2° Contenuto riservato: Le tante sfumature del recesso nell’ambito del CPB

GUIDA

DI SANDRA PENNACINI | 3 LUGLIO 2025


La recente circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 9/E del 24 giugno 2025 in materia di concordato preventivo biennale ha, in più parti, trattato il caso e le conseguenze del recesso del socio. Da un lato, viene confermata la prevedibile irrilevanza della differenza da recesso quale variabile che consente di rettificare il reddito concordato. Dall’altro lato, viene meglio precisata la portata della causa di cessazione conseguente all’aumento del numero dei soci, che potrebbe verificarsi quasi “inconsapevolmente”, e in via temporanea, proprio in ragione di un recesso.

Premessa

La circolare AdE 9/E/2025 ha fornito un quadro di insieme del concordato preventivo biennale, fornendo altresì qualche spunto di riflessione. Di seguito vengono analizzate due criticità relative al recesso del socio nelle società di persone: l’irrilevanza della “differenza da recesso” ai fini della rettifica del reddito concordato e la causa di cessazione legata all’aumento, anche temporaneo, della compagine sociale, illustrando con un’esemplificazione pratica come il mancato coordinamento tra le tempistiche del preavviso di recesso e l’ingresso di un nuovo socio possa determinare l’immediata cessazione del patto con il Fisco.

La differenza da recesso non è una variabile non concordabile.

Un primo punto da chiarire dinanzi ad un recesso che interviene in un esercizio con riferimento al quale il contribuente ha espresso adesione al concordato è quello del corretto trattamento della “differenza da recesso”. Questa componente, come chiarito dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate, rappresenta il riconoscimento del maggior valore economico del complesso aziendale (inclusi l’avviamento e gli utili in corso di formazione) al momento dello scioglimento del rapporto con il socio.

Per le società di persone, la differenza da recesso costituisce un componente negativo deducibile dal reddito della società, finalizzato ad evitare una doppia imposizione.

Ebbene, quanto sopra, seppure abbia tutte le caratteristiche di “straordinarietà”, non consente alla società di rettificare in diminuzione il reddito concordato tenuto conto della differenza da recesso. Quanto sopra poiché la norma di riferimento, ovvero l’art. 16 del D.Lgs. n. 13/2024, Decreto “concordato”, enumera in modo tassativo le componenti (plusvalenze, minusvalenze, sopravvenienze, etc.) il cui saldo netto può modificare il reddito concordato.

Poiché la “differenza da recesso” non è riconducibile ad alcuna delle voci previste dalla norma, il suo ammontare non può in alcun modo ridurre il reddito concordato.

In sintesi, si tratta di un costo che, pur essendo civilisticamente e fiscalmente rilevante nella gestione ordinaria, viene completamente neutralizzato in costanza di patto biennale con il Fisco.

L’aumento dei soci e la causa di cessazione del CPB. Attenzione alle tempistiche del recesso

Il recesso di un socio può rappresentare una vera e propria criticità nell’ambito del CPB, se non correttamente gestito.

Per comprendere la problematica è bene ricordare che il D.Lgs. n. 13/2024 prevede che gli effetti del concordato cessino – per le società di cui all’art. 5 del TUIR – laddove si verifichino modifiche della compagine sociale che ne aumentano il numero dei soci o degli associati, fatto salvo il caso del decesso del socio cui subentrino più eredi.

La circolare n. 9/E del 24 giugno 2025, sul punto, fornisce un ulteriore grado di dettaglio precisando che (a parere dell’Agenzia) “L’eventuale modifica che comporti un aumento del numero dei soci o associati rileva anche se l’incremento degli stessi intervenga in corso d’anno sebbene al termine del periodo d’imposta, per effetto di successivi recessi o esclusioni, il numero dei soci o associati coincida con quello al 31 dicembre dell’anno precedente”.

Ne consegue che, al fine di evitare la cessazione del CPB, il monitoraggio del numero dei soci deve essere effettuato in via continuativa, e non limitatamente alla situazione alla chiusura dell’esercizio.

Venendo ora al caso del recesso, occorre ricordare che l’art. 2285 del Codice civile prevede che il recesso deve essere comunicato con un preavviso di almeno tre mesi. Ciò significa che dal momento in cui viene manifestata la volontà di recedere – e quindi, presumibilmente, non si presta più attività a favore della società – fino al momento in cui il recesso viene consolidato (comportando quindi una diminuzione dei soci), trascorre un lasso di tempo pari, come si è detto, almeno a tre mesi.

Quanto sopra potrebbe dar luogo ad un aumento dei soci nelle more dei tempi di recesso.

Un esempio pratico può contribuire a chiarire il concetto: ipotizziamo il caso di una società in nome collettivo (SNC) composta dai soci lavoratori Tizio e Caio. Tale società aderisce al CPB per il biennio 2025-2026.
In data 1° luglio 2025, il socio Caio comunica la sua volontà di recedere dalla società. Ai sensi dell’art. 2285 c.c., con il richiesto preavviso di tre mesi.
Tizio, per garantire la continuità operativa, si vede costretto a trovare immediatamente un nuovo socio lavoratore, Sempronio, che fa il suo ingresso in società il 15 luglio 2025.
Dal 15 luglio al 30 settembre 2025 (scadenza del preavviso di recesso di Caio), la compagine sociale non è più composta da due persone, ma da tre: Tizio, Caio (che è ancora socio a tutti gli effetti) e Sempronio.
Quindi, sebbene dal 1° ottobre 2025 i soci torneranno a essere due (Tizio e Sempronio), per un periodo intermedio i soci sono aumentati, e quindi si realizza la causa di cessazione del CPB.

Per quanto sovra esposto, è necessario, al fine di mantenere la validità del CPB, prestare la massima attenzione ai vari passaggi, tenendo anche in conto le variabili temporali e, in particolar modo, ricordando che il recesso non ha effetto immediato.

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