4° Contenuto riservato: Rassegna di Giurisprudenza 4 luglio 2025, n. 605

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA

A CURA DI BENEDETTA CARGNEL | 4 LUGLIO 2025

CESSIONE RAMO D’AZIENDA

Illegittimità

L’illegittima cessione del ramo di azienda non autonomo – Cass., Sez. Lav., sent. 10 giugno 2025, n. 15511

Il Fatto

Alcuni lavoratori adivano il Tribunale per far dichiarare l’inefficacia della cessione del ramo di azienda cui erano addetti.

Il Tribunale e la Corte d’Appello accoglievano la domanda e il datore di lavoro ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte ribadisce che ai fini del trasferimento di ramo d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall’art. 32 D.Lgs. n. 276/2003, rappresenta elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere -autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione.

Poiché i giudici di merito hanno fatto buon governo di tale principio, al corte rigetta il ricorso.

DIRIGENTI

Licenziamento

Il principio di proporzionalità del licenziamento disciplinare – Cass., Sez. Lav., ord. 9 giugno 2025, n. 15327

Il Fatto

Un dirigente impugnava il licenziamento intimato.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l’ingiustificatezza del licenziamento e il datore di lavoro ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte ricorda che il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto al giudice di merito; la valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità, implicante inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia, è ora sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

INPS

Naspi

I requisiti per l’accesso alla Naspi – Cass., Sez. Lav., sent. 12 giugno 2025, n. 15714

Il Fatto

Un Lavoratore aveva al Tribunale per ottenere il diritto alla prestazione della naspi da parte di INPS.

Il Tribunale e la Corte d’Appello accogliamo la domanda allevando Che i requisito previsto delle 30 giornate di lavoro effettivo sussistesse anche in assenza di effettiva prestazione lavorativa poiché dovuta a una causa legittima di sospensione del rapporto, con conseguenti obblighi retributivi e contributivi.

INPS ricorreva per Cassazione.

Il Diritto

La corte ribadisce  che il requisito delle trenta giornate di lavoro effettivo nei dodici mesi precedenti l’inizio della disoccupazione è integrato anche in presenza di giornate di ferie e/o di riposo retribuito, le quali, costituendo pause periodiche della prestazione lavorativa finalizzate al recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore, rappresentano momenti necessariamente connaturati al normale svolgimento del rapporto di lavoro e indisgiungibili dall’effettiva e concreta esecuzione delle mansioni.

Poiché i giudici di merito si sono attenuti a tale principio, la corte rigetta il ricorso.

Pensione

Il requisito della vivenza a carico per l’ottenimento della reversibilità – Cass., Sez. Lav., ord. 9 giugno 2025, n. 15288

Il Fatto

Il figlio, invalido e convivente a carico di un pensionato, chiedeva alla sua morte la pensione di reversibilità.

INPS negava la prestazione e dunque veniva instaurato un processo giudiziale nel quale sia il Tribunale sia la Corte d’Appello negavano il diritto alla prestazione.

Veniva quindi proposto ricorso per cassazione.

Il Diritto

La corte ricorda che il requisito della “vivenza a carico”, se non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza né con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, va considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al mantenimento del figlio inabile.

Poiché i giudici di merito si sono attenuti  a tale principio, la corte rigetta il ricorso.

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO

Congedo

La decorrenza del termine del licenziamento – Cass., Sez. Lav., sent. 10 giugno 2025, n. 15513

Il Fatto

Un lavoratore, dopo aver ricevuto la comunicazione preventiva di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, formulava domanda di congedo biennale per assistere il congiunto. INPS rigettava la domanda, rilevando che il datore di lavoro aveva già formalizzato il licenziamento, nelle more del tentativo di conciliazione, rinviato su richiesta del lavoratore.

Il lavoratore adiva quindi il Tribunale per ottenere l’accertamento che la data del licenziamneto fosse successiva alla sua domanda amministrativa e dunque l’accertamento che al momento della presentazione della domanda di congedo era ancora dipendente della società; la condanna dell’INPS al riconoscimento del congedo richiesto e al pagamento dell’indennità, con anticipazione a carico della società datrice di lavoro; la declaratoria di temporanea inefficacia del licenziamento fino alla scadenza del congedo o, in subordine, la condanna della società al risarcimento dei danni; la declaratoria di illegittimità del licenziamento per violazione del repechage e la condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro.

Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettavano la domanda e il lavoratore ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte osserva che occorre altresì considerare l’art. 1, comma 40, Legge n. 92/2012, norma con cui il legislatore ha novellato l’art. 7 Legge n. 604/1966 ha espressamente previsto che “Se fallisce il tentativo di conciliazione … il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore”. Il legislatore ha dunque previsto che gli atti unilaterali del datore di lavoro siano due: il primo è destinato a comunicare l’intenzione di licenziare e ad avviare il procedimento conciliativo; il secondo è invece destinato ad estinguere il rapporto di lavoro. Ai fini del completamento della fattispecie estintiva, dunque, anche il secondo è un atto necessario per produrre l’effetto estintivo del rapporto di lavoro. Ed è quindi  pur sempre la data di tale ultimo atto rappresentare il dies a quo di decorrenza del termine di decadenza per la sua impugnazione.

La corte rileva poi che i giudici di merito hanno omesso di valutare che il diritto alla conservazione del posto di lavoro del dipendente collocato in congedo straordinario ex art. 42, comma 5, D.Lgs. n. 151/2001, per la necessità di prestare assistenza ad un congiunto in situazione di disabilità grave, pone un divieto di licenziamento fondato sulla fruizione del congedo medesimo ed è finalizzato a garantire al lavoratore la certezza di un trattamento economico e di sostegno per il periodo di assistenza, analogamente a quanto avviene per la malattia.

La corte pertanto, nell’accogliere il ricorso, enuncia il seguente principio di diritto: l’art. 1, comma 41, Legge n. 92/2012 va interpretato in modo sistematico con l’art. 1, comma 40 , Legge n. 92 cit. e quindi con l’art. 7 Legge n. 604/1966, sicché la fattispecie estintiva del rapporto di lavoro subordinato mediante licenziamento per giustificato motivo oggettivo è una fattispecie complessa strutturata in tre fasi; l’art. 1, comma 41, Legge n. 92/2012 è norma derogabile in melius, ossia in favore del lavoratore subordinato, quanto all’individuazione del momento di produzione dell’effetto estintivo del rapporto di lavoro mediante licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Tale norma va interpretata nel senso per cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo assume rilevanza giuridica sin dal momento di avvio del procedimento conciliativo, ma il lavoratore conserva il diritto al preavviso, sicché se il preavviso è stato dato – nel primo atto di avvio della fattispecie complessa o nell’atto finale di licenziamento – l’effetto estintivo si verifica al compimento del relativo periodo, sia pure calcolato a decorrere dal primo atto della fattispecie complessa; se invece non è stato dato il lavoratore avrà diritto alla relativa indennità sostitutiva, calcolata in misura diversa a seconda che il rapporto di lavoro sia stato interrotto oppure no al momento di avvio del procedimento conciliativo”.

MALATTIA

Accertamento

Il nesso di causalità per l’accertamento della malattia professionale – Cass., Sez. Lav., ord. 10 giugno 2025, n. 15508

Il Fatto

Gli eredi di un lavoratore adivano il Tribunale chiedendo la domanda del datore di lavoro al risarcimento del danno causato dalla malattia professionale del lavoratore.

Il Tribunale e la corte di  appello accoglievano la domanda e il datore di lavoro ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte ricorda che in tema di nesso causale, pur applicati nella verifica dello stesso tra la condotta illecita ed il danno i criteri posti dagli artt. 40 e 41 c.p., resta fermo il diverso regime probatorio tra il processo penale, ove vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”, e quello civile, in cui opera la regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”.

La corte poi rileva che in tema di infortuni sul lavoro, quando un danno di cui si chiede il risarcimento è determinato da più soggetti, ciascuno dei quali con la propria condotta ha contribuito alla produzione dell’evento dannoso, si configura una responsabilità solidale ai sensi dell’art. 1294 c.c. fra tutti costoro, qualunque sia il titolo per il quale ciascuno di essi è chiamato a rispondere, dal momento che, sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, se un unico evento dannoso è ricollegabile eziologicamente a più persone, è sufficiente, ai fini della responsabilità solidale, che tutte le singole azioni od omissioni abbiano concorso in modo efficiente a produrlo, alla luce dei principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dei danni.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

MANSIONI

Inquadramento

Il risarcimento del danno da demansionamento – Cass., Sez. Lav., ord. 13 giugno 2025, n. 15821

Il Fatto

Un lavoratore adiva il Tribunale per ottenere l’accertamento del diritto all’inquadramento nella categoria dirigenziale, nonché della dequalificazione e del demansionamento patiti e la conseguente condanna del datore di lavoro al pagamento di differenze retributive, risarcimento del danno professionale e del danno non patrimoniale.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva parzialmente al domanda e entrambe le parti ricorrevano per cassazione.

