3° Contenuto riservato: Il reddito di partecipazione nelle società a ristretta base

CIRCOLARE MONOGRAFICA

DI MATTEO RIZZARDI | 9 LUGLIO 2025

Tassazione presuntiva degli utili occulti nelle società a ristretta base partecipativa: definizioni, inquadramento normativo e orientamenti della giurisprudenza

Il presente studio monografico intende analizzare in profondità la complessa materia della tassazione presuntiva degli utili occulti nelle società a ristretta base partecipativa, fenomeno che da decenni impegna la giurisprudenza tributaria italiana e che, negli ultimi anni, è stato oggetto di significative evoluzioni sia legislative sia interpretative. L’obiettivo è fornire agli operatori del sistema un quadro aggiornato e critico delle dinamiche accertative e delle strategie difensive, con particolare attenzione alle più recenti pronunce della Suprema Corte.

Introduzione

Il sistema tributario italiano, pur fondandosi sul principio di effettività dell’imponibile, ammette l’utilizzo di mezzi indiretti per l’accertamento dell’imponibilità fiscale, noti come tassazione presuntiva. In tale contesto, si è sviluppata una presunzione, di natura non legale ma giurisprudenziale, secondo cui i soci di una società a ristretta base partecipativa – sovente legati da vincoli familiari o personali – sono considerati beneficiari del “reddito occulto” conseguito dalla loro società. Secondo la normativa, tale reddito dovrebbe essere assoggettato a tassazione sia a livello societario sia in capo ai singoli soci. Fondamentale è il carattere confutabile di tale presunzione, che impone un peculiare onere della prova.

Va preliminarmente evidenziato che la presunzione in esame è stata oggetto di critica in dottrina per la sua forte assonanza con il principio di imputazione per trasparenza tipico delle società di persone (art. 5 TUIR) o delle società di capitali che hanno optato per il regime di trasparenza fiscale (artt. 115 e 116 TUIR). La differenza sostanziale risiede nel fatto che, mentre nei regimi di trasparenza l’imputazione del reddito ai soci avviene ex lege e indipendentemente dall’effettiva percezione, per le società a ristretta base la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai soci non necessita dell’avvenuta percezione ma richiede la prova che gli utili siano stati effettivamente distribuiti.

Inquadramento normativo del reddito di partecipazione

Definizione e riferimenti normativi

  • Il reddito di partecipazione rappresenta, nel diritto tributario, il reddito attribuito pro quota ai soci in virtù della loro partecipazione a società ed enti, siano essi trasparenti o meno.
  • I principali riferimenti normativi sono:
    • Art. 5 del TUIR (D.P.R. n. 917/1986): disciplina la trasparenza fiscale.
    • Art. 44, comma 1, lett. e), del TUIR: regola i redditi di capitale.
    • Artt. 115 e 116 TUIR: opzione trasparenza fiscale società di capitali.
    • Art. 39 del D.P.R. n. 600/1973: disciplina i poteri di accertamento dell’Agenzia in relazione a ricavi non contabilizzati e utili extra-contabili.

Il principio della trasparenza fiscale

  • Nelle società di persone (e in alcune società di capitali optanti), il reddito è imputato direttamente ai soci indipendentemente dalla sua distribuzione.
  • Nelle società di capitali in regime ordinario, il reddito è attribuito ai soci solo in caso di effettiva distribuzione, salvo eccezioni come la ristretta base partecipativa.

Presunzioni e ripartizioni

  • In presenza di utili extracontabili, accertati nei confronti della società, l’art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 600/1973 consente di presumere la loro distribuzione ai soci. Tale presunzione è semplice e quindi superabile con prova contraria.

Le società a ristretta base partecipativa: presunzioni e criticità

Nozione di società a ristretta base

  • Si considera a ristretta base una società con pochi soci, spesso coincidenti con gli amministratori, in cui è più agevole l’individuazione di una presunzione di distribuzione degli utili non dichiarati.

