4° Contenuto Riservato: Rassegna di giurisprudenza 17 ottobre 2025, n. 773

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA

A CURA DI FABIO PACE | 17 OTTOBRE 2025

ACCERTAMENTO

Bancario

Autorizzazione e prove contrarie – Cass., Sez. trib., Ord. 11 settembre 2025, n. 25050

La questione riguarda l’esistenza dell’autorizzazione alle indagini bancarie (ancorché non esibita) e conseguentemente la legittimità dell’atto impositivo. Il contribuente eccepisce di avere offerto plurimi elementi fattuali e documentali per contrastare le risultanze delle indagini bancarie.
L’avviso di accertamento basato su indagini bancarie effettuate senza autorizzazione è illegittimo, sempre che tale mancanza abbia creato un concreto pregiudizio al contribuente (Cass. ord. 2 luglio 2013, n. 16579).
Con riferimento alla questione delle prove fornite a giustificazione delle movimentazioni bancarie, il giudice di merito, laddove ritenga assolto dal contribuente l’onere probatorio a suo carico, ha l’obbligo di fornire una motivazione adeguata e non generica del proprio convincimento (Cass. sent. 2 marzo 2016, n. 4153).
Nella specie, il contribuente non aveva adempiuto a ciò, limitandosi ad affermazioni semplici e ragionamenti che non hanno trovato alcun riscontro contabile e documentale.

Contraddittorio

Accertamento analitico-induttivo e contraddittorio – Cass., Sez. trib., Ord. 8 settembre 2025, n. 24783

L’Ufficio eccepisce di avere ricostruito il reddito d’impresa con metodo analitico-induttivo, quindi senza obbligo di contraddittorio, trattandosi di rettifica a tavolino e mancando la prova di resistenza circa l’IVA.
L’obbligo di instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente ex art. 10 della legge n. 146/1998 sussiste solo in caso di accertamento basato esclusivamente sugli studi di settore, mentre non opera se l’accertamento si fonda anche su altri elementi giustificativi, quali riscontrate irregolarità contabili o comportamenti antieconomici dell’imprenditore (Cass. n. 31914 del 2019).
In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’A.F. è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia enunciato in concreto le ragioni che avrebbe potuto fare valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, solo per i tributi armonizzati, mentre, per quelli non armonizzati, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass., Sez. U., sent. 9 dicembre 2015, n. 24823).
L’oggetto della prova di resistenza deve consistere nella specifica indicazione dei fatti e delle informazioni mancate, in una con la loro concreta e ragionevole idoneità a orientare l’A.F. a non più adottare il provvedimento impositivo o ad adottarlo con un contenuto oggettivamente o soggettivamente più mite, dovendosi considerare che i fatti in esso deducibili non sono necessariamente gli stessi che possono essere dedotti in sede giurisdizionale, che la ripetibilità della deduzione in sede giurisdizionale non salva dall’invalidità l’atto di imposizione e che l’evidenza del fatto o delle deduzione in sede amministrativa non coincide con i requisiti della prova da fornire nel processo (Cass., Sez. U., sent. 25 luglio 2025, n. 21271).

Presunzioni

Omessa dichiarazione di investimenti in Paesi black list – Cass., Sez. trib., Ord. 9 ottobre 2025, n. 27103

Si contesta il ricorso alla presunzione in relazione a un’ipotesi diversa dall’accertamento della detenzione di capitali all’estero, ma di redditi maturati sugli stessi, dunque errata applicazione della presunzione di fruttuosità ed errata tassazione degli interessi così determinati ai fini delle imposte sui redditi.
Nell’accertamento tributario, sebbene la presunzione di evasione sancita dall’art. 12, comma 2, del D.L. n. 78/2009, con riferimento all’omessa dichiarazione di investimenti e attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, non sia applicabile retroattivamente agli anni d’imposta antecedenti alla sua entrata in vigore (prevista dal 1° luglio 2009), stante la natura sostanziale e non procedimentale delle presunzioni, l’Ufficio può ricorrere agli stessi fatti oggetto di tale presunzione legale (redditi non dichiarati occultamente detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata) sub specie di presunzione semplice.
L’Ufficio può provare l’esistenza di redditi non dichiarati, detenuti occultamente in Paesi a fiscalità privilegiata, anche sulla base di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti (art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, con riguardo alla rettifica del reddito delle persone fisiche), senza fare ricorso alla presunzione legale in oggetto (Cass. sent. 14 maggio 2025, n. 12910; Cass. sent. 21 febbraio 2024, n. 4641).
In tema di presunzioni semplici, gli elementi di prova non devono necessariamente essere più di uno, potendo il giudice fondare il suo convincimento su uno solo di essi, purché grave e preciso, in quanto il requisito della concordanza deve ritenersi riferito alla sola ipotesi, non necessaria, del concorso di più elementi presuntivi (Cass. sent. 14 novembre 2019, n. 29633); il convincimento del giudice circa la sussistenza di redditi maggiori di quelli dichiarati può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa.

