COMMENTO
DI STUDIO TRIBUTARIO GAVIOLI & ASSOCIATI | 15 SETTEMBRE 2025
La persona fisica alla quale sia stato notificato un atto impositivo, il quale non rechi nessuna pretesa tributaria, neppure in via solidale o sanzionatoria nei suoi confronti, essendo intestato e diretto esclusivamente nei riguardi di una società, non è legittimata ad impugnarlo in proprio.
Legittimazione processuale dell’amministratore di fatto
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 23705, del 22 agosto 2025, ha affermato che l’ex amministratore di fatto di una società non può impugnare “in proprio” un avviso di accertamento fiscale intestato esclusivamente all’ente che non contenga alcuna pretesa tributaria direttamente a suo carico anche se l’atto impositivo è stato notificato a lui.
Nel caso in esame un contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento, emesso dall’Agenzia delle Entrate, per l’anno di imposta 2011, nei confronti di una società cooperativa Onlus, con conseguente recupero delle maggiori imposte a titolo di IRES e IVA, oltre sanzioni ed interessi.
Deduceva in via preliminare la nullità dell’avviso di accertamento in quanto notificato a soggetto (esso ricorrente) che aveva cessato la carica di legale rappresentante della società in data antecedente la notifica, ma affermava la propria legittimazione attiva all’impugnazione, in applicazione del principio costituzionale di difesa; deduceva nel merito l’insussistenza di responsabilità fiscale per l’anno 2011, avendo sempre adempiuto correttamente a tutte le obbligazioni e l’esistenza dei requisiti di mutualità in capo alla cooperativa.
La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso, ritenendo che il ricorrente non poteva essere destinatario della notifica dell’avviso di accertamento intestato alla società, in quanto la carica era cessata nel gennaio 2013 e che non erano state fornite prove circa la sua qualità di amministratore di fatto della cooperativa, per il periodo successivo alla cessazione della carica.
La Commissione Tributaria Regionale rigettava il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
Avverso la sentenza sfavorevole l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione.
Le osservazioni sul ruolo dell’amministratore di fatto
L’art. 2639 c.c. afferma che l’amministratore di fatto di una società è da ritenersi responsabile di tutti quei doveri cui è soggetto normalmente anche l’amministratore di diritto; sull’argomento del c.d. amministratore di fatto si è espressa la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33385/2012; in tale occasione per i giudici di legittimità anche l’amministratore di fatto deve rispondere per evasione fiscale e omessa presentazione della dichiarazione dei redditi della società.
Accade sempre più spesso, infatti, che negli accertamenti e verifiche effettuate da parte dell’Amministrazione finanziaria nei confronti di società, accanto o in alternativa a reati imputabili all’amministratore di diritto, si annoverano le attività poste in essere da soggetti non investiti formalmente dall’attività di gestione.
Il fenomeno è generalmente collegato ad intenti fraudolenti indirizzati all’evasione delle imposte mediante l’attribuzione di cariche societarie ad una c.d. “testa di legno” o “uomo di paglia” ossia ad un soggetto privo di qualsivoglia possidenza patrimoniale, nei confronti dei quali si renderebbe vana ed inutile qualsiasi azione esecutiva erariale. In questi casi, i rappresentanti dell’Amministrazione finanziaria devono eseguire le proprie attività nei confronti di un amministratore “apparente” e uno “di fatto” e questo nella consapevolezza che la responsabilità penale può manifestarsi in relazione:
- sia al principio della “personalità” del reato;
- sia alla specifica attribuzione funzionale corrente tra la società ed il soggetto ad essa legalmente preposto.
In questo contesto resta indubbia la necessità di individuare e punire chi, per un comportamento omissivo o commissivo, possa aver configurato, tramite il proprio comportamento, ad una responsabilità penale derivante dalla violazione di un obbligo giuridico che, nella fattispecie in commento, è “un obbligo di agire, passibile quindi della composizione di un c.d. reato omissivo proprio”.
