CIRCOLARE MONOGRAFICA
DI EMANUELE MAESTRI | 4 SETTEMBRE 2025
Il punto sulle novità concernenti la conservazione del posto di lavoro e la fruizione di permessi retribuiti per esami e cure mediche in favore dei lavoratori affetti da malattie oncologiche, invalidanti e croniche
Nella Legge 18 luglio 2025, n. 106, sono contenute nuove disposizioni concernenti la conservazione del posto di lavoro e la fruizione di permessi retribuiti per esami e cure mediche in favore dei lavoratori affetti da malattie oncologiche, invalidanti e croniche. In attesa delle necessarie indicazioni della prassi si propone il punto sulle novità, che hanno anche decorrenze differenti.
Lavoratori interessati
Alle nuove disposizioni di tutela sono interessati tutti i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati, affetti da malattie oncologiche, ovvero da malattie invalidanti o croniche, anche rare, che comportino un grado di invalidità pari o superiore al 74%.
La norma però – pur se con modalità differenti – tutela anche i lavoratori autonomi che si trovino nella medesima situazione.
Certificazione e controlli
Come dispone l’articolo 1, co. 2, della Legge 18 luglio 2025, n. 106, la certificazione delle malattie qui in esame è rilasciata dal medico di medicina generale o dal medico specialista, operante in una struttura sanitaria pubblica o privata accreditata, che ha in cura il lavoratore.
Ai fini della verifica e del controllo delle condizioni previste dalla disposizione in esame, possono essere utilizzati i dati disponibili nel Sistema tessera sanitaria e nel fascicolo sanitario elettronico, secondo le modalità definite dalla normativa vigente.
Conservazione del posto di lavoro: ecco il congedo biennale
Ebbene, a partire dal 9 agosto 2025, se il lavoratore:
- è affetto da malattie oncologiche, ovvero da malattie invalidanti o croniche, anche rare, che comportino un grado di invalidità pari o superiore al 74%, e
- ha prodotto la certificazione come appena sopra previsto;
può richiedere un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a 24 mesi: durante il periodo di congedo il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa.
Il congedo è compatibile con il concorrente godimento di eventuali altri benefìci economici o giuridici e la sua fruizione decorre dall’esaurimento degli altri periodi di assenza giustificata, con o senza retribuzione, spettanti al dipendente a qualunque titolo.
Il periodo di congedo non è computato nell’anzianità di servizio né ai fini previdenziali.
Inoltre, il dipendente può comunque procedere al riscatto del periodo di congedo mediante versamento dei relativi contributi, secondo quanto previsto per la prosecuzione volontaria dalla normativa vigente.
Sono comunque fatte salve le disposizioni più favorevoli previste dalla contrattazione collettiva o dalla disciplina applicabile al rapporto di lavoro.
In relazione a quanto appena sopra – e premesso che la contrattazione collettiva (di livello nazionale, territoriale o aziendale) o anche quella individuale (anche se la norma non ne fa cenno) – possono introdurre norme di più ampia tutela a favore del lavoratore, ci pare di poter evidenziare quanto segue:
- la misura massima del congedo è pari a 24 mesi, ma il dipendente può richiedere anche uno o più periodi di durata inferiore;
- vista con favore (ovviamente) la conservazione del posto – che comporta il divieto di licenziamento (che sarebbe totalmente nullo, con diritto del lavoratore alla reintegrazione e al risarcimento del danno subito) in capo al datore di lavoro – va evidenziato che il dipendente non matura alcun trattamento retributivo (salvo che il datore non voglia, del tutto volontariamente, erogare un qualche tipo di “indennità” o somma) e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Il rischio concreto è che il lavoratore si trovi del tutto privo di mezzi di sostentamento, per giunta in un momento di grande difficoltà personale (il che induce a qualche riflessione in merito al divieto di svolgere una diversa attività di lavoro, magari compatibile con le ridotte condizioni di salute);
- la fruizione del congedo decorre dall’esaurimento degli altri periodi di assenza giustificata, con o senza retribuzione, spettanti al dipendente a qualunque titolo. Il che comporta che il lavoratore deve aver fruito di tutte le ferie e i permessi sino a quel momento maturati, e deve anche aver esaurito il periodo di comporto previsto dal contratto collettivo;
- il congedo (fino a 2 anni) non è computato nell’anzianità di servizio né ai fini previdenziali. La norma aggiunge che il dipendente può comunque procedere al riscatto del periodo di congedo mediante versamento dei relativi contributi, secondo quanto previsto per la prosecuzione volontaria dalla normativa vigente. Premesso però, come accennato sopra, che egli non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere altra attività di lavoro, resta da capire come possa procurarsi il denaro necessario per versare la contribuzione volontaria … Diciamo che sarebbe stato opportuno prevedere almeno la contribuzione figurativa per coprire il biennio senza attività di lavoro.