Società non operative

Quando l’inoperatività è giustificata – Cass., Sez. trib., Ord. 7 settembre 2025, n. 24732

L’Agenzia sostiene che la società non avesse documentalmente provato in giudizio la presenza di situazioni oggettive che ne avevano causato l’inoperatività.
In materia di società non operative, l’art. 9, par. 1, della Dir. 2006/112/CE, va interpretato nel senso che non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo IVA a chi, in un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini di tale imposta il cui valore economico non raggiunga la soglia fissata da una normativa nazionale. Ciò che rileva ex art. 30 della legge n. 724/1994 è solo il fatto che tale soggetto, in un certo periodo d’imposta, abbia esercitato effettivamente un’attività economica, ponendosi tale disposizione in contrasto con l’art. 167 della direttiva IVA nella parte in cui prevede la perdita del diritto a detrazione al mancato raggiungimento di determinate soglie di ricavi (Cass. ord. 11 settembre 2024, n. 24442).
Alla luce di tali principi, art. 30 cit. va disapplicato, non potendosi derivare la privazione del diritto di detrazione in mera dipendenza dell’entità delle operazioni realizzate dalla società, ma solo ove la situazione sia riconducibile a una frode o a un abuso (Cass., 6 agosto 2024, n. 22249Cass., 11 settembre 2024 n. 24416). Occorre quindi l’accertamento che, di là dall’operatività delle presunzioni stabilite dall’art. 30 cit., la società abbia comunque svolto attività economica ai fini dell’IVA, anche in chiave prospettica.
Il mancato ottenimento di autorizzazioni non è di per sé dirimente. Occorre vagliare se l’impedimento a conseguire l’oggetto sociale non dipenda da pur legittime scelte imprenditoriali. La condotta sul modo di confrontarsi con l’evento impeditivo che preclude il superamento del test di operatività non è sindacabile se riconducibile a una scelta imprenditoriale, ma non quando il protrarsi di tale evento sia tale da comportare l’impossibilità assoluta di esercitare l’attività d’impresa (Cass. ord. 8 luglio 2024, n. 18657). Il protrarsi per anni dell’inattività di un’impresa può, potenzialmente, risolversi in una scelta soggettiva dell’imprenditore e non essere riconducibile a una circostanza oggettiva (Cass. ord. 16 maggio 2023, n. 13336).

AGEVOLAZIONI

Prima casa

Fusione di immobili e aliquota ICI agevolata – Cass., Sez. trib., Ord. 15 settembre 2025, n. 25239

Si ritiene che l’unica situazione che esclude l’aliquota ICI agevolata è il fatto che il complesso abitativo non trascenda la categoria catastale delle unità che lo compongono, dove, nella specie, al solo immobile derivato dalla fusione era stata attribuita la stessa categoria catastale assegnata alle singole unità precedenti la fusione.
I benefici per l’acquisto della prima casa previsti dall’art. 2 del D.L. n. 12/1985, possono riguardare anche alloggi risultanti dalla riunione di più unità immobiliari, purché le stesse siano destinate dall’acquirente, nel loro insieme, a costituire un’unica unità abitativa: il contemporaneo acquisto di due appartamenti non è di per sé ostativo alla fruizione dei benefici, a condizione che l’alloggio complessivamente realizzato rientri, per superficie, numero di vani e altre caratteristiche specificate dall’art. 13 della legge n. 408/1949, nella tipologia degli alloggi non di lusso (Cass., Sez. 5, sent. 24 novembre 2006, n. 24986; Cass., Sez. 5, sent. 25 febbraio 2008, n. 4739; Cass., Sez. 5, sent. 23 marzo 2011, n. 6613; Sez. 6-5, ord. 6 aprile 2017, n. 9030).
Il contemporaneo utilizzo di più unità catastali non ostacola l’applicazione, per tutte, dell’aliquota ICI agevolata prevista per l’abitazione principale (poi totale esenzione, ex art. 1 del D.L. n. 93/2008), sempre che il derivato complesso abitativo utilizzato non trascenda la categoria catastale delle unità che lo compongono, rilevando a tale fine non il numero delle unità catastali, ma l’effettiva utilizzazione ad abitazione principale dell’immobile complessivamente considerato (anche in caso di immobili catastalmente distinti), ferma restando la spettanza della detrazione prevista dal comma 2 dell’ art. 8 del D.Lgs. n. 504/1992 una sola volta per tutte le unità (Cass., Sez. 5, sent. 29 ottobre 2008, n. 25902; Cass., Sez. 5, sent. 9 dicembre 2009, n. 25729; Cass., Sez. 5, sent. 12 febbraio 2010, n. 3393; Cass., Sez. 6-5, ord. 3 luglio 2014, n. 15198; Cass., Sez. 6-5, ord. 25 giugno 2019, n. 17015; Cass., Sez. 5, ord. 24 luglio 2025, n. 21121).

