COMMENTO
A CURA DI STUDIO TRIBUTARIO GAVIOLI & ASSOCIATI | 4 LUGLIO 2025
La specificità della contestazione disciplinare non viene meno se, nella lettera di contestazione degli addebiti, non è menzionato il numero dell’articolo del contratto collettivo ma sono chiaramente descritti i comportamenti di insubordinazione e oltraggio; per la Cassazione, Ordinanza n. 16925/2025 , può essere licenziato per giusta causa chi, in modo aggressivo e oltraggioso, manda a quel paese o prende a parolacce il proprio superiore.
Premessa
La Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 16925 del 24 giugno 2025 , ha respinto il ricorso contro il licenziamento di un ex dipendente che era stato allontanato perché aveva offeso pesantemente il proprio superiore.
Il contenzioso del lavoro
La Corte di Appello rigettava il reclamo proposto da ex dipendente contro la sentenza del Tribunale che aveva rigettato il ricorso con il quale aveva impugnato il licenziamento per giusta causa intimatogli con lettera dell’aprile 2017.
La Corte territoriale evidenziava che il lavoratore ricorrente aveva, alla presenza di colleghi, mandato il suo superiore a quel paese e lo aveva preso anche a parolacce avvicinandosi con atteggiamento minaccioso a pochi centimetri dal viso dello stesso. Avverso la sentenza sfavorevole l’ex dipendente è ricorso in Cassazione.
In particolare il dipendente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2119, 2104 e 2105 c.c., dell’art. 220 (e 225) del C.C.N.L. del terziario e degli artt. 1362 ss. c.c., per aver erroneamente valutato le violazioni, contestate al lavoratore in riferimento a fatti gravi e perciò idonei a giustificare il licenziamento.
Contesta, inoltre la violazione o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., degli artt. 220 e 225 del C.C.N.L. del terziario e degli artt. 1362 c.c., per aver erroneamente dato rilevanza, ai fini della valutazione di “gravità” di un fatto avvenuto nell’aprile del 2017, ai due precedenti comportamenti del lavoratore non contestati dal datore di lavoro.
L’analisi della Cassazione
Osservano i giudici di legittimità che la Corte territoriale con riferimento alle diverse espressioni volgari ed irrispettose, utilizzate dal lavoratore nei confronti del superiore gerarchico in rapporto alle previsioni di cui agli artt. 220, 225 e 229 del CCNL, aveva correttamente affermato “secondo diversa angolazione prospettica, che l’atteggiamento fisico e verbale assunto dal reclamante nei confronti del proprio superiore appare del tutto distonico, per modi e contenuti, al principio di continenza sostanziale e formale cui è tenuto il lavoratore in ossequio al dovere di diligenza: essendo noto che, anche l’esercizio da parte del lavoratore del diritto di critica nei confronti del datore di lavoro, con modalità tali che, superando i limiti della continenza sostanziale (nel senso di corrispondenza dei fatti alla verità, sia pure non assoluta ma soggettiva) e formale (nel senso di misura nell’esposizione dei fatti), si traducano in una condotta lesiva del decorso dell’impresa datoriale, è comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro, integrando la violazione del dovere scaturente dall’art. 2105 cod. civ. e può costituire giusta causa di licenziamento (cfr. Cass. 18 settembre 2013, n. 21362, richiamata da n. 19092 del 18 luglio 2018)“.
Il dipendente nell’addebitare alla Corte d’Appello di aver mancato di verificare “se la condotta contestata sia o meno contemplata dalle norme di contratto collettivo come sanzionabile con il licenziamento o con una misura conservativa”, richiama il contenuto di un precedente orientamento (Cass., sez. lav., 11 aprile 2022, n. 11665).
Osserva la Cassazione, tuttavia, che quest’ultima decisione ha affermato che, in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dalla Legge 20 maggio 1970, n. 300 , art. 18 , commi 4 e 5, come novellato dalla Legge 28 giugno 2012, n. 92, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove sia espressa attraverso clausole generali ed elastiche. Tale operazione di interpretazione aumento nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando tale operazione di interpretazione nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo. E i medesimi principi di diritto sono stati confermati anche di recente in una serie di decisioni della giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. n. 13065/2022; n. 20780/2022; n. 12745/2022 , n. 13063/2022; n. 10435/2023).
Il ricorrente osserva che, con riferimento ai comportamenti contestati al dipendente l’art. 225 del contratto, prevede:
- la sanzione della multa per chi “esegua con negligenza il lavoro affidatogli“;
- la sanzione della sospensione per chi “arrechi danno alle cose ricevute in dotazione ed uso, con dimostrata responsabilità” (quindi il non corretto utilizzo della scala oggetto di contestazione da parte del dipendente ricorrente, sarebbe stato punibile con la sospensione, peraltro qualora ci fosse stato un “danno” e fosse stata dimostrata una “responsabilità).
Ebbene, la Corte territoriale non ha constatato che al lavoratore fosse stato ascritto (anche) il “non corretto utilizzo della scala”, mentre ha ritenuto contestati e provati ben diversi comportamenti del lavoratore, alieni sia da una mera “negligenza” nell’espletamento dei suoi compiti che al procurare “danno alle cose ricevute in dotazione ed uso”.
Quindi, anche ammettendo che le ipotesi punite con sanzione conservativa, che richiama il ricorrente, integrino delle clausole generali ed elastiche, esse all’evidenza non possono presentare punti di contatto con quanto ritenuto commesso in modo grave dal lavoratore.
In sostanza, osserva la Cassazione, non è consentita la prosecuzione del rapporto di lavoro dipendente in presenza di “insubordinazione verso i superiori accompagnata da comportamento oltraggioso”, fattispecie cui era sicuramente ascrivibile la condotta dell’ex dipendente. Inoltre non bisogna dimenticare che il dipendente era recidivo perché aveva preso a parolacce il superiore in molte occasioni.
La Cassazione nel respingere integralmente le motivazioni dell’ex dipendente ricorrente, in quanto soccombente, lo condanna anche al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di giudizio di legittimità.
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