4° Contenuto riservato: Rassegna di Giurisprudenza 3 ottobre 2025, n. 616

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA

APPALTO

Licenziamento

Licenziamento per cessazione d’appalto ed esclusione della procedura collettiva – Cass., Sez. Lav., ord. 9 settembre 2025, n. 24920

Il Fatto

Un lavoratore, dipendente di una società appaltatrice impugnava il licenziamento per cessazione del contratto di appalto.

In particolare  lamentava l’omessa attivazione della procedura di licenziamento per riduzione di personale (L. n. 223/1991), dal momento che l’impresa subentrante non lo aveva riassunto, nonostante l’accordo di subentro.

La Corte d’Appello accoglieva parzialmente la  domanda, dichiarando l’illegittimità del recesso per la mancata osservanza della procedura collettiva e  la società e il lavoratore ricorrevano per cassazione.

Il Diritto

La corte ricorda che in caso di licenziamento per cessazione dell’appalto, l’esclusione dell’applicazione della procedura di cui all’art. 24 della Legge n. 223/1991, espressamente prevista dall’art. 7, co. 4-bis, del D.L. n. 248/2007 (introdotto dalla legge di conversione n. 31/2008), presuppone la necessaria riassunzione del lavoratore nell’azienda subentrante, a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, o a seguito di accordi collettivi con le predette organizzazioni. Laddove invece il dipendente non riassunto dall’impresa subentrante sia invece uno soltanto – come nel caso di specie – viene meno in radice la possibilità di riespansione della disciplina del licenziamento collettivo, perché la res controversa si riduce ad un solo rapporto di lavoro, mentre quella disciplina presuppone pur sempre che la vicenda sottoposta al sindacato giurisdizionale sia costituita da almeno cinque licenziamenti. In tal caso si tratterà allora di un licenziamento individuale, sottoposto al sindacato giurisdizionale in relazione al giustificato motivo (oggettivo) addotto, da svolgere ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 604/1966.

Poiché i giudici di merito non si sono attenuti a tale principio, la corte accoglie il ricorso.

INPS

Previdenza

Le conseguenze in caso di indebita percezione di prestazione INPS non cumulabili – Cass., Sez. Lav., ord. 15 settembre 2025, n. 25259

Il Fatto

INPS domandava la  ripetizione di  somme versate a titolo di assegno mensile di assistenza, ritenute incumulabili con la rendita INAIL di cui il lavoratore beneficiava.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado accoglieva la domanda e il lavoratore ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La Suprema conferma  che, in tema di prestazioni assistenziali, l’indebito derivante dalla contemporanea fruizione di due prestazioni incompatibili ex lege resta assoggettato alla disciplina generale dell’art. 2033 c.c. L’incompatibilità, infatti, non costituisce un requisito ostativo all’insorgenza del diritto, ma solo un impedimento all’erogazione che comporta la facoltà dell’interessato di optare per il trattamento economico più favorevole, con irrilevanza della buona fede del percipiente.

La Corte pertanto rigetta il ricorso.

LAVORO SUBORDINATO

Accertamento

La conseguenze in caso di illegittimo utilizzo del contratto di somministrazione – Cass., Sez. Lav., ord. 16 settembre 2025, n. 25339

Il Fatto

Un lavoratore adiva in giudizio per ottenere l’accertamento  di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della società utilizzatrice, che lo aveva impiegato tramite un contratto di somministrazione a tempo indeterminato.

Il Tribunale e la Corte d’Appello accoglievano la domanda, ritenendo illegittimo il ricorso alla somministrazione, accertando l’insussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 20, comma 3, lett. i) del D.Lgs. n. 276/2003, poiché l’accordo aziendale che lo prevedeva era stato stipulato dalla RSU anziché dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative come richiesto dalla norma.

La società utilizzatrice ricorreva  per Cassazione.

Il Diritto

La corte ha chiarito che in caso di somministrazione a tempo indeterminato disposta fuori dai limiti, si applica l’art. 27 del D.Lgs. n. 276/2003. Tale norma stabilisce la costituzione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore sin dall’inizio e il risarcimento del danno secondo i criteri della mora accipiendi, escludendo la disciplina derogatoria della forfettizzazione.

La corte pertanto  rigetta il ricorso.

LICENZIAMENTO

Pensione

Il licenziamento per raggiungimento dei requisiti pensionistici e la facoltà  del lavoratore di prosecuzione del rapporto – Cass., Sez. Lav., ord. 9 settembre 2025, n. 24917

Il Fatto

Un lavoratore (G.S.), dipendente di una società di trasporti pubblici e soggetto a tutela reale (ex art. 18 St. Lav.), comunicava alla datrice di lavoro, al compimento dei 62 anni, la propria intenzione di proseguire il rapporto di lavoro al fine di incrementare la posizione contributiva. L’Azienda, ritenendolo in possesso dei requisiti per il pensionamento anticipato previsti per il personale viaggiante (personale addetto ai pubblici servizi di trasporto), lo collocava in quiescenza d’ufficio

Il lavoratore impugnava tale decisione e il Tribunale e la Corte d’Appello accoglievano la domanda ritenendo che il datore di lavoro non fosse libero di risolvere il rapporto in presenza di una formale e tempestiva comunicazione di volontà di prosecuzione del lavoratore.

