RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
A cura di Benedetta Cargnel | 11 Luglio 2025
CONTRIBUZIONE
Previdenza
La verifica del requisito dell’esercizio continuativo per l’iscrizione alle casse previdenziali -Cass., Sez. Lav., ord. 14 giugno 2025, n. 15936
Il Fatto
Un libero professionista conveniva in giudizio la propria cassa di appartenenza per ottenere il riconoscimento del requisito dell’esercizio continuativo della professione, e quindi alla ricostruzione della propria posizione contributiva.
La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda e il professionista ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte osserva che ai fini della iscrizione annuale alla Cassa previdenziale sono rilevanti sia l’iscrizione all’Albo, sia la continuità dell’esercizio dell’attività professionale secondo parametri presuntivi correlati alla produzione reddituale ed al volume di affari dichiarato, sia la tipicità di cause giustificative della discontinuità per non perdere anzianità di iscrizione e contributiva. Di tali cause giustificative è il professionista che ha l’onere di provarle.
Poiché i giudici di merito si sono attenuti a tale principio, la corte rigetta il ricorso.
FERIE
Indennità
Il diritto irrinunciabile del lavoratore alle ferie – Cass., Sez. Lav., sent. 23 giugno 2025, n. 16772
Il Fatto
Un lavoratore adiva il Tribunale per ottenere il pagamento dell’indennità per ferie non godute.
Il Tribunale e la Corte d’Appello accoglievano la domanda e il datore di lavoro ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte ricorda che la garanzia di un effettivo godimento delle ferie traspare, secondo prospettive convergenti, dalla giurisprudenza costituzionale e da quella europea e che il “diritto inderogabile” dei lavoratori è violato se la cessazione dal servizio vanifichi, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso dalla malattia o da altra causa non imputabile al lavoratore.
La corte ribadisce che le ferie annuali retribuite costituiscono un diritto fondamentale e irrinunciabile del lavoratore (a cui è intrinsecamente collegato il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute al termine del rapporto di lavoro) e, correlativamente, un obbligo del datore di lavoro; grava su quest’ultimo l’onere di provare di avere adempiuto il proprio obbligo di concedere le ferie medesime, mentre la perdita del diritto alle ferie (e, alla cessazione del rapporto di lavoro, alla corrispondente indennità sostitutiva) può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente – e di averlo nel contempo avvisato – in modo accurato e in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il recupero delle energie cui esse sono volte a contribuire; in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato.
Poiché i giduici di merito si sono attenuti a tale principio, la corte rigetta il ricorso.
Retribuzione
Il principio di parità di retribuzione nei periodi di ferie – Cass., Sez. Lav., ord. 9 giugno 2025, n. 15322
Il Fatto
Un lavoratore adiva il Tribunale per ottenere il diritto a percepire, per ciascun giorno di ferie, una retribuzione comprensiva dell’indennità perequativa, dell’indennità compensativa e dell’indennità di turno.
La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda e il lavoratore ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte ribadisce che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie è fortemente influenzata dalla interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la quale, sin dalla sentenza R.S. del 2006, ha precisato che con l’espressione “ferie annuali retribuite” contenuta nell’art. 7, n. 1, della Direttiva n. 88 del 2003 si vuole fare riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, “deve essere mantenuta” la retribuzione con ciò intendendosi che il lavoratore deve percepire in tale periodo di riposo la retribuzione ordinaria.
Poiché tuttavia la corte rilava che i giudici dell’appello hanno deciso anche in merito al premio di risultato, sebbene la relativa domanda non fosse stata riproposta in appello, la corte accoglie il ricorso sul punto.
INFORTUNIO SUL LAVORO
Responsabilità del datore
La responsabilità del datore in caso di colpa del lavoratore e conseguente infortunio – Cass., Sez. Lav., sent. 3 giugno 2025, n. 20373
Il Fatto
Un datore di lavoro veniva rinviato a giudizio a seguito dell’infortunio sul lavoro di un dipendente.
Il Tribunale e la Corte d’Appello ritenevano il datore responsabile e quest’ultimo ricorreva per cassazione
Il Diritto
La corte ricorda che Le disposizioni di sicurezza perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l’area di rischio da gestire comprende il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro impedire l’instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle Direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e, come tali, latrici di possibili rischi per la sicurezza e la incolumità dei lavoratori.
Poiché i giudici si sono attenuti a tale principio, la corte rigetta il ricorso.
INPS
Pensione di invalidità
I requisiti reddituali per ottenere la pensione di invalidità civile – Cass., Sez. Lav., ord. 15 giugno 2025, n. 16006
Il Fatto
Un cittadino adiva il Tribunale per far dichiarare l’insussistenza dell’indebito pensionistico chiesto in restituzione dall’INPS per il preteso superamento dei limiti reddituali stabiliti dalla legge quale presupposto della pensione di invalidità civile.