Il Diritto

La corte rileva che l’impoverimento della capacità professionale è una componente patrimoniale del pregiudizio da demansionamento ulteriore rispetto alla perdita di chance.  L’esame e la cognizione di tale componente richiede in ogni caso specifiche allegazioni relative alla incidenza di quel pregiudizio sulla capacità reddituale del danneggiato che nel caso di specie non sono state fornite.

La corte accoglie invece la doglianza in tema alla mancata estensione del contradditorio con la chiamata in causa del fondo previdenziale complementare sulla scorta per cui i fondi speciali per l’assistenza e la previdenza costituiti nell’ambito della previsione dell’art. 2117 c.c. con la contribuzione sia del datore di lavoro che dei lavoratori, ove non abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica, sono assoggettati alla disciplina comune dettata per le associazioni non riconosciute. Sono quindi soggetti giuridici, ancorché privi di personalità, che costituiscono centri di imputazione di rapporti giuridici con altri soggetti dell’ordinamento, compreso tra loro il datore di lavoro che assume l’obbligo di contribuzione, e sono retti da statuti, aventi natura negoziale, la cui interpretazione è riservata al giudice del merito.

La corte pertanto accoglie il ricorso sul punto.

PUBBLICO IMPIEGO

Sanzione disciplinare

Il principio di tempestività della sanzione disciplinare – Cass., Sez. Lav., ord. 9 giugno 2025, n. 15292

Il Fatto

Un lavoratore impugnava la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per 60 giorni irrogata.

Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettavano la domanda, ritenendo tempestiva la sanzione.

Il lavoratore ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte ricorda che in tema di pubblico impiego contrattualizzato, ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare dall’acquisizione della notizia dell’infrazione (ex art. 55-bis, comma 4, del D.Lgs. n. 165 del 2001), assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale acquisizione, da parte dell’Ufficio competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell’addebito, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione; con la precisazione che ciò vale anche nell’ipotesi in cui il procedimento predetto abbia ad oggetto, in tutto o in parte, com’è nella specie, fatti sui quali è in corso un procedimento penale, per i quali sarebbe ammessa la sospensione del procedimento disciplinare.

Poiché i giudici si sono attenuti a tale principio, la corte rigetta il ricorso.

RETRIBUZIONE

Orario di lavoro

Il pagamento delle ore di reperibilità – Cass., Sez. Lav., ord. 11 giugno 2025, n. 15558

Il Fatto

Alcuni lavoratori adivano il Tribunale per far riconoscere il diritto alla remunerazione, anche per il futuro, come lavoro straordinario delle ore di pronta disponibilità eccedenti l’orario normale di lavoro, comprensivo anche delle ore di assenza per ferie e per malattia.

Il Tribunale e la Corte d’Appello accoglievano la domanda e il datore di lavoro ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte ricorda che il tempo del lavoratore è lavoro o è riposo e le due nozioni di orario di lavoro e periodo di riposo si escludono a vicenda. Su tale scorta, non costituisce “orario di lavoro” il tempo in cui il lavoratore può liberamente dedicarsi alla cura dei propri interessi personali e sociali, il servizio di pronta disponibilità prestato dal dirigente medico in giorno festivo, ai sensi dell’art. 20 del c.c.n.l. del 5 dicembre 1996 e dell’art. 17 del c.c.n.l. del 3 novembre 2005, obbliga l’azienda sanitaria alla concessione del riposo compensativo, indipendentemente dalla domanda del lavoratore, là dove limiti in modo oggettivo la possibilità del dirigente medico di dedicarsi ai propri interessi personali e sociali, in relazione al vincolo derivante, da un punto di vista geografico e temporale, dalla disciplina aziendale sull’obbligo di essere fisicamente presente nel luogo di lavoro.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

SICUREZZA SUL LAVORO

Responsabilità del datore

L’individuazione del datore di lavoro responsabile in caso di infortunio sul lavoro – Cass., Sez. Lav., sent. 16 giugno 2025, n. 22584

Il Fatto

Un datore di lavoro veniva rinviato a giudizio a  seguito di un infortunio sul lavoro.

Il Tribunale lo assolveva, ritenendo che il datore di lavoro formale, in quanto presidente del consiglio di amministrazione aveva dato delega  gestoria in materia di sicurezza sul lavoro ad altri soggetti.

Il Pubblico ministero ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte osserva che in virtù della modifica operata dal D.Lgs. n. 242 del 1996, nelle aziende di grandi dimensioni è frequente il caso in cui il soggetto dotato della legale rappresentanza non coincide con quello in grado di esercitare l’effettivo potere di organizzazione dell’azienda e del lavoro dei dipendenti ed è a quest’ultimo che dovranno attribuirsi le connesse responsabilità prevenzionali.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

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