Fondamento della presunzione

  • Art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600/1973 e giurisprudenza (es. Cass. n. 21158/2024) riconoscono la presunzione di distribuzione pro quota di utili extra-bilancio.
  • Il contribuente non può limitarsi a dichiararsi estraneo alla gestione, ma deve fornire prova concreta che:
    • i ricavi non sono stati realizzati;
    • oppure non sono stati distribuiti ma accantonati o reinvestiti;
    • oppure se ne è appropriato un terzo.

Smentita della presunzione

  • Ammessa anche la prova presuntiva, purché articolata e documentata.
  • Importante valutare le circostanze gestionali, bancarie, contabili, ecc.

Efficacia del giudicato e impugnabilità dell’accertamento

  • L’accertamento definitivo verso la società non vincola il socio, se questi non ha partecipato al relativo giudizio.
  • Cassazione (es. ordinanza n. 13937/2025) ribadisce che il socio può contestare l’accertamento societario nel proprio giudizio.

La giustificazione della presunzione giurisprudenziale e il divieto di “praesumptio de praesumpto

La validità della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili si scontra con il divieto di “doppia presunzione” o “presunzione di secondo grado” (praesumptio de praesumpto), che impedisce di desumere un fatto ignoto da un’altra presunzione. L’accertamento a carico del socio di una società a ristretta base sembrerebbe, a prima vista, basarsi su due presunzioni:

  1. l’esistenza di un maggior reddito della società accertato in via presuntiva;
  2. la distribuzione di tale maggior reddito ai soci.

La Suprema Corte ha superato questa critica chiarendo che il fatto noto che sorregge la presunzione di distribuzione degli utili ai soci non è l’esistenza stessa dei maggiori utili accertati, bensì la ristrettezza della base sociale e il conseguente vincolo di solidarietà e reciproco controllo che normalmente caratterizza la gestione societaria. Tale ristrettezza si traduce in una “maggiore conoscibilità degli affari societari” da parte dei soci, giustificando l’onere in capo a questi ultimi di dimostrare l’estraneità o la mancata percezione.

È importante sottolineare che la giurisprudenza non ha mai definito un numero preciso di soci al di sotto del quale una società di capitali possa qualificarsi “a ristretta base partecipativa”.
L’elemento discriminante è piuttosto il vincolo di solidarietà, di reciproco controllo e il “rapporto di complicità” che lega i soci nell’amministrazione e nell’eventuale ripartizione degli utili occulti.

L’onere della prova e la sua evoluzione

In generale, il Fisco ha l’onere di dimostrare l’esistenza di maggiori ricavi occulti, mentre il contribuente deve provare gli elementi di fatto che riducono o escludono l’obbligo fiscale. In questa specifica situazione, la presunzione giurisprudenziale sposta l’onere probatorio sul contribuente, che deve dimostrare la mancata percezione degli utili.

La prova contraria del contribuente ha subito un’evoluzione interpretativa:

  • Un primo orientamento richiedeva che la prova contraria consistesse unicamente nella dimostrazione che i maggiori ricavi della società fossero stati accantonati o reinvestiti.
  • Un secondo e più recente orientamento ha ammesso che il socio possa vincere la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili anche fornendo la sola dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria, avendo ricoperto un ruolo meramente formale di semplice intestatario delle quote sociali, senza aver concretamente svolto alcuna attività di gestione e controllo. Questa tesi, ribadita da recenti pronunce (es. Cass. n. 18764/2024), non collide con la ratio della presunzione, poiché se si dimostra la totale estraneità del socio, la “massima di comune esperienza” sulla compartecipazione viene meno.