Nella realtà d’impresa, accade sovente che funzioni ricollegate al possesso di qualifiche formali siano svolte, in concreto, da soggetti che ne sono sprovvisti. Le ipotesi in cui un’impresa è formalmente amministrata da un prestanome (o “testa di legno” o “uomo di paglia”), ma è di fatto gestita da un soggetto terzo privo di formale investitura, possono essere le più disparate: si pensi, in via meramente esemplificativa, alle casistica relativa a pratiche fraudolente finalizzate all’evasione delle imposte mediante l’attribuzione di cariche societarie in capo a soggetti, più o meno consapevoli, destinati ad assumersi ogni responsabilità amministrativa ed eventualmente penale (quali, ad esempio, le c.d. “frodi carosello”).
La risposta
Osserva preliminarmente la Cassazione (cfr., da ultimo, Cass. n. 12867/2025) che la legittimazione processuale ad impugnare un atto impositivo emesso nei confronti di una persona giuridica integra questione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Si tratta, in sintesi, di verificare quale soggetto abbia impugnato l’atto impositivo, a quale titolo e se, nella veste vantata, fosse legittimato a farlo.
È stato, altresì, precisato che si tratta di questione di natura evidentemente preliminare ad ogni ulteriore statuizione che attinga il merito della lite (compresa pertanto quella relativa alla validità della notifica dell’avviso), che, nella fattispecie in esame, è stata affrontata sia dal giudice di primo grado, che ha ritenuto che il ricorrente fosse legittimato a far valere la dedotta nullità della notifica per essere all’epoca già cessata la sua qualità di legale rappresentante, sia dal giudice di secondo grado, che ha ritenuto che l’appellato avesse interesse a ricorrere in proprio, perché nell’atto di appello si deduceva per la prima volta una precisa responsabilità del ricorrente, il quale, secondo l’Ufficio, avrebbe continuato a ricoprire di fatto la carica di amministratore anche dopo il formale trasferimento della cooperativa all’estero.
La C.T.R. confermava pertanto la legittimazione processuale dell’appellato ad impugnare “in proprio” l’avviso di accertamento emesso nei confronti della cooperativa, in quanto “atto potenzialmente pregiudizievole della propria sfera giuridica”.
Per la Cassazione occorre partire dal dato (incontestato e risultante dalla stessa sentenza impugnata) che l’atto impositivo era diretto esclusivamente alla società cooperativa.
La necessaria conseguenza di tale premessa è che la legittimazione ad impugnare l’atto impositivo intestato alla società spettava a quest’ultima.
Deve, quindi, concludersi che l’ex amministratore ha proposto il ricorso introduttivo in nome proprio, impugnando un atto impositivo che era diretto nei confronti di un diverso soggetto giuridico (la società cooperativa) e che non lo attingeva direttamente, non contenendo pretese impositive o sanzionatorie nei suoi confronti, con conseguente difetto di legittimazione attiva ed inammissibilità dello stesso ricorso.
La Cassazione in passato aveva già rilevato, che l’interesse del (supposto) amministratore ad impugnare in proprio l’avviso d’accertamento emesso nei confronti della società non può individuarsi dall’esposizione dell’amministratore a responsabilità o sanzioni per violazioni imputabili alla società amministrata, trattandosi di ipotesi di responsabilità che trovano la loro fonte immediata nella violazione di obblighi inerenti alla carica rivestita e che vanno accertati dall’Ufficio (cfr. Cass. n. 29474 del 21 ottobre 2021).
La Cassazione nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia delle Entrate ribadisce, in conclusione, il seguente principio di diritto “la persona fisica alla quale sia stato notificato un atto impositivo, il quale non rechi nessuna pretesa tributaria (neppure in via solidale o sanzionatoria) nei suoi confronti, essendo intestato e diretto esclusivamente nei riguardi di una società, non è legittimata ad impugnarlo in proprio, neanche al fine di negare di possedere la qualità ed il potere rappresentativo in ragione dei quali gli è stata indirizzata la notifica dello stesso atto”.
Riferimenti normativi:
- Codice civile, art. 2639;
- Cass., sez. trib., sent. 22 agosto 2025, n. 23705.
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