IMPOSTE INDIRETTE

Registro

Assegnazione di crediti futuri del debitore esecutato – Cass., Sez. trib., Sent. 12 ottobre 2025, n. 27265

In seguito a pignoramento presso terzi, in relazione all’esecuzione di sentenza che riconosceva il risarcimento del danno da incidente stradale, per la cui esecuzione si era dovuto pignorare la pensione del responsabile, si contesta che l’ordinanza di assegnazione fosse equiparabile, ai fini del registro, ai provvedimenti decisori.
L’ordinanza di assegnazione del credito pignorato, emanata a seguito di positiva dichiarazione di terzo, rappresenta, per la sua natura liquidativa e satisfattiva, l’atto finale del procedimento di espropriazione verso terzi, determinante il trasferimento coattivo del credito pignorato dal debitore esecutato al suo creditore, nonché l’atto giurisdizionale conclusivo del processo di espropriazione presso terzi (Cass. 10 gennaio 2025, n. 577; Sez. 5, ord. n. 16 marzo 2021, 7306; Sez. 3, n. 19394 del 2017; Sez. 6-1, n. 11660 del 2016).
L’assegnazione in fase esecutiva di crediti del debitore esecutato, avendo effetto traslativo-cessorio, comporta l’applicazione dell’imposta proporzionale di registro ex art. 8, comma 1, lett. a), della allegata Tariffa, p. I, identificandosi la base imponibile nel credito assegnato e non in quello posto in esecuzione.
In presenza di assegnazione di crediti futuri (nella specie, soddisfatti con l’assegnazione del quinto del trattamento pensionistico), il giudice di merito ha il potere-dovere di calcolare la base imponibile dell’imposta di registro anche considerando fatti sopravvenuti rilevanti per la determinazione dell’imposta dovuta (nella specie, la cessazione del trattamento pensionistico per decesso del debitore esecutato).
Nell’ipotesi di cessione di crediti futuri, l’oggetto dell’imposizione non deve riguardare l’intero credito (originariamente) assegnato, ma solo il credito effettivamente pignorato. Nella specie, si tratta di crediti futuri correlati all’assegnazione di un quinto del trattamento pensionistico, in favore di soggetto che, nelle more del giudizio, è però venuto a mancare. Vi è quindi una somma certa e definibile, quella realmente ottenuta in soddisfazione, che può essere presa a parametro per definire la base imponibile.

IRAP

Soggetti obbligati

Struttura organizzata altrui – Cass., Sez. trib., Ord. 8 ottobre 2025, n. 27056

Un contribuente contesta il rilievo attribuito, ai fini della verifica dell’autonoma organizzazione, non alle sue dotazioni di personale e capitale (sostanzialmente nulle), ma al personale e alle strutture organizzative riferibili alla società committente dei suoi servizi, dalla quale traeva tutti i suoi compensi professionali.
L’esercizio di un’attività professionale in un’organizzazione costituita da una società di cui il professionista è socio (o dipendente) non realizza il presupposto impositivo costituito dall’autonoma organizzazione ai fini IRAP, in quanto, a tali fini, non è sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma è anche necessario che questa struttura sia autonoma, cioè faccia capo al lavoratore stesso, non solo ai fini operativi, ma anche sotto i profili organizzativi; non sono, pertanto, soggetti a IRAP i proventi che un lavoratore autonomo percepisca come compenso per le attività svolte in una struttura da altri organizzata.
Affinché un lavoratore autonomo sia assoggettato a IRAP, è necessario non solo che egli sia inserito in una autonoma organizzazione, ma che egli sia anche titolare di questa organizzazione, e ne sia dunque responsabile (Cass. 16 giugno 2022, n. 19397).
L’esercizio di un’attività professionale nell’organizzazione costituita da una società di cui il professionista è socio (o dipendente) non realizza il presupposto impositivo costituito dall’autonoma organizzazione (Cass. 8 febbraio 2024, n. 3632Cass. 25 luglio 2023, n. 22266Cass. 5 maggio 2023, n. 11924).
Irrilevante è il fatto che il contribuente detenga una quota di partecipazione nel capitale sociale della società di revisione: infatti, in ogni caso, la titolarità e la responsabilità dell’autonoma organizzazione fa comunque capo a un soggetto diverso dal contribuente (Cass 15 marzo 2018, n. 6439; Cass. 2 settembre 2016, n. 17566).