La società ricorreva in Cassazione.

Il Diritto

la corte conferma che la libera recedibilità ad nutum da parte del datore di lavoro opera solo al conseguimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia ordinaria, e non in presenza dei soli requisiti per il pensionamento anticipato, come quelli previsti nel caso di specie. Il lavoratore in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia anticipata ha la facoltà di esercitare l’opzione per la prosecuzione del rapporto ai sensi dell’art. 6, D.L. n. 791/1981, convertito in Legge n. 54/1982. Tale facoltà, esercitata unilateralmente dal lavoratore, è indipendente dal consenso del datore di lavoro, al fine di incrementare l’anzianità contributiva fino al limite massimo. L’efficacia della tutela reale (art. 18 St. Lav.), pertanto, si estende fino al raggiungimento del limite massimo di flessibilità pensionistica solo se il lavoratore ha optato per la prosecuzione. Avendo il lavoratore tempestivamente comunicato tale volontà, il licenziamento ad nutum intimato dall’Azienda è stato correttamente ritenuto illegittimo.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

Sequestro preventivo

La disciplina speciale del recesso del rapporto di lavoro in caso di sequestro preventivo – Cass., Sez. Lav., sent. 12 settembre 2025, n. 25118

Il Fatto

Un lavoratore impugnava il licenziamento intimatogli dall’Amministratore Giudiziario di una società attinta da sequestro preventivo ai sensi del Codice delle leggi antimafia (D.Lgs. n. 159/2011).

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettavano l’impugnativa, ritenendo applicabile la disciplina speciale di cui all’art. 56 del D.Lgs. n. 159/2011.

 Il lavoratore ricorreva per Cassazione lamentando, tra i vari motivi, la violazione del termine di sei mesi fissato dall’art. 56 per l’esercizio della facoltà di recesso da parte dell’Amministratore Giudiziario, l’insufficiente specificazione dei motivi del recesso e l’illegittimità del licenziamento per violazione dell’art. 2112 c.c. (cessione di azienda) e dell’obbligo di repechage.

Il Diritto

La corte ricorda il  il carattere speciale e la finalità di ordine pubblico della normativa di cui al D.Lgs. n. 159/2011, che trova applicazione anche ai rapporti di lavoro.

La Corte ribadisce che il termine di sei mesi dall’immissione nel possesso, entro il quale l’Amministratore Giudiziario deve dichiarare se intende subentrare o risolvere il contratto (art. 56, comma 1), ha valore meramente acceleratorio e non è un termine di decadenza. Inoltre, il recesso disposto dall’Amministratore Giudiziario, previa autorizzazione del giudice, non ha natura disciplinare e la necessità di specificare i motivi si ritiene soddisfatta dal richiamo alla procedura di amministrazione giudiziaria e all’art. 56.

Infine la corte osserva che l’art. 56, in quanto disposizione speciale, prevale sulla normativa ordinaria, escludendo l’applicabilità delle regole sul licenziamento (es. obbligo di repechage) e derogando all’art. 2112 c.c. in materia di trasferimento d’azienda.

La Corte di cassazione pertanto rigetta il ricorso.

PREVIDENZA

Contribuzione

La rivalutazione dei redditi pensionabili e il rapporto con l’effettiva contribuzione versata – Cass., Sez. Lav., sent. 9 settembre 2025, n. 24927

Il Fatto

Un professionista  conveniva in giudizio la propria cassa previdenziale per ottenere la riliquidazione della pensione di vecchiaia.

La Corte d’Appello accoglieva la richiesta del professionista, stabilendo che la rivalutazione decorresse dal 1980 ai fini del calcolo della pensione, ma escludeva l’obbligo di versare i maggiori contributi correlati a tale rivalutazione.

La Cassa Forense ricorreva per Cassazione.

Il Diritto

La corte rileva che la rivalutazione non è una componente neutra, ma parte integrante del reddito su cui si modula l’obbligazione contributiva. Di conseguenza, aver versato contributi basati su un reddito rivalutato in misura inferiore configura una violazione parziale dell’obbligazione contributiva.

La corte evidenzia il principio secondo cui la pensione di vecchiaia, ai sensi dell’art. 2 Legge n. 576/80, si commisura alla “effettiva contribuzione” versata, non vigendo nel sistema forense l’automatismo della prestazione pensionistica. Pertanto, il reddito da prendere a base per il calcolo della pensione è solo quello coperto da contribuzione effettivamente versata.

RETRIBUZIONE

Ferie

Il principio di inclusione delle indennità nel calcolo delle ferie – Cass., Sez. Lav., sent. 12 settembre 2025, n. 25120

Il Fatto

Un lavoratore adiva il Tribunale per ottenere differenze retributive, sostenendo che alcune voci economiche versate a titolo di indennità per l’attività svolta  dovessero essere incluse nella base di calcolo per l’indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi compensativi, nonché sul trattamento di fine rapporto (TFR).