Tuttavia, esistono ancora pronunce che ribadiscono la tesi tradizionale, secondo cui il contribuente non può limitarsi a denunciare la propria estraneità alla gestione, ma deve dimostrare che i maggiori ricavi non sono stati effettivamente realizzati dalla società, che non li ha distribuiti ma accantonati o reinvestiti, o che un altro soggetto se ne è appropriato. Questo perché una maggiore “agevolazione probatoria” svuoterebbe il contenuto della presunzione. Alcuni autorevoli studiosi hanno definito la prova contraria richiesta al socio come una “prova diabolica” o “impossibile”, in quanto consiste nel provare un fatto negativo (la non percezione degli utili extracontabili) o fatti sostanzialmente impossibili da dimostrare (l’accantonamento/reinvestimento di utili “in nero” o la non esistenza di liquidità occulta).

La prova del fatto contrario a quello oggetto della presunzione può essere fornita con ogni mezzo, anche attraverso una sola presunzione semplice, purché “grave” e “precisa”.

  • La gravità attiene alla capacità della presunzione di produrre conclusioni affidabili. La prova contraria può vertere sul difetto di tale elemento, ad esempio evidenziando una partecipazione di netta minoranza del socio o la sua estraneità formale e sostanziale alla gestione, magari in presenza di attività professionali o imprenditoriali autonome.
  • La precisione implica che le conclusioni inferite dai fatti noti non siano equivoche e riconducano in modo chiaro al fatto ignorato. Si potrebbe replicare, ad esempio, che la partecipazione di un socio (anche non simbolica) miri solo a garantire una migliore conoscenza degli affari sociali per interesse come finanziatore.
  • La concordanza (art. 2729 c.c.) si riferisce alla formulazione di più ragionamenti inferenziali che conducono alla medesima conclusione. Anche un solo elemento indiziario può essere sufficiente, se dotato di gravità e precisione tali da fondare la prova del fatto ignoto. Si applica in ogni caso il “criterio della probabilità prevalente”.

Un elemento difensivo rilevante è la dimostrazione dell’esistenza di un gerente di fatto della società che si sia appropriato degli utili extrabilancio, circostanza che, se provata, può efficacemente opporsi alla presunzione di distribuzione ai soci. In tali casi, la prova dell’estraneità del socio può essere rafforzata dalla produzione documentale attestante che non svolge alcuna attività di gestione, restando onere dell’Amministrazione finanziaria provare una sua effettiva ingerenza. Ulteriori soluzioni difensive comprendono la prova dell’assenza di una concreta provvista finanziaria trasferibile al patrimonio del socio (es. estratti conto, relazioni notarili sull’assenza di incrementi patrimoniali) e, in casi estremi, la denuncia-querela nei confronti dell’amministratore della società.

Le recenti novità normative: l’attenuazione della presunzione

Il Legislatore è recentemente intervenuto con disposizioni che ridimensionano l’ambito di applicazione della presunzione di utili occulti:

  • Legge n. 111/2023 (Delega per la Riforma Fiscale), art. 17, comma 1, lett. h): Ha limitato l’applicabilità della presunzione di distribuzione di redditi accertati nei confronti delle società di capitali ai soli casi in cui sia accertata, “sulla base di elementi certi e precisi”, l’esistenza di “componenti reddituali positivi non contabilizzati o di componenti negativi inesistenti”.
    • Questa limitazione è assai rilevante e inequivoca. Di conseguenza, la presunzione non è più applicabile in numerosi casi di rettifica del reddito societario che non celano l’esistenza di una liquidità finanziaria occulta suscettibile di essere distribuita ai soci, come ad esempio il disconoscimento dell’inerenza o della competenza dei costi. Il Legislatore ha così recepito la dottrina che evidenzia come la mancanza di liquidità effettiva impedisca una presunta distribuzione. L’effetto di questa riforma è un sensibile ridimensionamento della portata della presunzione, che si applicherà a un numero minore di casi e solo a fattispecie caratterizzate da maggiore gravità (es. occultamento di ricavi o uso di fatture per operazioni inesistenti).
  • Art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992 (introdotto dalla Legge n. 130/2022): Riformula l’onere della prova nel processo tributario, stabilendo che l’Amministrazione finanziaria “prova in giudizio le violazioni contestate” e che il giudice annulla l’atto impositivo “se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva”.
    • Questa disposizione, in vigore dal 16 settembre 2022, implica che, anche se basata su presunzioni, la prova fornita dall’Ufficio deve superare una soglia di attendibilità tale da non lasciare margini di incertezza, quasi richiamando lo standard del “ragionevole dubbio” proprio del processo penale. Di conseguenza, si ritiene superata la giurisprudenza precedente che equiparava “la percezione di maggiori ricavi e l’indeducibilità o inesistenza di costi”. Non si può presumere la distribuzione di costi non deducibili perché fiscalmente neutrali, in quanto non generano liquidità distribuibile.

