CIRCOLARE MONOGRAFICA
DI EMANUELE MAESTRI | 8 SETTEMBRE 2025
Il punto alla luce della giurisprudenza e della prassi più recenti e rilevanti
Arriva un’altra proroga per quanto riguarda la data ultima entro la quale le singole parti del rapporto di lavoro – ove non abbia ancora provveduto il contratto collettivo o non si tratti della necessità di sostituire un altro dipendente – possono, direttamente tra loro, individuare le esigenze che la disciplina vigente in materia di contratti a tempo determinato prevede in talune fattispecie. Il punto alla luce della giurisprudenza e della prassi più recenti e rilevanti.
Nozioni preliminari
Poiché – come prevede l’articolo 1 del D.Lgs. 15 giugno 2025, n. 81 – il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro, il ricorso alle tipologie contrattuali c.d. flessibili, o atipiche, è soggetto a una serie di condizioni, limiti numerici e obblighi formali. Per quanto concerne, in particolare, il contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, i principali “vincoli” riguardano quanto segue:
- obbligo della forma scritta, a pena di nullità per l’indicazione del termine (con la sola eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a 12 giorni);
- limiti di durata massima sia per il singolo rapporto (12 mesi senza indicazione delle cd. causali), come anche per la sommatoria di più rapporti, per mansioni di pari livello e categoria legale, inclusi i periodi di missione nell’ambito della somministrazione di lavoro a tempo determinato (24 mesi, salvo più favorevole previsione del contratto collettivo applicato);
- contratto c.d. in deroga (per un massimo di ulteriori 12 mesi) a condizione che la stipula avvenga presso la sede dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro competente per territorio;
- rispetto dei divieti di cui all’articolo 20 del D.Lgs. n. 81/2015, pena la trasformazione del contratto in un ordinario rapporto a tempo indeterminato;
- regole assai stringenti per la proroga, il rinnovo e la continuazione (al riguardo sono previsti limiti precisi quanto al numero di proroghe, al cd. stop and go tra due contratti a termine, alla durata massima della continuazione e relative maggiorazioni retributive);
- limitazioni numeriche (con alcune eccezioni) per quanto riguarda il numero di dipendenti che è possibile assumere a tempo determinato;
- diritti di precedenza, sia per i casi ordinari che per le ipotesi particolari (lavoratori stagionali e lavoratrici che hanno fruito del congedo di maternità di cui al Capo III del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, usufruito nell’esecuzione di un contratto a tempo determinato presso lo stesso datore);
- criteri di computo dei lavoratori a termine;
- termini di impugnazione e conseguenze (anche economiche) della violazione delle disposizioni inderogabili in materia.
Quanto sopra, e molto altro ancora, deve essere puntualmente rispettato ove si vogliano, appunto, evitare le pesanti conseguenze che le norme vigenti prevedono.
Causali: cosa sono e quando vanno indicate
Venute meno le causali “lunari” previste dal c.d. Decreto Dignità del 2018, resta fermo l’obbligo del datore di lavoro – al ricorrere di alcune determinate situazioni – di motivare, ossia di “spiegare perché” ha stipulato il contratto a tempo determinato, lo ha prorogato, o lo ha rinnovato.
Al momento, le c.d. causali (o esigenze) sono così individuate dall’articolo 19, co. 1:
a. nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51;
b. in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2026 (termine così appena prorogato dall’articolo 14, co. 6-bis, del Decreto-Legge 30 giugno 2025, n. 95, rispetto alla precedente scadenza che era fissata al 31 dicembre 2025), per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti;
b-bis. in sostituzione di altri lavoratori.
L’articolo 51 del D.Lgs. n. 81/2015, dispone che – salvo diversa previsione – ai fini del medesimo decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
All’atto pratico, la norma prevede una sorta di gerarchia delle fonti, per cui viene prima la previsione di cui alla lettera a) e poi quella di cui alla lettera b), non mancando un’ipotesi speciale, una sorta di “liberi tutti”, ove si tratti delle esigenze di sostituzione di un dipendente assente (per esempio a seguito di malattia o maternità) ma avente diritto alla conservazione del posto.
Contratti collettivi di cui all’articolo 51
Come precisato dal Ministero del Lavoro nella Circolare 9 ottobre 2023, n. 9, la riforma valorizza il ruolo della contrattazione collettiva nell’individuazione dei casi che consentono di apporre al contratto di lavoro un termine superiore ai 12 mesi, ma in ogni caso non eccedente la durata massima di 24 mesi, nel rispetto di quanto previsto dal co. 1 del medesimo articolo 19 (in realtà, come vedremo tra breve, le causali rientrano in gioco anche in altre ipotesi).
Contratti collettivi applicati in azienda e clausole individuali
Sempre rifacendoci alle indicazioni ministeriali, la lettera b) del co. 1 esplicita che, in assenza delle previsioni di cui alla lettera a) – che richiama tutti i livelli della contrattazione collettiva – le condizioni possano essere individuate dai contratti collettivi applicati in azienda, fermo restando il rispetto delle previsioni di cui all’articolo 51 del D.Lgs. n. 81/2015 in ordine alla qualificazione dei soggetti stipulanti, in un’ottica di valorizzazione della contrattazione di prossimità.
