3° Contenuto Riservato: Rassegna di Giurisprudenza 19 settembre 2025, n. 614

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA

A CURA DI BENEDETTA CARGNEL | 19 SETTEMBRE 2025

Con il Messaggio INPS n. 2568 del 3 settembre 2025, l’Istituto ha comunicato le modalità operative per il recupero dello sgravio contributivo previsto dall’art. 6 del D.L. n. 510/1996, in favore delle imprese che avevano stipulato contratti di solidarietà difensivi con integrazione salariale straordinaria (CIGS), entro il 31 dicembre 2017. L’intervento riguarda le risorse residue non ancora utilizzate dello stanziamento 2017, come risultante dalle rilevazioni effettuate in collaborazione con il Ministero del Lavoro.

CESSIONE RAMO D’AZIENDA

Risarcimento del danno

La responsabilità del datore di lavoro in caso di cessione di ramo di azienda – Cass., Sez. Lav., ord. 29 agosto 2025, n. 24205

Il Fatto

Un lavoratore ricorreva in giudizio per far accertare la violazione da parte del suo ex datore di lavoro degli obblighi di buona fede e diligenza nella stipula di una cessione di ramo d’azienda.

Il lavoratore era stato trasferito a una nuova società che, a pochi anni dal trasferimento, aveva avviato procedure per esuberi di personale e che in seguito era fallita. Il lavoratore riteneva che il suo ex datore di lavoro avesse agito con negligenza, non avendo garantito una cessione a un’azienda non fallibile, a fronte di accordi sindacali che miravano a tutelare l’occupazione.

Il Tribunale e la Corte d’Appello respingevano la domanda e il lavoratore ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte rileva che non esiste un obbligo per l’imprenditore di garantire che la società cessionaria di un ramo d’azienda non fallisca in futuro e quindi la validità della cessione d’azienda non è condizionata a una “prognosi favorevole” sulla continuazione dell’attività produttiva. Non vi può essere alcun limite alla libertà dell’imprenditore di dismettere l’azienda nel rispetto dell’art. 41 della Costituzione.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

DEMANSIONAMENTO

Trasferimento

La differenza tra demansionamento e provvedimento di assegnazione definitiva a nuova mansione – Cass., Sez. Lav., ord. 11 agosto 2025, n. 23026

Il Fatto

Un lavoratore adiva il Tribunale per ottenere  la reintegra nelle precedenti mansioni, da cui era stato trasferito  e di ottenere il risarcimento dei danni per il demansionamento.

Il Tribunale accoglieva la domanda, mente la Corte d’Appello, in riforma la rigettava, in quanto il trasferimento e il demansionamento erano stati attuati nell’ambito di un processo di riorganizzazione aziendale, volto a contenere i costi e a ricollocare il personale in esubero, in accordo con le organizzazioni sindacali e con il consenso del lavoratore.

Il lavoratore ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte rileva che, nel caso di specie, si è trattato di n provvedimento di assegnazione definitiva di nuove mansioni, a parità di trattamento retributivo e di inquadramento contrattuale già posseduto, di cui il lavoratore era consapevole, finalizzato alla conservazione del posto di lavoro.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

INPS

Contribuzione

Il regime contributivo dei lavoratori trasfertisti – Cass., Sez. Lav., ord. 28 agosto 2025, n. 24148

Il Fatto

Una società  impugnava un verbale di accertamento dell’INPS che contestava delle omissioni contributive legate a  spese per i lavoratori trasfertisti, sostenute direttamente dall’azienda, che INPS riteneva dovessero essere interamente imponibili, poiché il regime di cui all’art. 51, comma 6, TUIR (che prevede un’imponibilità al 50%) è alternativo a quello che consente l’esenzione dei rimborsi spese.

Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettavano la domanda e la società ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La Corte ha confermato la decisione della Corte d’Appello, ribadendo che i regimi previsti dai commi 5 e 6 dell’art. 51 TUIR sono alternativi. Le spese riferite alla trasferta ed ai rimborsi chilometrici che in via consuetudinaria costituiscono una delle due componenti della indennità di trasferta e concorrono a formare il reddito secondo quanto emergente anche dall’art. 51, comma 5, TUIR che ne opera solo a certe condizioni la non computabilità, vanno interamente comprese nella base di calcolo per i contributi da versarsi posto che per esse la peculiare disciplina inerente i trasfertisti non prevede che ne siano escluse neppure in parte.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

La base imponibile per i contributi della gestione commercianti – Cass., Sez. Lav., ord. 3 settembre 2025, n. 24449

Il Fatto

Un lavoratore ricorreva contro l’INPS per escludere la sua quota di partecipazione agli utili di un’impresa individuale dalla base imponibile per i contributi alla Gestione Commercianti.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda, sostenendo che la contribuzione a percentuale del lavoratore autonomo si commisura alla totalità dei redditi d’impresa dichiarati ai fini IRPEF, indipendentemente dalla natura industriale o commerciale dell’attività.

Il lavoratore ricorreva per cassazione. 

Il Diritto

La Corte ricorda che il lavoratore autonomo, iscritto alla gestione previdenziale, in quanto dedito a un’attività lavorativa caratterizzata da tutti i requisiti indispensabili per il sorgere della tutela previdenziale obbligatoria, debba includere nella base imponibile, sulla quale calcolare i contributi, la totalità dei redditi d’impresa, così come definiti dalla disciplina fiscale, infatti la base imponibile per i contributi previdenziali dei lavoratori autonomi, iscritti alla gestione previdenziale, include la totalità dei redditi d’impresa così come definiti dalla disciplina fiscale. L’interpretazione letterale e sistematica dell’art. 3-bis del D.L. n. 384 del 1992, non consente di operare distinzioni in base alla natura dell’attività. L’unica eccezione è per i redditi di capitale, come quelli derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali senza prestazione di attività lavorativa.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

L’onere probatorio per il diritto agli sgravi contributivi – Cass., Sez. Lav., ord. 28 agosto 2025, n. 24131

Il Fatto

Una società proponeva opposizione a un avviso di addebito emesso dall’INPS per il pagamento di contributi omessi i relativi a somme  corrisposte ai lavoratori a titolo di trasferta.

Il Tribunale accoglieva la domanda, mentre la Corte d’Appello la rigettava, ritenendo che la società non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare l’occasionalità delle trasferte, tali da beneficiare degli sgravi contributivi previsti per i “trasfertisti occasionali”.

La società ricorreva cassazione.

Il Diritto

La corte ricorda che in materia di sgravi contributivi è il datore di lavoro a dover provare i requisiti necessari per l’esonero.

 giudici hanno inoltre dichiarato inammissibili le doglianze sulla valutazione delle prove, in quanto tale la corte pertanto rigetta il ricorso.

Fondo Garanzia

I presupposti per l’accesso al fondo di garanzia di INPS – Cass., Sez. Lav., ord. 20 agosto 2025, n. 23620

Il Fatto

Un gruppo di lavoratori ricorreva in giudizio per ottenere dall’INPS, quale fondo di garanzia, il pagamento del TFR e delle ultime retribuzioni maturate a seguito del fallimento della società per cui lavoravano.

Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettavano la domanda, ritenendo che il credito non fosse stato previamente accertato con un titolo esecutivo.

I lavoratori ricorrevano per cassazione.

Il Diritto

La corte ricorda che il diritto del lavoratore di ottenere dall’INPS, in caso d’insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione del TFR a carico dello speciale Fondo di cui all’art. 2 della Legge n. 297 del 1982 rappresenta un diritto di credito ad una prestazione previdenziale, distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro.

Per tale motivo, l’accertamento giurisdizionale della misura del TFR dovuto in esito all’ammissione allo stato passivo ovvero la sua consacrazione in un titolo esecutivo conseguito nei confronti del datore di lavoro rappresentano la modalità necessaria per l’individuazione della misura stessa dell’intervento solidaristico del Fondo di garanzia, essendo l’ente previdenziale terzo rispetto al rapporto di lavoro inter partes ed essendo nondimeno la sua obbligazione modulata sul TFR maturato in costanza di rapporto di lavoro.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

Pensione

L’accertamento della prescrizione del diritto – Cass., Sez. Lav., ord. 16 agosto 2025, n. 23352

Il Fatto

La figlia maggiorenne e invalida di un pensionato richiedeva la pensione di reversibilità del padre, deceduto.