Nel caso di malattie oncologiche, malattie invalidanti o croniche, anche rare, che comportino un grado di invalidità pari o superiore al 74%, la sospensione dell’esecuzione della prestazione dell’attività svolta in via continuativa per il committente da parte di un lavoratore autonomo, di cui all’articolo 14, co. 1, della Legge 22 maggio 2017, n. 81, si applica per un periodo non superiore a 300 giorni per anno solare (articolo 1, co. 3, della Legge 18 luglio 2025, n. 106).
Passaggio allo smart working
Decorso il periodo di congedo biennale (come detto sopra: senza retribuzione, né contributi), il lavoratore dipendente, per lo svolgimento della propria attività lavorativa, ha diritto ad accedere prioritariamente, ove la prestazione lavorativa lo consenta, alla modalità di lavoro agile ai sensi del Capo II della Legge 22 maggio 2017, n. 81.
Attenzione però: egli ha “diritto” di accedere prioritariamente (quindi, non si tratta di un diritto assoluto ma solo della “priorità” rispetto ai colleghi che non si trovano in situazioni di particolare difficoltà, come nel caso in esame) ma solo se la prestazione lavorativa lo consente.
I nuovi permessi dal 2026
Con una disposizione – a dire il vero ben mimetizzata nell’articolo 2, co. 5 – che fa decorrere la validità di quanto si dirà solamente a partire dal 1° gennaio 2026, si prevede che i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati, affetti:
- da malattie oncologiche in fase attiva o in follow-up precoce,
ovvero - da malattie invalidanti o croniche, anche rare, che comportino un grado di invalidità pari o superiore al 74%;
previa prescrizione del medico di medicina generale o di un medico specialista operante in una struttura sanitaria pubblica o privata accreditata, hanno diritto di fruire, in aggiunta alle tutele previste dalla normativa vigente e dai contratti collettivi nazionali di lavoro (non si comprende per quale ragione la norma si limiti a contemplare solo i CCNL, omettendo di citare la contrattazione collettiva c.d. di secondo livello, e quindi i contratti collettivi territoriali e aziendali) in relazione alla diversa disciplina dei rapporti di lavoro, di ulteriori 10 ore annue di permesso, con riconoscimento dell’indennità di cui al co. 2 e della copertura figurativa, per i periodi utilizzati per visite, esami strumentali, analisi chimico-cliniche e micro biologiche nonché cure mediche frequenti.
Il diritto alle 10 ore di permesso annue è riconosciuto anche ai dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati con figlio minorenne affetto da malattie oncologiche, in fase attiva o in follow-up precoce, ovvero da malattie invalidanti o croniche, anche rare, che comportino un grado di invalidità pari o superiore al 74%.
Per le ore di permesso aggiuntive (ossia le 10 ore annue) si applica la disciplina prevista per i casi di gravi patologie richiedenti terapie salvavita, e ai lavoratori compete un’indennità economica determinata nelle misure e secondo le regole previste dalla normativa vigente in materia di malattia.
Inoltre, nel settore privato, l’indennità per le ore di permesso è direttamente corrisposta dai datori di lavoro e successivamente da loro recuperata tramite conguaglio con i contributi dovuti all’Ente previdenziale.
Nel settore pubblico, le amministrazioni competenti provvedono alla sostituzione del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario delle istituzioni scolastiche nonché del personale per il quale è prevista la sostituzione obbligatoria nel rispetto della contrattazione collettiva nazionale.
Diritto al passaggio al part time
In aggiunta alle disposizioni ora introdotte, merita anzitutto di essere citata la previsione già contenuta nell’articolo 8, co. 3, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81. In pratica, i lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie oncologiche nonché da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l’azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale.
A richiesta del lavoratore il rapporto di lavoro a tempo parziale è trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno.
Priorità nel passaggio al part time
Sempre l’articolo 8 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 – questa volta però al co. 4 – dispone che, in caso di patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti:
- il coniuge;
- la parte di un’unione civile o il convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, co. 2 e 36 della Legge 20 maggio 2016, n. 76;
- i figli o i genitori del lavoratore o della lavoratrice;
è riconosciuta (solo) la priorità (e non un vero e proprio diritto, come avviene invece nel caso evidenziato appena sopra) nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.
Inoltre, la lavoratrice o il lavoratore che richiede la trasformazione del contratto, ai sensi di quanto appena sopra, non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro. Qualunque misura adottata in violazione del precedente periodo è da considerarsi ritorsiva o discriminatoria e, pertanto, nulla.
La violazione delle disposizioni da ultimo citate, ove rilevata nei 2 anni antecedenti alla richiesta della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198, o di analoghe certificazioni previste dalle Regioni e dalle Province autonome nei rispettivi ordinamenti, impedisce al datore di lavoro il conseguimento delle stesse certificazioni.
Conclusioni
Si sarebbe, probabilmente, potuto osare di più ma certamente, vista la notoria scarsità delle risorse disponibili, è stato compiuto un primo passo nella giusta direzione.
Riferimenti normativi:
- D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 8
- Legge 20 maggio 2016, n. 76, art. 1
- Legge 22 maggio 2017, n. 81, artt. 14 e da 18 a 24
- Legge 18 luglio 2025, n. 106
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