COMMENTO
DI MARCO PEIROLO | 2 SETTEMBRE 2025
Con la sentenza 1° agosto 2025, causa C-602/24 , la Corte di giustizia UE ha affermato che una cessione di beni inizialmente dichiarata come cessione intracomunitaria dal fornitore e che, all’insaputa di quest’ultimo, è stata effettuata al di fuori del territorio della UE dall’acquirente, rientra nell’esenzione prevista per le cessioni all’esportazione qualora il trasporto dei beni in territorio extra-UE sia stato accertato dalle Autorità tributarie sulla base di documenti doganali.
Descrizione del caso
Una società polacca, negli anni 2017 e 2018, ha fatturato in regime di esenzione dall’IVA alcune cessioni intracomunitarie a favore di una società inglese identificata ai fini IVA in Lettonia.
I beni, il cui trasporto era a cura del cessionario, avrebbero dovuto essere inviati in Lituania, ma sono stati invece esportati in Bielorussia, come accertato dalle Autorità fiscali polacche, che ha tuttavia escluso l’esistenza di frodi o abusi ai quali avrebbe partecipato il cedente.
Secondo l’Amministrazione finanziaria polacca, in assenza del trasferimento dei beni verso il territorio di un altro Stato UE, le cessioni di cui trattasi non hanno carattere intracomunitario. Inoltre, la società polacca non ha debitamente verificato dove i beni sono stati consegnati, limitandosi a confermare formalmente la loro cessione in Lituania sulla base della firma dell’autista che aveva effettuato il trasporto, accompagnata dal timbro della società di trasporto. La suddetta Amministrazione ha, quindi, ritenuto che la cessione dei beni costituisca una cessione interna, soggetta a IVA.
Il giudice nazionale, chiamato a decidere se, come sostenuto dalla società polacca, sia possibile riqualificare la cessione intracomunitaria in una cessione all’esportazione, ha sospeso il procedimento per chiedere alla Corte europea se, ai fini dell’applicazione dell’esenzione prevista per le cessioni all’esportazione, sia rilevante la circostanza che il cessionario abbia trasportato i beni al di fuori della UE all’insaputa del cedente.
Condizioni di applicazione dell’esenzione IVA delle cessioni all’esportazione
Ai sensi dell’art. 146, par. 1, lett. a) e b), della Direttiva n. 2006/112/CE, gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati dal venditore o per suo conto, oppure da un acquirente o per suo conto, fuori dalla UE.
Tale disposizione deve essere letta in combinazione con l’art. 14, par. 1, della stessa Direttiva, che considera “cessione di beni” il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario.
L’esenzione è diretta a garantire l’imponibilità nel luogo di destinazione dei beni, ossia dove gli stessi sono consumati e, secondo le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, l’esportazione di un bene si perfeziona e l’esenzione della relativa cessione diventa applicabile quando, allo stesso tempo:
- il potere di disporre di tale bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente;
- il fornitore è in grado di provare la spedizione o il trasporto al di fuori della UE;
- i beni, a seguito della spedizione o trasporto, hanno lasciato fisicamente il territorio della UE.
Orientamento della Corte europea
Nel caso di specie, le condizioni di cui sopra sono soddisfatte.
Riguardo alla prima condizione, diretta a stabilire l’esistenza di un’esportazione di beni, la Corte ha ritenuto che la stessa sia soddisfatta, essendo pacifico che il fornitore ha ceduto all’acquirente il diritto di disporre dei beni come proprietario.
Riguardo alla seconda condizione, secondo la quale il fornitore è tenuto a provare che i beni sono stati spediti o trasportati al di fuori della UE, la Corte ha ritenuto pacifico che la cessione dei beni in territorio extra-UE sia stata provata e la circostanza che la relativa prova sia stata ottenuta dall’Amministrazione finanziaria e non dal fornitore non è pertinente ai fini della qualificazione dell’operazione come cessione all’esportazione ai sensi dell’art. 146, par. 1, lett. a) e b), della Direttiva n. 2006/112/CE.
Infine, riguardo alla terza condizione, relativa all’uscita dei beni dal territorio della UE, è pacifico, nella fattispecie in oggetto, che i beni sono stati trasportati al di fuori dell’Unione dal cessionario o per suo conto.
Attenzione Peraltro, non essendoci stato consumo dei beni nel territorio della UE, non si può considerare che il fornitore abbia effettuato una cessione interna. Infatti, l’esenzione di cui all’art. 146, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE è diretta a garantire l’imponibilità dei beni nel luogo di destinazione, ossia dove i beni esportati sono consumati.
Ne consegue, secondo la Corte, che la qualificazione di un’operazione quale “cessione di beni”, ai sensi dell’art. 146, par. 1, lett. a) e b), della Direttiva n. 2006/112/CE, non può essere negata in ragione della circostanza che la spedizione o il trasporto fuori dall’Unione sia stata effettuata all’insaputa del fornitore e sia stata accertata dall’Amministrazione finanziaria e non dal fornitore stesso.
Ai sensi dell’art. 131 della Direttiva n. 2006/112/CE, spetta agli Stati UE fissare le condizioni in presenza delle quali essi esentano le operazioni di esportazione per assicurare la corretta e semplice applicazione della detassazione e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso. Nell’esercizio dei loro poteri, gli Stati membri devono nondimeno rispettare i principi generali del diritto che fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione, tra i quali figura, in particolare, il principio di proporzionalità.
In proposito, la Corte ha affermato che, se gli Stati UE impongono requisiti formali in forza dell’art. 131 della Direttiva n. 2006/112/CE, tali requisiti non devono modificare il campo di applicazione dell’esenzione. Non sarebbe proporzionato rifiutare di applicare l’esenzione a un’esportazione per il solo motivo che il soggetto passivo non dispone di documenti di esportazione corretti se, come nella fattispecie, l’Amministrazione finanziaria ha la certezza che i beni sono stati esportati. Un tale diniego eccederebbe quanto necessario per garantire l’esatta riscossione dell’imposta poiché l’esenzione sarebbe subordinata a requisiti formali eccessivi, senza che sia valutato se i criteri sostanziali di esenzione siano effettivamente rispettati.
Sulla base della giurisprudenza comunitaria, esistono solo due fattispecie in cui l’inosservanza di un requisito formale può comportare la perdita del diritto all’esenzione, ossia:
- se la violazione ha come effetto d’impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali; ovvero
- se il soggetto passivo ha partecipato intenzionalmente a una frode fiscale che ha messo a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’IVA.
Nel caso in esame, tuttavia, le condizioni sostanziali dell’esenzione sono soddisfatte e l’Amministrazione finanziaria non ha constatato frodi o abusi da parte del fornitore nella catena di cessioni.
Di conseguenza, la Corte ha concluso affermando che una cessione di beni inizialmente dichiarata dal fornitore come cessione intracomunitaria e che, all’insaputa di quest’ultimo, è stata effettuata al di fuori del territorio della UE dall’acquirente, rientra nell’esenzione prevista dall’art. 146, par. 1, lett. b), della Direttiva n. 2006/112/CE, qualora l’esportazione sia stata accertata dalle Autorità tributarie sulla base di documenti doganali.
Riferimenti normativi:
- Dir. CE 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, artt. 14, 131 e 146;
- Corte di giustizia UE, sentenza 1° agosto 2025, causa C-602/24 .
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