La stessa lettera b) introduce poi la possibilità che le parti del contratto individuale di lavoro – in assenza di specifiche previsioni contenute nei contratti collettivi – possano individuare esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro di durata superiore ai 12 mesi (ma ugualmente non superiore ai 24 mesi). Ai sensi di tale disposizione, le parti individuali possono avvalersi solo temporaneamente di tale possibilità, entro la data del 31 dicembre 2026 (frutto della proroga del precedente termine, individuato nella data del 31 dicembre 2025), consentendo in tal modo alle Parti sociali di adeguare alla nuova disciplina i contratti collettivi sopra richiamati, le cui previsioni costituiscono fonte privilegiata in questa materia.
Al riguardo, merita di essere precisato quanto segue:
a. se il contratto collettivo non ha ancora disciplinato le causali, il singolo datore e dipendente possono, d’accordo tra loro, individuare le esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva;
b. se il contratto collettivo interviene, da quel giorno la possibilità di cui appena sopra viene meno;
c. se il contratto individuale è stato stipulato il 9 agosto 2025, con data di scadenza (per esempio) 12 ottobre 2026, anche se il contratto collettivo regolamenta l’istituto dal 10 agosto 2025 in poi la pattuizione individuale resta valida;
d. infine, fermo quanto precisato sopra, la data del 31 dicembre 2026 è da intendersi come riferita alla stipula del contratto di lavoro, la cui durata, pertanto, potrà anche andare oltre tale termine.
Esigenze legate alla sostituzione di altri lavoratori
Premesso che nulla muta quanto all’onere del datore di lavoro di precisare nel contratto le ragioni concrete ed effettive della sostituzione, restando la stessa comunque vietata – ai sensi dell’articolo 20, co. 1 , lettera a) – per sostituire i lavoratori che esercitano il diritto di sciopero, l’individuazione delle ragioni della sostituzione appare ancora più necessaria nelle ipotesi in cui il datore intenda avvalersi dei benefici previsti dalla legge per specifiche ipotesi di assunzione per sostituzione (ad esempio gli sgravi contributivi di cui all’articolo 4, co. 3 e 4, del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151).
L’articolo 4 del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, dispone quanto segue:
“Nelle aziende con meno di 20 dipendenti, per i contributi a carico del datore di lavoro che assume personale con contratto a tempo determinato in sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo, è concesso uno sgravio contributivo del 50%. Quando la sostituzione avviene con contratto di lavoro temporaneo, l’impresa utilizzatrice recupera dalla società di fornitura le somme corrispondenti allo sgravio da questa ottenuto (co. 3).
Le disposizioni del co. 3 trovano applicazione fino al compimento di 1 anno di età del figlio della lavoratrice o del lavoratore in congedo o per 1 anno dall’accoglienza del minore adottato o in affidamento (co. 4).“
Obbligo di indicare le causali: singolo contratto da più di 12 e fino a 24 mesi
La regola generale, per stare tranquilli, è che il primo contratto (se fosse il secondo si tratterebbe di un rinnovo) tra le medesime parti non duri più di 12 mesi; la durata può poi salire a 24 mesi ma in questa ipotesi deve essere indicata, appunto, rigorosamente in forma scritta, una delle causali di cui sopra.
Si presti attenzione al fatto che – ai sensi di quanto previsto dall’articolo 19, co. 1-bis del D.Lgs. n. 81/2015D.Lgs. n. 81/2015 – in caso di stipulazione di un contratto di durata superiore a 12 mesi in assenza delle condizioni di cui al co. 1, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di 12 mesi.
Obbligo di indicare le causali: contratto in deroga presso l’ITL
L’articolo 19, co. 3, dispone che – fermo quanto disposto al co. 2 (in materia di durata massima per sommatoria di tutti i rapporti a termine, ossia 24 mesi di legge oppure il maggior limite consentito dal contratto collettivo) – un ulteriore contratto di lavoro subordinato a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata massima di 12 mesi, può essere stipulato presso la sede territorialmente competente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
Attenzione però: in caso di mancato rispetto di tale procedura, nonché di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto (che comunque deve essere limitato a un massimo di altri 12 mesi), lo stesso si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data della stipulazione.
Obbligo di indicare le causali: proroghe
Con l’importante eccezione delle attività stagionali, la regola generale, per stare tranquilli, è che la proroga o le proroghe sommate tra loro non facciano superare i 12 mesi di durata massima (in tale ipotesi non va individuata alcuna causale).
Se si supera il 12° mese (per esempio: contratto originario di 8 mesi, prorogato di altri 6), l’indicazione della c.d. esigenza è assolutamente necessaria, pena la trasformazione in contratto a tempo indeterminato.
Il lavoratore, ovviamente deve essere d’accordo e deve firmare l’atto scritto di proroga.
Qualora il numero delle proroghe sia superiore a 4, il contratto si trasforma a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga.