Il Tribunale e la Corte d’Appello accoglievano la domanda e INPS ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte ricorda che  l’eccezione di prescrizione non può essere considerata generica anche se non viene indicato il “dies a quo”. una volta sollevata la questione della prescrizione, l’intera fattispecie resta devoluta al giudice anche con riguardo alla decorrenza del “dies a quo”, che rimane “sub iudice”, e rientra, pertanto, nei poteri del giudice di secondo grado valutare d’ufficio, sulla scorta degli elementi ritualmente acquisiti, la corretta individuazione del termine iniziale della prescrizione.

Poiché i giudici di merito non si sono attenuti a tali principi, la corte accoglie il ricorso.

LICENZIAMENTO

Patto di prova

La legittimità del patto di prova – Cass., Sez. Lav., sent. 29 agosto 2025, n. 24202

Il Fatto

Un lavoratore adiva il Tribunale per far dichiarare nullo un patto di prova di sei mesi contenuto nel suo contratto di lavoro e, di conseguenza, ottenere l’annullamento del suo licenziamento e la reintegrazione nel posto di lavoro.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado accoglieva la domanda.

Il datore di lavoro ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte ricorda che per la valutazione di specificità del patto di prova occorre considerare la non necessità di descrizione in dettaglio delle singole mansioni in presenza di svolgimento di attività di contenuto intellettuale, la possibilità di rinvio per relationem al contratto collettivo applicabile  e, ai fini dell’interpretazione del contratto, l’utilizzo di elementi extratestuali ricavabili dalla condotta delle parti, quali il pregresso bagaglio lavorativo esplicitato nel curriculum, ritenuto consentito.

La corte osserva poi che, in relazione ad un patto di prova nullo, la trasformazione dell’assunzione in definitiva comporta il venir meno del regime di libera recedibilità sancito dall’art. 1 Legge n. 604 del 1966, con conseguenza che il mancato superamento della prova è inidoneo a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento e non si sottrae alla relativa disciplina limitativa dettata dalle Legge n. 604 del 1966.

Quanto alla tutela applicabile al lavoratore, la corte ribadisce che  il mancato superamento di una prova che non esiste è  una chiara ipotesi di insussistenza del fatto materiale, perché manca l’esistenza del fatto posto a fondamento della ragione giustificatrice e, a seguito della sentenza della Corte costituzionale (n. 128 del 2024 ) la tutela in tale ipotesi applicabile non potrà che essere quella della reintegrazione c.d. attenuata, così come era stato ritenuto dopo l’entrata in vigore della c.d. legge Fornero ai sensi dell’art. 18 comma 4 Legge n. 300 del 1970.

Poiché i giudici di merito si sono attenuti a tali principi, la corte rigetta il ricorso.

RETRIBUZIONE

Orario di lavoro

La retribuzione del c.d. tempo tuta – Cass., Sez. Lav., ord. 2 settembre 2025, n. 24394

Il Fatto

Un lavoratore adiva il  Tribunale per ottenere il pagamento del surplus lavorativo, corrispondente al tempo necessario per la vestizione e svestizione della divisa, che a suo dire non veniva retribuito.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda e il lavoratore ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte osserva che il tempo di vestizione e svestizione rientra nell’orario di lavoro retribuito solo se risulta dalle apposite timbrature, come previsto dal CCNL  applicabile. Il lavoratore, per ottenere il pagamento, ha l’onere di allegare e dimostrare che tali operazioni sono avvenute prima e dopo le timbrature.

Nel caso di specie, i giudici di merito avevano già accertato che il ricorrente non aveva assolto a tale onere probatorio e pertanto  la corte rigetta il ricorso.

STRAINING

Risarcimento

L’adempimento spontaneo alla sentenza di primo grado senza alcun riconoscimento di responsabilità – Cass., Sez. Lav., ord. 2 settembre 2025, n. 24399

Il Fatto

Un lavoratore adiva il Tribunale per chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale e morale per infermità causate, da comportamenti penalmente rilevanti e da straining da parte dei suoi superiori.

La Corte d’Appello in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda e  il lavoratore ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La Corte osserva che il pagamento, anche senza riserve, delle spese processuali liquidate nella sentenza d’appello, o comunque esecutiva, non comporta acquiescenza alla stessa, neppure quando sia antecedente alla minaccia di esecuzione o all’intimazione del precetto.

Poiché i giudici di merito hanno correttamente valutato la posizione, la corte rigetta il ricorso.

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