COMMENTO
A CURA DI STUDIO TRIBUTARIO GAVIOLI & ASSOCIATI | 14 LUGLIO 2025
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo presuppone l’assolvimento dell’obbligo di dimostrare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in mansioni equivalenti o addirittura inferiori; nel caso di specie (Cass. Sentenza n. 18063/2025 ) è evidente come non mancasse l’alternativa all’estinzione del rapporto e che non si potesse configurare l’impossibilità di un repêchage, solo perché il lavoratore aveva rifiutato una determinata ricollocazione per motivi personali legati all’orario di lavoro.
Il contenzioso del lavoro
La Corte di appello ha accolto il reclamo proposto da una società avverso la sentenza del Tribunale che aveva annullato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato ad un dipendente nel giugno del 2022 per non aver tenuto conto dell’esigenze del lavoratore titolare dei benefici di cui alla Legge n. 104/1992 ai fini dell’assistenza alla moglie gravemente invalida, in particolare nel prospettare la sua ricollocazione in un orario diverso da quello c.d. a ciclo continuo-semicontinuo sempre goduto dal lavoratore nei vent’anni di rapporto.
La Corte di appello, invece, ha sostenuto che il datore di lavoro aveva adeguatamente ottemperato all‘obbligo di rinvenire un impiego alternativo posto che, in base all’accordo sindacale dell’aprile 2022, era stata proposta al dipendente e ad altri tre colleghi i cui posti di lavoro erano stati soppressi la ricollocazione nella posizione di carrellista nel reparto spedizione, con articolazione oraria su doppio turno.
Ad avviso della Corte era ingiustificato il rifiuto del lavoratore di accettare detta posizione secondo la preferenza esternata in sede di conciliazione ex art 410 c.p.c. presso l’ITL (Ispettorato Territoriale del Lavoro) avendo in quella sede il lavoratore richiesto di poter essere adibito a qualsiasi lavoro anche inferiore purché su orario di lavoro a ciclo continuo.
Secondo i giudici della Corte territoriale attribuire rilevanza a tale rifiuto, come aveva fatto il Tribunale, significava negare la esclusiva discrezionalità del datore di lavoro in materia di organizzazione e gestione dell’impresa ex art. 30, Legge n. 183/2010.
Inoltre le ragioni per cui gli impegni di cura ed assistenza del coniuge disabile dovessero assicurarsi solo con l’orario a ciclo continuo e non con il nuovo orario articolato dal datore di lavoro sul doppio turno non erano provate ed erano generiche.
In conclusione, secondo la Corte territoriale il licenziamento era legittimo ed il lavoratore andava condannato a restituire quanto percepito in forza della riformata pronuncia di primo grado.
Avverso la sentenza sfavorevole il contribuente è ricorso in Cassazione con cinque articolate motivazioni.
La sentenza
Osservano i giudici di legittimità che deve essere considerato che nel caso di specie si discute del licenziamento per soppressione del posto di lavoro di un lavoratore che aveva un’anzianità di servizio di 20 anni, che aveva lavorato in molteplici mansioni, beneficiava della Legge n. 104/1992, per assistenza del coniuge disabile all’80% ed osservava fin dall’assunzione un orario di lavoro a ciclo continuo (con programmazione anticipata dei turni e godimento di due giorni di riposo ogni tre).
È pacifico, altresì, che essendo stata soppressa la sua postazione di lavoro, il datore gli aveva proposto uno spostamento ad un altro lavoro con orario differente (a doppio turno) e che il lavoratore ha rifiutato la proposta, per ragioni legate alla assistenza della moglie, offrendosi di lavorare in qualsiasi altra mansione anche inferiore, pur di mantenere l’orario precedentemente osservato.
In esito a tale richiesta il lavoratore è stato appunto licenziato per g.m.o. (giustificato motivo oggettivo) senza che la datrice di lavoro abbia esplorato la possibilità di una ricollocazione differente o abbia offerto al lavoratore altra alternativa, pur esistente in base agli atti.
Secondo i giudici di legittimità la Corte di appello non ha operato valutazione di nessuna natura incorrendo pertanto nella violazione denunciata che ha riguardo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Nel caso di specie si viene a configurare nella sentenza impugnata proprio tale vizio dato che il datore di lavoro, in virtù dei richiamati principi e delle correlate clausole di buona fede e correttezza, prima di estinguere il rapporto di lavoro aveva l’obbligo di offrire al lavoratore anche gli altri posti di lavoro vacanti e disponibili nell’orario di lavoro che questi già osservava e che ha successivamente riempito con l’assunzione di nuovi dipendenti.
E invero, se il licenziamento per g.m.o. presuppone l’assolvimento dell’obbligo di dimostrare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in mansioni equivalenti o addirittura inferiori, è evidente come nel caso di specie non mancasse l’alternativa all’estinzione del rapporto e che non si potesse configurare l’impossibilità di un repêchage, solo perché il lavoratore aveva rifiutato una determinata ricollocazione per motivi personali legati all’orario di lavoro.
Inoltre, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte territoriale, la stessa conclusione non incorre nella ipotesi vietata del sindacato sulla discrezionale organizzazione dell’impresa, posto che rientrerebbe pur sempre nell’esclusiva prerogativa datoriale individuare il più congruo assetto organizzativo e le altre posizioni lavorative da coprire con l’orario di lavoro ritenuto più consono agli obiettivi dell’impresa. In realtà, osservano i giudici di legittimità, una volta avvenuta l’individuazione di tali posizioni nell’organico aziendale ad opera del medesimo datore di lavoro, non si può configurare un legittimo potere di licenziare il dipendente occupato nello stesso orario con mansioni compatibili, rivelandosi non effettiva l’esigenza di sopprimere la sua posizione professionale addotta nel provvedimento impugnato come conseguenza inevitabile della soppressione del posto di lavoro.
In conclusione la Corte di Cassazione accoglie il motivo di ricorso e cassa la sentenza impugnata rinviando la causa alla Corte di appello per un nuovo esame.
Riferimenti normativi:
- Codice di procedura civile, art. 410
- Legge 5 febbraio 1992, n. 104
- Legge 4 novembre 2011, n. 183, art. 30
- Corte di Cassazione, Sentenza 3 luglio 2025, n. 18063
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