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado rigettava la domanda, ritenendo che la Direttiva 2003/88/CE sulla nozione europea di “ferie retribuite” non si applicasse alla gente di mare (disciplinata dalla Direttiva 1999/63/CE) e che la contrattazione collettiva escludesse tali indennità dalla base di calcolo per gli istituti indiretti.

Il lavoratore proponeva ricorso per cassazione.

Il Diritto

La corte, pur riconoscendo che la Direttiva 2003/88/CE non si applica direttamente alla gente di mare, il cui orario è regolato dalla Direttiva 1999/63/CE (attuata dal D.Lgs. n. 108/2005) , ribadisce che la nozione di “ferie annuali retribuite” contenuta nella specifica Direttiva 1999/63/ è sostanzialmente identica a quella della Direttiva 2003/88/CE. Pertanto, anche per la gente di mare deve operare la nozione europea di retribuzione feriale, che impone di riconoscere un compenso che garantisca condizioni economiche paragonabili a quelle godute durante l’attività lavorativa. Ciò in ossequio al principio secondo cui una riduzione della retribuzione è idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie.

La corte pertanto accoglie il ricorso.

La retribuzione dovuta durante le ferie – Cass., Sez. Lav., ord. 17 settembre 2025, n. 25528

Il Fatto

Un lavoratore adiva il Tribunale per ottenere l’accertamento del diritto a percepire l’indennità di turno giornaliera anche durante le giornate di ferie.

Il Tribunale e la Corte d’Appello  accoglievano la domanda del lavoratore. In particolare, la Corte territoriale riteneva l’indennità di turno assimilabile a quelle “integrazioni collegate alle qualifiche professionali” che la giurisprudenza europea impone di computare nella base di calcolo per la retribuzione del periodo di ferie

Il datore di lavoro ricorre a per cassazione

Il Diritto

La corte ribadisce che la nozione di  retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie annuali è fortemente influenzata dall’interpretazione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE). Ai sensi dell’art. 7, n. 1, della Direttiva 2003/88/CE (recepita in Italia con il D.Lgs. n. 66/2003), la retribuzione dovuta durante le ferie deve comprendere qualsiasi importo pecuniario che si ponga in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore. La Corte ribadisce che la diminuzione della retribuzione durante le ferie è contrastante con il diritto dell’Unione in quanto idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie. L’indennità di turno, infatti, costituisce il compenso per la specifica  penosità dello svolgimento delle mansioni su turni avvicendati, ed è dunque un elemento retributivo collegato all’esecuzione delle mansioni.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

INPS

L’obbligo contributivo INPS in caso di prestazione continuativa del lavoratore – Cass., Sez. Lav., ord. 11 settembre 2025, n. 25010

Il Fatto

Una società sportiva dilettantistica proponeva opposizione contro un avviso di addebito INPS per contributi omessi in relazione a tre collaboratori istruttori sportivi.

La Corte d’Appello di Roma, in riforma del primo grado, rigettava l’opposizione, ritenendo che i tre soggetti svolgessero la loro attività in modo abituale e professionale, e quindi escludendo l’applicabilità del regime fiscale agevolato previsto per i “redditi diversi” dall’art. 67, co. 1 D.P.R. n. 917/86.

La società ricorreva per Cassazione.

Il Diritto

La corte ribadisce il principio secondo cui l’art. 67, comma 1, lett. m) D.P.R. n. 917/1986 non annovera tra i redditi diversi le somme percepite da coloro che svolgano professionalmente le attività da cui le somme derivano. I compensi corrisposti ai collaboratori non possono, quindi, essere qualificati come “redditi diversi” per il solo fatto di essere percepiti nell’esercizio di attività sportive dilettantistiche. Inoltre, la Corte ha confermato l’accertamento di fatto della Corte d’Appello in ordine al carattere professionale dell’attività, fondato su elementi quali lo svolgimento continuativo per vari anni, il possesso di titoli professionali e la percezione di corrispettivi non simbolici.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

Mansioni

La valutazione giudiziale dello svolgimento di mansioni superiori – Cass., Sez. Lav., ord. 11 settembre 2025, n. 25051

Il Fatto

Un lavoratore del pubblico impiego  adiva il Tribunale di Roma per ottenere l’accertamento del diritto al superiore inquadramento rispetto alla sua qualifica formale con le conseguenti differenze retributive.

Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettavano la domanda, negando il risarcimento del danno psicofisico in virtù della carenza di allegazione e prova del danno.

Il lavoratore ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte ribadisce che l’applicazione di un contratto collettivo di diritto privato ad un rapporto di lavoro con un ente pubblico non economico non comporta il fuoriuscire dalla disciplina del lavoro pubblico privatizzato (D.Lgs. n. 165/2001), facendo salve le regole generali.

La corte poi rileva che i giudici di merito avevano correttamente applicato il giudizio trifasico di inquadramento e avevano motivato in maniera conforme, ritenendo che le mansioni svolte dal ricorrente non eccedessero il contenuto professionale della qualifica posseduta.

La Corte pertanto rigetta il ricorso.

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