A seguito di quanto previsto dall’articolo 24, co. 1-ter, del D.L. 4 maggio 2023, n. 48D.L. 4 maggio 2023, n. 48 (convertito dalla Legge 3 luglio 2023, n. 85), ai fini del computo del termine di 12 mesi previsto dall’articolo 19, co. 1, e dall’articolo 21, co. 01, del D.Lgs. n. 81/2015, come modificati dai co. 1 e 1-bis del medesimo articolo, si tiene conto dei soli contratti stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 48/2025.
In relazione a tale nuova previsione – e quanto diremo vale anche per i rinnovi – il Ministero (nella citata Circolare n. 9/2023) ha precisato quanto segue:
- con il co. 1-ter si introduce una previsione che ha l’effetto di consentire ulteriori contratti di lavoro a termine privi di causale per la durata massima di 12 mesi, a prescindere da eventuali rapporti già intercorsi tra lo stesso datore e lo stesso lavoratore prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 48/2023;
- più in particolare, la disposizione prevede che, ai fini del raggiungimento del limite massimo di 12 mesi (previsto sia dall’articolo 19, co. 1, che dall’articolo 21, co. 01, del D.Lgs. n. 81/2015), si tiene conto solo dei contratti stipulati a decorrere dal 5 maggio 2023, data di entrata in vigore del D.L. n. 48/2023 citato;
- ne consegue che eventuali rapporti di lavoro a termine intercorsi tra le medesime parti in forza di contratti stipulati prima del 5 maggio 2023 non concorrono al raggiungimento del termine di 12 mesi entro il quale viene consentito liberamente il ricorso al contratto di lavoro a termine;
- per effetto di tale previsione, dal 5 maggio 2023, i datori potranno liberamente fare ricorso al contratto a termine per un ulteriore periodo (massimo) di 12 mesi, senza necessità di ricorrere alle specifiche condizioni dell’articolo 19, co. 1, indipendentemente da eventuali rapporti già intercorsi tra lo stesso datore e lavoratore in forza di contratti stipulati prima del 5 maggio 2023, ferma la durata massima dei contratti a tempo determinato prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva (non modificata dalla norma in esame);
Esempi
Se dopo il 5 maggio 2023 è scaduto un contratto a termine instaurato prima di tale data, lo stesso potrà essere rinnovato o prorogato “liberamente” per ulteriori 12 mesi. Se nel periodo intercorrente tra il 5 maggio 2023 e il 4 luglio 2023 (data di entrata in vigore del co. 1 ter) le parti abbiano già rinnovato o prorogato un rapporto a termine per 6 mesi, le stesse possono ricorrere al contratto a termine per un ulteriore periodo non superiore a 6 mesi “senza condizioni”. È dunque al momento in cui è stato stipulato il contratto – se anteriormente al 5 maggio 2023 o a decorrere da tale data – che deve farsi riferimento per l’applicazione di questa previsione. - l’espressione “contratti stipulati” utilizzata al co. 1-ter dell’articolo 24 è riferita sia ai rinnovi di precedenti contratti a termine sia alle proroghe di contratti già in essere. Tale lettura è coerente con il nuovo testo del co. 01 dell’articolo 21 del D.Lgs. n. 81/2015 – come modificato proprio dal D.L. n. 48 – ove è stato sostanzialmente uniformato il regime delle proroghe e dei rinnovi nei primi 12 mesi del rapporto di lavoro a termine.
Obbligo di indicare le causali: rinnovi
Per rinnovo si intende la riassunzione del medesimo dipendente (anche con altre mansioni) con un successivo contratto a termine, dopo che siano state rispettate (se non è previsto diversamente da parte del contratto collettivo) le c.d. pause intermedie (o stop and go), che sono pari a:
- 10 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a 6 mesi;
- 20 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a 6 mesi.
Ebbene, al netto di quanto già precisato sopra con riguardo alla deroga che è stata introdotta dal D.L. n. 48/2023 salvo che non si tratti di un rapporto di tipo “stagionale”, il contratto può essere rinnovato liberamente nei primi 12 mesi e, successivamente, solo in presenza delle condizioni di cui all’articolo 19, co. 1 : in caso di violazione, il contratto si trasforma a tempo indeterminato.
Considerazioni conclusive
In buona sostanza – con il rinvio al 31 dicembre 2026 della possibilità di individuare le singole e specifiche esigenze – la vita è stata resa un po’ più semplice sia ai datori che ai dipendenti, fermo restando che sarà la contrattazione collettiva (sia essa di livello nazionale, territoriale o aziendale) a dover definitivamente intervenire (ove, nel frattempo, non abbia già provveduto) per disciplinare compiutamente le causali, almeno nelle ipotesi in cui la loro indicazione (scritta) è assolutamente necessaria (peraltro, in tali ipotesi, pena la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato).
Riferimenti normativi:
- D.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525
- D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 4
- D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, artt. da 19 a 29
- D.L. 27 dicembre 2024, n. 202, art. 14(convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 febbraio 2025, n. 15)
- D.L. 30 giugno 2025, n. 95, art. 14, comma 6-bis (convertito, con modificazioni, dalla Legge 8 agosto 2025, n. 118)
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