IVA

Detrazione

Il pagamento della fattura non deve essere provato – Cass., Sez. trib., Ord. 11 ottobre 2025, n. 27238

Si discute dell’assolvimento della prova, in ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione, per il riconoscimento del credito IVA risultante dalle scritture contabili, dedotto entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno a quello in cui il diritto è sorto.
Il diritto a detrarre l’IVA non può essere negato se il soggetto passivo che lo fa valere in giudizio dimostra il presupposto sostanziale della cessione di beni o prestazione di servizi e prova il requisito formale, con la pertinente valida fattura di acquisto, annotata nei registri IVA, mentre non è necessario provare il pagamento.
Ferma l’eventuale contestazione sull’artificiosità dell’operazione, abusiva o fraudolenta, non è prevista la dimostrazione anche del pagamento della fattura, circostanza che, se ammessa a condizione per l’esercizio del diritto, assurgerebbe a un terzo requisito per accedere alla detrazione, non previsto dalla normativa e idoneo a incidere sulla neutralità dell’imposta armonizzata.
Quanto al riparto della prova, in caso di contestazione da parte dell’A.F., l’onere della dimostrazione della compresenza delle due condizioni per l’esercizio del diritto alla detrazione non può che ricadere, ex art. 2697 c.c. e per un principio di prossimità della prova, su chi lo fa valere, ossia il soggetto passivo.

PROCESSO TRIBUTARIO

Appello

Novità delle questioni proposte – Cass., Sez. trib., Ord. 22 settembre 2025, n. 25804

Si eccepisce la nullità della sentenza, che avrebbe accolto domande, motivi, questioni ed eccezioni nuove, proposte dal contribuente solo con i motivi d’appello (una nuova ragione di impugnazione della cartella).
E’ palese la novità del motivo d’appello, sviluppatosi lungo la dissertazione delle ragioni delle irregolarità procedimentali che avevano preceduto l’iscrizione a ruolo delle somme pretese, tema di indagine coinvolgente anche vari profili fattuali, che non erano stati posti a base dell’originario ricorso e che costituisce una diversa e autonoma ragione di illegittimità della pretesa fiscale, come tale integrante una nuova domanda.
Non si tratta di una mera difesa e cioè di un apparato argomentativo volto alla semplice contestazione della pretesa, ma dell’allegazione di una specifica forma di invalidità dell’atto tributario, che non è denunciabile in ogni stato e grado del processo e non può, quindi, essere fatta valere per la prima volta in grado appello (Cass. 14 settembre 2021, n. 24669Cass. 9 novembre 2015, n. 22810).
L’attività interpretativa delle norme giuridiche compiuta da un giudice, in quanto consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da un altro giudice né è suscettibile di passare in giudicato autonomamente dalla domanda o dal capo di essa cui si riferiscono, assolvendo a una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione, dovendosi richiamare a tale proposito il distinto modo in cui opera il vincolo determinato dall’efficacia oggettiva del giudicato ex art. 2909 c.c. rispetto a quello imposto, in altri ordinamenti giuridici, dal principio dello “stare decisis” (cioè del precedente giurisprudenziale vincolante), che non trova riconoscimento nell’attuale ordinamento processuale (Cass., Sez. V, 7 aprile 2022, n. 11331Cass., Sez. 5, 21 ottobre 2013, n. 23723Cass., Sez. 5, 15 luglio 2016, n. 14509Cass., Sez. T., 1 giugno 2021, n. 15215Cass., Sez. T., 23 marzo 2023, n. 8417; Cass., Sez. I, 4 gennaio 2024, n. 211; Cass., Sez. T., 5 marzo 2024, n. 5822).

