudenza della Corte emerge, inoltre, che tale disposizione mira ad eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale che può derivare dal diritto alla detrazione.
L’applicazione dell’art. 203 della Direttiva n. 2006/112/CE risulta, pertanto, subordinata unicamente all’esistenza di un rischio di perdita di gettito fiscale, il quale deve essere valutato sulla base di una fattura specifica e non può dipendere dal fatto che le prestazioni del soggetto passivo di cui trattasi siano state fornite non soltanto a persone che non sono soggetti passivi dell’IVA, ma anche ad altri soggetti passivi.
Di conseguenza, ai fini della valutazione dell’esistenza di un rischio del genere, occorre verificare se il destinatario della fattura in questione sia effettivamente soggetto passivo dell’IVA e possa, quindi, far valere il diritto alla detrazione dell’imposta pagata a monte.
Ne discende che un soggetto passivo che ha fornito una prestazione e indicato in fattura un importo a titolo di IVA calcolato in base ad un’aliquota errata non è debitore della parte dell’imposta che è stata erroneamente fatturata a una persona che non è soggetto passivo, anche se quest’ultimo ha parimenti fornito prestazioni della stessa natura ad altri soggetti passivi.
Nozione di “consumatore finale non legittimato alla detrazione dell’IVA”
La Corte, con la sentenza di cui alla causa C‑378/21, ha dichiarato che un soggetto passivo, il quale abbia prestato un servizio e abbia indicato in fattura un importo a titolo di IVA calcolato sulla base di un’aliquota errata, non è debitore, ai sensi dell’art. 203 della Direttiva n. 2006/112/CE, della parte dell’IVA erroneamente fatturata qualora non vi sia alcun rischio di perdita di gettito fiscale in quanto i destinatari del servizio sono esclusivamente consumatori finali non legittimati all’esercizio della detrazione.
Tenuto conto che il rischio di perdita di gettito fiscale che tale disposizione intende eliminare non è, in via di principio, del tutto escluso finché il destinatario della fattura indicante un’IVA non dovuta possa ancora decidere di utilizzarla al fine di esercitare il proprio diritto alla detrazione, la Corte ha affermato che la nozione di “consumatori finali non legittimati alla detrazione dell’IVA pagata a monte” deve essere interpretata in modo restrittivo, considerando che un tale rischio sussiste qualora il destinatario della fattura errata sia un soggetto passivo e ciò anche nel caso in cui quest’ultimo abbia potuto ricorrere alla prestazione per fini privati o per altri fini che non danno diritto alla detrazione.
Modalità di determinazione dell’IVA non dovuta da versare all’Erario
Infine, per quanto riguarda i criteri da utilizzare per stabilire, nel caso di una fattura semplificata ai sensi dell’art. 238 della Direttiva n. 2006/112/CE, quali siano le fatture in relazione alle quali il soggetto passivo non è debitore dell’IVA erroneamente fatturata, in quanto non sussiste alcun rischio di perdita di gettito fiscale, la questione si pone nel caso in cui i destinatari delle fatture siano tanto consumatori finali quanto soggetti passivi legittimati alla detrazione dell’imposta pagata a monte.
Secondo la Corte, riguardo alla possibilità di ricorrere ad una stima per individuare la parte di fatture errate emesse nei confronti di soggetti passivi, il diritto dell’Unione non vi osta, in linea di principio, a condizione che siano rispettati, nell’ambito di una siffatta stima, i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità.
Per quanto riguarda, in primo luogo, il principio di neutralità fiscale, l’Amministrazione tributaria arrecherebbe un pregiudizio sproporzionato al principio di neutralità se lasciasse a carico del soggetto passivo l’IVA di cui esso ha il diritto di ottenere il rimborso, mentre il sistema comune mira a sollevare interamente l’imprenditore dall’onere dell’imposta dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività.
In caso di fatture errate che indichino un importo di IVA troppo elevato, detto principio è garantito dalla possibilità – che gli Stati membri devono prevedere – di rettificare ogni imposta indebitamente fatturata, qualora l’emittente della fattura abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdita di gettito fiscale.
Per quanto riguarda, in secondo luogo, il principio di proporzionalità, esso esige, in particolare, che i dati utilizzati per effettuare una stima del numero di fatture errate emesse nei confronti di taluni soggetti passivi debbano essere esatti, affidabili ed aggiornati. Una stima di questo tipo può, inoltre, dare luogo unicamente a una presunzione relativa, che può essere superata dal soggetto passivo che ha emesso tali fatture, sulla base di prove contrarie.
A questo riguardo, il rispetto dei diritti della difesa del soggetto passivo comporta segnatamente che, prima di adottare un atto lesivo per il medesimo, questi deve essere posto in condizione di manifestare utilmente il suo punto di vista in ordine agli elementi sui quali le Autorità intendano fondare la propria decisione, in particolare di contestare l’esattezza della stima in questione e di esplicitare le circostanze che giustificano tale contestazione. Il principio di proporzionalità esige, inoltre, che il livello di prova a tal fine richiesto non sia eccessivamente elevato.
In definitiva, in caso di fatturazione semplificata, l’Amministrazione tributaria o un organo giurisdizionale nazionale può ricorrere ad una stima per determinare la parte di fatture per le quali il soggetto passivo che ha erroneamente fatturato l’IVA è debitore in applicazione dell’art. 203 della Direttiva n. 2006/112/CE, a condizione che, ai fini della predetta stima, sia preso in considerazione l’insieme delle circostanze pertinenti e che il soggetto passivo abbia la possibilità, nel rispetto dei principi di neutralità fiscale e di proporzionalità nonché dei diritti della difesa, di rimettere in discussione i risultati ottenuti attraverso tale metodo.
Riferimenti normativi:
- Dir. CE 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, artt. 203 e 238;
- Corte di giustizia UE, sentenza 1° agosto 2025, causa C-794/2 3.
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