Il nodo centrale: le recenti pronunce della Cassazione e l’efficacia riflessa del giudicato

La giurisprudenza più recente della Cassazione ha fornito indicazioni cruciali sulla relazione tra l’accertamento a carico della società e quello a carico dei soci, anche in presenza di giudicato.

L’ordinanza della Cassazione n. 25267 del 20 settembre 2024

  • Questa pronuncia rappresenta un punto di svolta di particolare interesse, stabilendo che possono rideterminarsi – anche in riduzione – gli importi dovuti a seguito di un avviso di accertamento emesso nei confronti di un socio di società di capitali a ristretta base, anche qualora tale accertamento sia divenuto definitivo per mancata impugnazione. La Corte ha fondato tale decisione sulla “efficacia riflessa del giudicato” che riguarda la società. Viene ribadito che l’accertamento nei confronti della società costituisce l’antecedente logico-giuridico indispensabile in tutti i casi di contestazione ai soci relativi ai maggiori redditi derivanti da ricavi non dichiarati o costi non sostenuti. Pertanto, un accertamento negativo (o parzialmente negativo) dell’utile extracontabile della società, intervenuto in un giudizio separato, esclude la presunzione di maggior utile per i soci e comporta la riduzione in pari misura percentuale del maggior reddito da partecipazione accertato in capo al socio, anche se il giudicato si è già formato sull’accertamento del socio. Questa ordinanza afferma la preminenza della sentenza relativa all’accertamento emesso nei confronti della società rispetto al giudicato formatosi in relazione all’atto che riguarda il socio, negando l’autonomia tra i due atti impositivi e riconoscendo un rapporto di dipendenza tra di essi.

L’ordinanza della Cassazione n. 13937/2025 (pubblicata il 26 maggio 2025)

  • Questa ordinanza ha stabilito un principio altrettanto rilevante: il contribuente, socio di società di capitali a ristretta base partecipativa, può dimostrare l’infondatezza dell’avviso di accertamento societario, anche se divenuto definitivo per mancata impugnazione, in sede di impugnazione del proprio accertamento personale. La Corte ha confermato che è “sempre consentito al socio provare che il maggior reddito conseguito dalla società non sia stato distribuito ai soci”. L’indipendenza dei procedimenti tra società e socio comporta che il socio, pur non avendo partecipato al processo della società, conserva la facoltà di contestare non solo la presunzione di distribuzione degli utili, ma anche la validità dell’accertamento a carico della società. Questo principio è giustificato dai limiti soggettivi del giudicato e dai principi costituzionali di tutela dei diritti (art. 24 Cost.), che impediscono che la decisione nel processo societario (alla quale il socio non abbia partecipato o non sia stato messo in condizione di partecipare) possa svolgere efficacia di giudicato nei confronti del processo riguardante il socio.

Problematiche processuali e criticità del sistema

La giurisprudenza ha a lungo negato il litisconsorzio necessario (previsto per le società di persone) per le società di capitali, rendendo i giudizi della società e dei soci autonomi e indipendenti, sebbene strettamente collegati. Questa impostazione ha generato criticità significative.

Per ovviare a tali problematiche, la Cassazione ha riconosciuto la possibilità di sospensione del giudizio a carico dei soci (ex art. 295 c.p.c.in attesa della definizione del giudizio che riguarda la società. La sospensione consente al giudicato formatosi sul giudizio “a monte” (societario) di fungere da punto fermo: se l’accertamento societario viene annullato, viene meno il presupposto logico dell’accertamento dei soci; se viene confermato, il dibattito si sposta unicamente sulla prova contraria della distribuzione dell’utile in capo ai soci.