Assistenza

Gratuito patrocinio: legittimazione a contestare gli onorari – Cass., Sez. II, Sent. 16 settembre 2025, n. 25445

Il MEF evidenzia la carenza di legittimazione attiva del patrocinato, dato che l’unico soggetto legittimato a dolersi della misura degli onorari è il difensore.
In tema di patrocinio a spese dello Stato, legittimato a proporre impugnazione contro il provvedimento di rigetto o di accoglimento solo parziale dell’istanza di liquidazione delle spese è esclusivamente il difensore, quale unico titolare del diritto al compenso nei confronti dello Stato, e non anche il patrocinato, su cui non grava alcun obbligo in ordine al pagamento del corrispettivo, giacché l’ammissione al gratuito patrocinio, escludendo la configurazione di un incarico professionale tra i due, determina l’insorgenza di un rapporto che si instaura direttamente tra il difensore e lo Stato (Cass., Sez. 6-2, ord. 27 gennaio 2015, n. 1539; Cass., Sez. 2, ord. 21 febbraio 2023, n. 5318; Cass. 18 giugno 2020, n. 11769; Cass. 23 luglio 2020, n. 15699; Cass., Sez. 6-2, ord. 23 giugno 2020, n. 12320; Cass., Sez. 6-2, ord. 11 settembre 2018, n. 21997).
Il difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato che proponga opposizione avverso il decreto di pagamento dei compensi, contestando l’entità delle somme liquidate, agisce in forza di una propria autonoma legittimazione a tutela di un diritto soggettivo patrimoniale, trattandosi di un giudizio autonomo, avente a oggetto la controversia relativa alla spettanza e alla liquidazione del compenso (Cass., Sez. U, sent. 23 dicembre 2016, n. 26907; Cass., Sez. U, ord. 17 luglio 2023, n. 20501).
La legittimazione dell’interessato, cioè propriamente di chi si vuole avvalere del patrocinio a carico dello Stato o che vi sia stato ammesso, ma il cui beneficio sia stato revocato, è riconoscibile solo con riferimento all’opposizione avverso il decreto di rigetto dell’istanza di ammissione o di revoca del gratuito patrocinio.

RISCOSSIONE

Notifica

Omesso invio di raccomandata informativa – Cass., Sez. trib., Ord. 24 settembre 2025, n. 26069

Si lamenta che la CTR non abbia rilevato che il mancato invio della raccomandata informativa comportasse l’invalidità della notificazione.
Dopo l’introduzione della lett. b-bis) nel primo comma dell’art. 60 del D.P.R. n. 600/1973, in caso di notifica effettuata dal messo a persona diversa dal destinatario, va inviata la successiva raccomandata informativa.
L’art. 60 cit., pur rinviando alla disciplina del codice di procedura civile, richiede, a differenza dell’art. 139, secondo comma, c.p.c., anche ove l’atto sia consegnato nelle mani di persona di famiglia, l’invio della raccomandata informativa, quale adempimento essenziale della notifica che sia eseguita dai messi comunali o dai messi speciali autorizzati dall’Ufficio delle imposte (Cass. 3 febbraio 2017, n. 2868).
La notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente, eseguita dai messi comunali o dai messi speciali autorizzati dall’Ufficio, mediante consegna al portiere, deve essere seguita dalla spedizione della raccomandata informativa semplice, e non con avviso di ricevimento, dato che la lett. b-bis) cit. si riferisce alla sola raccomandata, senza ulteriori specificazioni, trovando giustificazione tale procedura semplificata nella ragionevole aspettativa che l’atto notificato sia effettivamente conosciuto dal destinatario, in quanto consegnato a persone (familiari, addetti alla casa, personale di servizio, portiere, dipendente, addetto alla ricezione) che hanno con lo stesso un rapporto riconosciuto dal legislatore come astrattamente idoneo a tale fine (Cass. 27 gennaio 2022, n. 2377Cass. 2 dicembre 2024, n. 30821).