La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda e INPS ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte ricorda che ai fini del riconoscimento della pensione d’invalidità civile occorre fare riferimento al reddito imponibile e pertanto, secondo la formulazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 917 del 1986, (TUIR), alla base imponibile da assoggettare a tassazione ai fini IRPEF, costituita dal reddito complessivo del contribuente al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10 del TUIR (quali tra gli altri le spese mediche, gli assegni periodici corrisposti al coniuge legalmente separato, i contributi), conferma che si deve aver riguardo al reddito imponibile e che esso è rappresentato dal reddito complessivo al quale vanno sottratti gli oneri deducibili ai sensi dell’art. 10 t.u.i.r. (tra i quali, come osservato, non rientra l’IMU) e il reddito della (sola) casa di abitazione ma per espressa e derogatoria previsione legislativa.
La corte pertanto accoglie il ricorso enunciando il seguente principio di diritto: “al fine di determinare il limite di reddito per l’accesso alla pensione sociale ai sensi dell’art. 26 della Legge 153 del 1969, degli artt. 12 e 19 della Legge 30 marzo 1971, n. 118, e dell’art. 3, comma 6 , della Legge 3 agosto 1995, n. 335 rileva il reddito imponibile ai fini IRPEF e nel conteggio di esso rientra anche il reddito da fabbricati ad uso abitativo e non locati, diversi dall’immobile adibito ad abitazione principale considerato che solo per quest’ultimo opera la deroga stabilita dall’art. 26 della Legge 153 del 1969 e considerato che le somme corrisposte a titolo di IMU non sono, in via generale, deducibili dall’IRPEF ai sensi dell’art. 10 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (t.u.i.r.)”.
LAVORO PUBBLICO
Requisiti
Il reclutamento del personale pubblico – Cass., Sez. Lav., sent. 26 giugno 2025, n. 17207
Il Fatto
Un lavoratore impugnava il licenziamento disciplinare intimato.
Il Tribunale e la Corte d’Appello accoglievano la domanda e il datore di lavoro ricorreva per cassazione, in particolare eccependo la nullità del rapporto di lavoro per mancato rispetto delle forme previste dal lavoro pubblico, seppur a seguito di una precedente conciliazione sindacale.
Il Diritto
La corte osserva che la conciliazione giudiziale prevista dagli artt. 185 e 420 c.p.c., produttiva dell’indubbio effetto processuale di chiusura del giudizio nel quale interviene, in relazione agli effetti sostanziali derivanti dal negozio giuridico contestualmente stipulato dalle parti, che può avere anche ad oggetto diritti indisponibili del lavoratore, comporta, a norma dell’art. 2113 c.c., l’eventuale mera annullabilità di quelli dipendenti da norme inderogabili, ma non la nullità dell’atto di disposizione; diversamente, la preventiva disposizione può invece comportare, in relazione a diritti non ancora sorti o maturati, la nullità dell’atto, in quanto diretto a regolamentare gli effetti del rapporto di lavoro in maniera diversa da quella fissata dalle norme di legge o di contratto collettivo; non potendo, infatti, gli effetti attribuiti al verbale di conciliazione giudiziale equipararsi a quelli di una sentenza passata in giudicato, bensì a quelli di un titolo contrattuale esecutivo, con la conseguenza che esso resta soggetto alle ordinarie sanzioni di nullità.
La corte rileva poi che , in tema di reclutamento del personale da parte di società a partecipazione pubblica avente ad oggetto la gestione del servizio pubblico locale, l’art. 18 del D.L. n. 112 del 2008, conv. in Legge n. 133 del 2008, nel testo applicabile ratione temporis, ha esteso alle predette società, ai fini del reclutamento in questione, le procedure concorsuali e selettive delle amministrazioni pubbliche, la cui omissione determina la nullità del contratto di lavoro, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c.; tale nullità è ora espressamente prevista dall’art. 19, comma 4 , del D.Lgs. n. 175 del 2016, di cui va tuttavia esclusa la portata innovativa, avendo la citata disposizione reso esplicita una conseguenza già desumibile dai principi in tema di nullità virtuali.
Poiché i giudici di merito non si sono attenuti a tali principi, la corte accoglie il ricorso.
LICENZIAMENTO DISCIPLINARE
Recidiva
L’applicazione della recidiva nel procedimento disciplinare – Cass., Sez. Lav., ord. 24 giugno 2025, n. 16925
Il Fatto
Un lavoratore impugnava il licenziamento disciplinare intimato per giusta causa.
Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettavano la domanda e il lavoratore ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte ricorda che il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentire dal raffronto critico – riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato – con le altre risultanze del processo, ha, in particolare, “considerato che gli scritti provenienti da terzi, pur non avendo efficacia di prova testimoniale, non essendo stati raccolti nell’ambito del giudizio in contraddittorio delle parti, né di prova piena, sono rimessi alla libera valutazione del giudice del merito, e possono, in concomitanza con altre circostanze desumibili dalla stessa natura della controversia, fornire utili elementi di convincimento, specie ove di essi sia stata provata.
La corte ribadisce poi che ferma la facoltà per il giudice di considerare la recidiva in senso atecnico, al solo fine di graduare la gravità della condotta, tuttavia, ove una specifica ipotesi di recidiva in senso tecnico (nella specie, qualunque infrazione dopo due pregressi provvedimenti di sospensione disciplinare nell’arco di un anno) sia (contemplata dal contratto collettivo quale autonoma fattispecie di licenziamento disciplinare, alternativa rispetto a fattispecie che consentono il recesso per infrazioni sanzionabili con qualsiasi misura conservativa purché abbiano “particolare gravità”, quest’ultimo requisito non può coincidere ed esaurirsi nella recidiva (atecnica) in infrazioni punite in misura meno grave (nella specie rimprovero scritto e multa) rispetto all’ipotesi espressamente contemplata, poiché ciò contrasta con la scala valoriale concordata dalle parti sociali e si traduce in un inammissibile trattamento deteriore, per il lavoratore, rispetto alle previsioni del contratto collettivo.
Poiché i giudici di merito si sono attenuti a tali principi, la corte rigetta il ricorso.
PENSIONE
Contribuzione
La ricongiunzione dei periodi ai fini pensionistici e la correttezza dei dati – Cass., Sez. Lav., ord. 13 giugno 2025, n.15890
Il Fatto
Un libero professionista adiva il Tribunale per ottenere la ricostituzione della pensione proporzionata al lavoro prestato, alla retribuzione percepita e alla contribuzione versata, con ricalcolo e restituzione degli arretrati maturati.
Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettavano la domanda e il lavoratore ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte osserva che in materia di ricongiunzione di periodi assicurativi ai fini della pensione per i liberi professionisti, l’accettazione da parte del lavoratore della proposta, formulata dall’ente preposto alla gestione previdenziale accentratrice, implica la conclusione di un accordo di natura pubblicistica, che ha ad oggetto anche costi e modalità della ricongiunzione e, una volta perfezionato, non è revocabile, salvo il caso di errore.
La corte pertanto rigetta il ricorso.
PROCESSO DEL LAVORO
Lavoro subordinato
Il principio di acquisizione della prova nel processo del lavoro -Cass., Sez. Lav., ord. 21 giugno 2025, n. 16646
Il Fatto
Un lavoratore adiva il Tribunale per far accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, con conseguente pagamento di differenze retributive.
Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettavano la domanda e il lavoratore ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte ricorda che nel rito del lavoro costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 437, comma 2, c.p.c., quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio, oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado.
Poiché i giudici di secondo grado non si sono attenuti a tale principio, la corte accoglie il ricorso.
RETRIBUZIONE
Straordinario
Il diritto del lavoratore di essere retribuito per le ore di disponibilità – Cass., Sez. Lav., ord. 16 giugno 2025, n. 16147
Il Fatto
Un lavoratore adiva il Tribunale per ottenere il diritto alla remunerazione come lavoro straordinario delle ore di pronta disponibilità eccedenti l’orario normale di lavoro, quest’ultimo calcolato come comprensivo anche delle ore di assenza per ferie e per malattia.
Il Tribunale e la Corte d’Appello accoglievano la domanda e il datore di lavoro ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte ribadisce che l’art. 2 della Direttiva 93/104/CE, modificata dalla Direttiva 2000/34/CE e poi codificata dalla Direttiva 2003/88/CE, definisce orario di lavoro “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali” e periodo di riposo “qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro”. La stessa definizione è ripetuta dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 66 del 2003. Anche la Corte europea ha poi adottato un approccio decisamente binario: il tempo del lavoratore è lavoro o è riposo e le due nozioni di orario di lavoro e periodo di riposo si escludono a vicenda.
Poiché i giudici di merito si sono attenuti a detti principi, la corte rigetta il ricorso.
Iniziativa gratuita organizzata con l’approvazione dell’editore riservata agli iscritti alla nostra informativa. E’ severamente proibita la condivisione dell’articolo, della pagina e degli allegati e di qualsiasi contenuto condiviso.