Tuttavia, l’attuale assetto presenta uno squilibrio ingiustificato: i soci non sono legittimati a impugnare l’accertamento societario “a monte” né a intervenire nel giudizio societario finché non sono colpiti dall’accertamento “a valle”. Al contrario, l’Amministrazione finanziaria può ampiamente difendere le proprie pretese in entrambi i giudizi, beneficiando inoltre del meccanismo presuntivo a proprio favore. L’auspicio, condivisibile da chi scrive, è che la riforma fiscale riconosca la necessità di un intervento sul piano processuale, magari prevedendo un litisconsorzio tra società e soci (come avviene per le società di persone) o introducendo una norma ad hoc per la sospensione dei giudizi, garantendo così una doppia linea di difesa ai soci e una maggiore speditezza processuale.

Conseguenze sanzionatorie

Le conseguenze sanzionatorie si manifestano su due piani distinti:

  • Per la società: È colpita da provvedimenti sanzionatori per l’omesso versamento delle ritenute sugli utili non dichiarati e per l’irregolare presentazione del modello 770.
  • Per i soci: La tassazione del maggior reddito attribuito ai soci varia in base alla natura della partecipazione:
    • Soci persone fisiche con partecipazione non qualificata (inferiore al 20%): Il maggior reddito accertato, qualificabile come reddito di capitale, è assoggettato a ritenuta a titolo d’imposta del 26% (per i dividendi erogati dal 1° luglio 2014).
    • Soci persone fisiche con partecipazione qualificata (maggiore del 20%): Il maggior reddito attribuito come reddito di capitale concorre alla formazione del reddito imponibile complessivo del socio. Storicamente, era prevista una parziale esenzione (es. 40%, 49,72%, 58,14%). A partire dall’esercizio 2018, si applica la ritenuta a titolo d’imposta anche per i soci titolari di partecipazioni qualificate.
    • Inoltre, se il socio è iscritto a una gestione INPS (es. artigiani o commercianti), il maggior reddito sarà soggetto a contribuzione.
    • La prassi dell’Amministrazione finanziaria tende a non applicare l’abbattimento del reddito presunto in capo al socio finché la società non abbia adempiuto totalmente al proprio maggior onere tributario, per evitare un “salto d’imposta”.

Considerazioni conclusive

L’evoluzione giurisprudenziale e legislativa in materia di presunzione di utili occulti nelle società a ristretta base partecipativa è orientata verso un maggiore equilibrio tra le esigenze di contrasto all’evasione e la tutela del diritto di difesa del contribuente. Le recenti riforme e, in particolare, le pronunce della Cassazione del 2024 e 2025, rappresentano un passo significativo in questa direzione, limitando l’operatività della presunzione a casi di effettiva liquidità occulta e rafforzando le possibilità difensive dei soci, anche quando l’accertamento societario sia divenuto definitivo.

Oggi, più che mai, occorre quindi effettuare una valutazione attenta e individualizzata di ogni singolo caso, capace di confrontare l’ipotesi indiziaria dell’Ufficio con gli elementi di segno opposto forniti e provati dal contribuente. La comprensione approfondita di queste dinamiche processuali e sostanziali sarà fondamentale per la corretta gestione del contenzioso tributario e per la tutela degli interessi dei soci e delle società. Il sistema, sebbene ancora perfettibile, offre nuovi strumenti e una maggiore consapevolezza per affrontare una delle presunzioni più discusse e controverse del nostro ordinamento tributario.

Riferimenti normativi:

Iniziativa gratuita organizzata con l’approvazione dell’editore riservata agli iscritti alla nostra informativa. E’ severamente proibita la condivisione dell’articolo, della pagina e degli allegati e di qualsiasi contenuto condiviso.