CIRCOLARE MONOGRAFICA
DI EMANUELE MAESTRI, ELEONORA GALBIATI | 7 LUGLIO 2025
Il contratto di lavoro intermittente – noto anche come “a chiamata” o “job on call” – rientra tra i c.d. contratti “atipici” disciplinati dal D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81. Si tratta di un tipo di rapporto che ben si presta a gestire le esigenze di flessibilità dei mesi estivi, durante i quali si verificano picchi che richiedono l’impiego di personale per un periodo limitato o per alcune giornate. Si propone, anche alla luce della prassi e della giurisprudenza più rilevanti, il punto sulle regole applicabili.
Nozione
In base a quanto previsto dall’art. 13, co. 1, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, per contratto di lavoro intermittente si intende quel rapporto – a tempo indeterminato o a termine – con cui un lavoratore si mette a disposizione di un datore, che ne può utilizzare la prestazione in modo discontinuo o intermittente.
Divieti
Innanzitutto, va premesso che l’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2015 vieta espressamente il ricorso al lavoro intermittente nelle seguenti ipotesi:
- per sostituire lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
- presso unità produttive (quindi non per l’intera azienda) nelle quali si è proceduto, nei 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi a norma degli artt. 4 e 24 della Legge 23 luglio 1991, n. 223, di lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto intermittente, ovvero nelle quali operano una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione, che interessano lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto intermittente;
- in relazione ai datori che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa concernente la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. L’art. 28 del D.Lgs. n. 81/2008 dispone che tale valutazione “… deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi … quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro …”. L’instaurazione del rapporto intermittente senza che sia stata effettuata la valutazione dei rischi ne comporta la trasformazione in un rapporto subordinato a tempo indeterminato che, in ragione del principio di effettività delle prestazioni, può avvenire anche solo a tempo parziale (INL, Circolare 15 marzo 2018, n. 49 ); in seguito, sempre l’Ispettorato ha precisato che:
- generalmente, il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) deve contenere specifiche indicazioni sulle tipologie contrattuali diverse da quella “comune” ex art. 1 del D.Lgs. n. 81/2015 (contratto subordinato a tempo indeterminato), quanto meno volte a escludere i rischi pertinenti e a prevedere le modalità per effettuare l’attività di formazione/informazione;
- se i rischi connessi alle specifiche mansioni a cui tali lavoratori sono adibiti sono individuati, valutati e classificati, insieme alle relative misure di prevenzione e protezione, e l’esposizione a fattori potenzialmente dannosi non è correlata alla peculiare tipologia contrattuale con cui è resa la prestazione a chiamata, neanche sotto il profilo formativo, il DVR non può ritenersi incompleto solo perché privo del dato formale della specifica sezione dedicata ai lavoratori intermittenti (INL, Nota 21 dicembre 2020, prot. n. 1148). In senso conforme, per la giurisprudenza (cfr. Cass. ord. 8 gennaio 2024, n. 626), la mancata adozione del DVR non determina la conversione a tempo indeterminato del rapporto, ma solo il diritto del lavoratore a percepire la retribuzione per i periodi lavorati e alla corrispondente contribuzione Inps.
Criteri di computo
L’art. 18 del D.Lgs. n. 81/2015, dispone che, ai fini dell’applicazione di qualsiasi disciplina legale o contrattuale per la quale rilevi il calcolo dei dipendenti, il lavoratore a chiamata si computa nell’organico in proporzione all’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ogni semestre.
Ipotesi ammesse
Eccetto i casi in cui vige un esplicito divieto, il contratto esame è consentito in presenza di esigenze individuate dai contratti collettivi, anche quanto alla possibilità di svolgere la prestazione in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno (art. 13, co. 1, D.Lgs. n. 81/2015).
L’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015 dispone che, salvo diversa previsione, per contratti collettivi si intendono quelli nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nonché i contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali o dalla rappresentanza sindacale unitaria.