TRIBUTI LOCALI

ICI/IMU

Il concessionario di aree demaniali è sempre soggetto passivo – Cass., Sez. trib., Sent. 12 ottobre 2025, n. 27267

Si chiede se, ai fini IMU/ICI, in caso di concessione su aree demaniali, il concessionario rimane sempre il soggetto passivo dell’imposta, nonostante la cessione della superficie.
Ai sensi dell’art. 18 della legge n. 388/2000, integrativo del D.Lgs. n. 504/1992, in materia di aree demaniali, la concessione costituisce il presupposto dell’ICI e determina ex lege l’individuazione del concessionario quale unico soggetto passivo d’imposta, senza che assumano rilievo eventuali trasferimenti del godimento a terzi, finché il titolo concessorio non sia revocato o annullato.
L’esistenza della concessione costituisce ex se il presupposto per l’imposizione che, per legge, viene radicato in capo al concessionario, in virtù della sola esistenza della concessione. In assenza di revoca o annullamento della concessione, difatti, la legge prevede che il soggetto su cui grava l’imposta è il concessionario.
L’imposta ricade ex lege sul concessionario, senza possibilità di traslarla su altri soggetti. Il solo fatto dell’esistenza della concessione costituisce il presupposto dell’imposizione: il concessionario diventa soggetto passivo non perché utilizza di fatto l’area, ma perché titolare di un provvedimento amministrativo che gli attribuisce quel diritto di godimento. Per questa ragione, eventuali cessioni della superficie o contratti tra privati non rilevano sul piano tributario, perché non incidono sulla titolarità della concessione. Fino a quando il titolo concessorio non viene revocato o annullato, l’imposta rimane radicata in capo al concessionario, senza possibilità di traslazione.
Nella specie, non rileva la cessione della superficie, dato che il quadro normativo non offre spazi per la traslazione di imposta al di fuori del provvedimento amministrativo concessorio.

IMU

Esenzione per alloggi sociali di IACP – Cass., Sez. trib., Sent. 8 ottobre 2025, n. 27020

Uno IACP deduce che, a fronte della richiesta esenzione IMU, comunicata al Comune con la relativa dichiarazione, il Comune non ha motivato il mancato riconoscimento.
E’ nullo ex art. 7, comma 1, della legge n. 212/2000, l’avviso di accertamento privo di specifica motivazione sul contestuale diniego dell’esenzione IMU prevista per gli alloggi sociali dall’art. 13, comma 2, lett. b), del D.L. n. 201/2011, non rilevando che la dichiarazione dell’ente contribuente (nella specie, uno IACP) per l’anno di riferimento (attraverso la compilazione del modello approvato con D.M. 30 ottobre 2012) si limiti, per ciascun immobile, alla barratura del campo appositamente riservato (con dicitura generica) alle esenzioni (senza possibilità di alcuna specificazione), giacché, per un verso, il contribuente è un ente pubblico abilitato per legge all’esercizio esclusivo di funzioni riguardanti l’edilizia residenziale pubblica, per cui l’opzione contenuta nel modulo ministeriale è univocamente riferibile, in coerenza con la destinazione degli immobili a soddisfare il fabbisogno abitativo delle classi meno abbienti, al regime degli alloggi sociali; per altro verso, l’ente impositore è preposto alla gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e sociale, per cui le informazioni acquisibili in tale veste consentono un agevole monitoraggio delle assegnazioni in locazione a persone svantaggiate nell’ambito del proprio territorio.
L’unica esenzione da IMU che uno IACP può invocare per gli immobili destinati a soddisfare il fabbisogno abitativo delle classi meno abbienti non può che concernere gli alloggi sociali. Allo scopo di ravvisare il requisito oggettivo dell’IMU, occorre, quindi, distinguere gli alloggi sociali dagli altri alloggi, siccome nella nozione di abitazione principale, per la quale è possibile applicare l’esenzione, vanno compresi anche gli immobili che, pur di proprietà dell’ente, sono in sede di locazione destinati e inquadrabili tra gli alloggi sociali, in quanto idonei e volti a soddisfare la stessa finalità pubblica (Cass., Sez. Trib., 8 marzo 2024, n. 6380; Cass., Sez. Trib., 23 maggio 2024, n. 14511 e n. 14515Cass., Sez. Trib., 14 febbraio 2025, n. 3824).

Il contenuto di questa newsletter è strettamente riservato e destinato esclusivamente ai destinatari autorizzati.
È espressamente vietata la condivisione totale o parziale di questa comunicazione su qualsiasi piattaforma pubblica o privata, inclusi (ma non limitati a):
• Gruppi e canali Telegram
• Chat di gruppo o broadcast su WhatsApp
• Post o storie su Facebook, Instagram, X (Twitter), LinkedIn, o altri social network.

Ogni violazione di questa norma potrà comportare l’esclusione immediata dalla lista dei destinatari e, nei casi più gravi, azioni legali.