In assenza di contratto collettivo, i casi di utilizzo del lavoro a chiamata sono individuati con decreto del Ministro del Lavoro: nelle more della sua emanazione, continuano a valere le attività individuate nella tabella allegata al R.D. 6 dicembre 1923, n. 2657 .
La Legge 7 aprile 2025, n. 56 (Abrogazione di atti normativi prerepubblicani relativi al periodo dal 1861 al 1946), all’articolo 1, co. 1, allegato D, n. 524, dispone che – a decorrere dal 9 maggio 2025 – è abrogato il R.D. 6 dicembre 1923, n. 2657 , recante la Tabella indicante le occupazioni, che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia alle quali non è applicabile la limitazione dell’orario sancita dall’art. 1 del D.L. 15 marzo 1923, n. 692.
Deve tuttavia ritenersi che, trattandosi di un mero rinvio esemplificativo alle attività elencate dal citato R.D. 6 dicembre 1923, n. 2657 , la tabella in esame resti comunque valida per individuare le attività che – in assenza di previsione da parte del contratto collettivo – consentono il ricorso al contratto cd. “a chiamata” in base al requisito oggettivo.
In ogni caso – in aggiunta a quanto sopra – il contratto può essere concluso con soggetti con:
- meno di 24 anni di età (e dunque con al massimo 23 anni e 364 giorni), purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il 25° anno;
- più di 55 anni (ossia che abbiano già compiuto il 55° anno di età).
Ad avviso della giurisprudenza, se il datore ricorre al contratto di lavoro intermittente unicamente in base al requisito anagrafico (cd. soggettivo), non è necessario che ricorra anche il requisito cd. oggettivo della “discontinuità” (Cass. 24 luglio 2023, n. 22086).
Alle parti sociali è affidata l’individuazione delle sole “esigenze” che giustificano il ricorso al lavoro intermittente e non è riconosciuto alcun altro potere e, in special modo, quello di interdirne l’utilizzo nel settore regolato: non vanno quindi considerate eventuali clausole che si limitino a “vietare” il ricorso al lavoro intermittente; in tali casi, occorre verificare se il ricorso al contratto de quo è invece ammissibile in virtù dell’applicazione delle ipotesi cd. oggettive individuate nella tabella allegata al R.D. n. 2657/1923 o di quelle c.d. soggettive, ossia “con soggetti con meno di 24 anni, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il 25° anno, e con più di 55 anni” (Cass. 13 novembre 2019, n. 29423; INL, Circolare 8 febbraio 2021, n. 1).
Limiti
Non vigono particolari vincoli sul numero di dipendenti che è possibile occupare; tuttavia, salvo casi particolari, vige un limite legato all’impiego del singolo dipendente nel tempo: in particolare, ex art. 13, co. 3, del D.Lgs. n. 81/2015 – eccetto i settori turismo, pubblici esercizi e spettacolo – il contratto intermittente è ammesso, per ogni lavoratore con lo stesso datore, per un periodo non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari (per anno solare si intende qualunque periodo di 365 giorni calcolato all’indietro o in avanti rispetto a un qualsiasi giorno dell’anno); quindi, per esempio, volendo chiedere una prestazione intermittente il 23 luglio 2025, per rispettare il limite delle 400 giornate nei 3 anni solari, occorre verificare quante giornate di lavoro intermittente sono state prestate a partire dal 24 luglio 2022.
In caso di superamento del limite delle 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari, il contratto intermittente si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato (art. 13, co. 3, seconda parte, del D.Lgs. n. 81/2015).
Forma del contratto
Il contratto intermittente deve essere stipulato in forma scritta ai fini della prova e – oltre alle informazioni ex art. 1, co. 1, del D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 152 (identità delle parti, luogo di lavoro, sede o domicilio del datore ecc.) – deve contenere l’esplicita indicazione dei seguenti elementi:
- natura variabile della programmazione del lavoro, durata e ipotesi (oggettive o soggettive) che consentono la stipulazione del contratto;
- luogo e modalità della disponibilità eventualmente garantita dal lavoratore;
- trattamento economico e normativo spettante per la prestazione eseguita, indicando l’ammontare delle eventuali ore retribuite garantite al lavoratore e della retribuzione dovuta per il lavoro prestato oltre alle ore garantite nonché relativa indennità di disponibilità, ove prevista;
- forme e modalità con cui il datore può richiedere l’esecuzione della prestazione e del relativo preavviso di chiamata del lavoratore, nonché modalità di rilevazione della prestazione;
- tempi e modalità di pagamento della retribuzione e dell’indennità di disponibilità;
- misure di sicurezza necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto;
- eventuali fasce orarie e giorni predeterminati in cui il lavoratore deve svolgere le prestazioni.
Adempimenti
Il rapporto va regolarmente costituito inviando il modello UniLav entro le ore 24,00 del giorno precedente; inoltre, prima dell’inizio della prestazione o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, il datore deve comunicarne la durata alla sede territorialmente competente dell’INL mediante sms o posta elettronica (nella pratica, gli strumenti più utilizzati sono il modello UniIntermittenti e l’apposita APP scaricabile dal sito www.cliclavoro.it).
Il datore che non comunica la chiamata è punito con la sanzione amministrativa da 400 a 2.400 euro per ogni lavoratore per cui è stata posta in essere la violazione e non si applica la procedura di diffida di cui all’art. 13 del D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124.
Infine, fermo l’obbligo comunicazionale di cui sopra e fatte salve le previsioni più favorevoli dei contratti collettivi, il datore deve informare con cadenza annuale le RSA o la RSU circa l’andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente (art. 15, co. 3, del D.Lgs. n. 81/2015).
Trattamento del lavoratore
Economico e normativo
L’art. 17 sancisce il principio di non discriminazione, in virtù del quale:
- il lavoratore non deve ricevere, per i periodi lavorati e a pari mansioni, un trattamento economico/normativo complessivamente meno favorevole rispetto al collega di pari livello (co. 1);
- il trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della prestazione eseguita, specie per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle sue componenti, nonché delle ferie, e dei trattamenti per malattia e infortunio, congedo di maternità e parentale (co. 2).
Vale inoltre quanto segue:
– è dovuto il contributo di malattia, nella misura prevista per gli altri lavoratori. Per i lavoratori intermittenti identificati con il codice tipo contribuzione “G0” e “H0” dipendenti da datori con personale adibito a un’attività compresa tra quelle proprie dei pubblici esercizi e per la quale è dovuto il contributo aggiuntivo di malattia (0,77% della retribuzione imponibile), è stato istituito il nuovo codice tipo lavoratore “IA”, col significato “Lavoratore intermittente addetto ai pubblici esercizi per i quali è dovuto il contributo aggiuntivo di Malattia dello 0,77%”, da esporre nella sezione <PosContributiva> del flusso Uniemens (Inps, Messaggio 26 giugno 2024, n. 2382);
– se è reso lavoro straordinario oltre le 40 ore settimanali, la facoltà del datore di attivare il contratto intermittente rispetto a esigenze e tempi non predeterminabili comporta l’applicazione delle disposizioni in materia di lavoro straordinario e relative maggiorazioni retributive, nel rispetto del D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, e di quanto eventualmente previsto dal contratto collettivo applicato (Ministero del Lavoro, Nota 24 ottobre 2018, n. 6).
Con specifico riferimento al trattamento economico, nei periodi in cui non viene utilizzata la prestazione, ove il lavoratore abbia garantito al datore la propria disponibilità, spetta la c.d. “indennità di disponibilità” che è (art. 16 del D.Lgs. n. 81/2015): divisibile in quote orarie; esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo; determinata dai contratti collettivi e non è comunque inferiore a all’importo fissato con decreto. Ai sensi del D.M. 10 marzo 2004 la misura dell’indennità mensile di disponibilità è pari al 20% della retribuzione prevista dal CCNL applicato e la retribuzione mensile da prendere come base di riferimento è costituita dal minimo tabellare, dall’indennità di contingenza, dall’E.T.R. e dai ratei di mensilità aggiuntivi; per calcolare le quote orarie si assume come coefficiente divisore orario quello del CCNL applicato.
Se è stata pattuita la disponibilità con erogazione dell’indennità, in caso di malattia o altro evento che gli renda temporaneamente impossibile rispondere alla chiamata, il lavoratore deve informare tempestivamente il datore, specificando la durata dell’impedimento, durante cui non matura il diritto all’indennità in questione: se egli non provvede a tale adempimento, perde il diritto all’indennità per 15 giorni, salvo diversa previsione del contratto individuale.
Previdenziale
In deroga alle norme sul minimale contributivo, l’indennità di disponibilità è assoggettata a contribuzione per il suo effettivo ammontare (art. 16, co. 3, D.Lgs. n. 81/2015). Il Ministro del Lavoro, in accordo col MEF, fissa la misura della retribuzione convenzionale per determinare l’eventuale differenza che il lavoratore intermittente può versare se la retribuzione percepita nei periodi di lavoro, o l’indennità di disponibilità, è di importo inferiore al valore convenzionale (art. 16, co. 6, D.Lgs. n. 81/2015).
Ai sensi del D.M. 30 dicembre 2004, tali lavoratori, per i periodi coperti da contributi obbligatori in cui hanno percepito una retribuzione o hanno fruito dell’indennità di disponibilità in misura inferiore a quella che garantisce, per gli stessi periodi, il rispetto del parametro ex art. 7, co. 1, primo periodo, del D.L. 12 settembre 1983, n. 463 (Legge n. 638/1983), possono versare i contributi ai fini dell’assicurazione per l’IVS sulla differenza della retribuzione o dell’indennità di disponibilità percepite, fino a concorrenza di tale parametro.
Anche il trattamento previdenziale è riproporzionato in ragione della prestazione eseguita, specie per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle sue singole componenti, nonché delle ferie, trattamenti per malattia e infortunio, congedo di maternità/parentale. Infine, con riferimento all’aumento del contributo addizionale dello 0,5% ex art. 2, co. 28, Legge 28 giugno 2012, n. 92, per ogni rinnovo, si ritiene che esso non sia applicabile al contratto in esame (per mancanza di previsione legislativa e impossibilità di applicazione analogica).
Risoluzione del rapporto
Per quanto concerne la risoluzione del rapporto, vigono regole diverse a seconda che il contratto sia stato stipulato a termine ovvero a tempo indeterminato. L’insieme delle varie ipotesi che consentono la risoluzione, da parte del datore o del lavoratore, è esposto nella tabella che segue.
Causa di risoluzione | A tempo determinato | A tempo indeterminato |
Scadenza del termine pattuito dalle parti | SI | NO |
Dimissioni ordinarie | NO | SI |
Dimissioni per giusta causa | SI | SI |
Risoluzione consensuale | SI | SI |
Licenziamento per giusta causa | SI | SI |
Licenziamento per GMO | NO | SI |
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo | NO | SI |
Va evidenziato che, ex art. 16, co. 5, D.Lgs. n. 81/2015, se le parti hanno concordato la disponibilità del lavoratore a rispondere alla chiamata e il datore ha erogato la connessa indennità, il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può costituire motivo di licenziamento e comportare la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo al rifiuto.
Riferimenti normativi:
Legge 7 aprile 2025, n. 56, art. 1, comma 1
R.D. 6 dicembre 1923, n. 2657
D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 152, art. 1
D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, artt. da 13 a 18 e 51
Iniziativa gratuita organizzata con l’approvazione dell’editore riservata agli iscritti alla nostra informativa. E’ severamente proibita la condivisione dell’articolo, della pagina e degli allegati e di qualsiasi contenuto condiviso.