CIRCOLARE MONOGRAFICA
DI EMANUELE MAESTRI | 23 SETTEMBRE 2025
Chiarimenti sulla misura dell’indennità che il datore deve erogare laddove il lavoratore sia stato illegittimamente licenziato
Una recente Ordinanza della Suprema Corte (n. 13741/2025 ) fa definitivamente chiarezza sulla misura dell’indennità che il datore deve erogare – nel caso in cui non intenda riassumere il dipendente entro 3 giorni – laddove il lavoratore sia stato illegittimamente licenziato. In particolare, oggetto di accertamento, sono i criteri in base ai quali l’indennità da 2,5 a 6 mensilità può essere elevata fino a 14 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, come disciplinata dall’articolo 8della Legge 15 luglio 1966, n. 604.
Premessa
Prima di procedere con l’esame dei principi affermati dalla Suprema Corte nell’Ordinanza n. 13741/2025 , è assolutamente necessario ricordare le necessarie distinzioni tra datori di lavoro c.d. “piccoli” e “grandi”, nonché tra dipendenti c.d. “vecchi” e “nuovi”. Ciò perché le norme vigenti in materia di tutela contro i licenziamenti illegittimi sono assai diversificate a seconda dell’organico impiegato dal datore a tempo indeterminato e della data di assunzione del singolo dipendente.
Le norme applicabili infatti variano tra la Legge 15 luglio 1966, n. 604, l’articolo 18 della Legge 20 maggio 1970, n. 300 e il D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23. La decisione che qui interessa verte sull’applicazione della sola Legge n. 604/1966 ma un minimo di ripasso non può far altro che giovare.
Datori “piccoli” e datori “grandi”
Se il dipendente impugna il licenziamento e ne contesta la legittimità, oltre alla sua data di assunzione (o conversione) a tempo indeterminato – ai fini dell’applicazione delle regole della Legge 15 luglio 1966, n. 604; della Legge 20 maggio 1970, n. 300; ovvero del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 – fondamentale rilevanza ha il numero dei lavoratori che sono posti alle dipendenze del singolo datore.
La norma di riferimento – per tutte le ipotesi (e, quindi, anche per le cd. tutele crescenti) – è l’articolo 18, co. 8, della Legge 20 maggio 1970, n. 300, secondo il quale sono considerati come “grandi” o di maggiori dimensioni, i datori che rientrano in una di queste situazioni:
- hanno una sola unità produttiva – intesa come sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo in cui ha avuto luogo il licenziamento – nella quale prestano la propria attività più di 15 dipendenti (più di 5, se si tratta di imprenditore agricolo);
- hanno – all’interno del territorio del medesimo Comune – due o più unità produttive, nelle quali, sommando tutti i lavoratori, prestano la propria attività più di 15 dipendenti (più di 5, se si tratta di imprenditore agricolo);
- hanno più unità produttive in diversi Comuni e, sommando tutti i dipendenti occupati all’interno del territorio italiano, il datore di lavoro ne ha più di 60 (anche se nessuna unità produttiva, considerata da sola, supera la fatidica quota dei 15 dipendenti).
In tutti questi casi, quindi, il datore viene considerato “grande”; negli altri casi, ossia se ha meno dipendenti rispetto a quelli indicati appena sopra, invece, è considerato “piccolo”.
Tale distinzione non riguarda il caso del licenziamento discriminatorio, orale e nullo, rispetto al quale non vi è alcuna differenza, nei diversi regimi, tra datore “piccolo” e datore “grande”. In tale ipotesi, la sanzione per il datore è sempre la reintegrazione del dipendente, accompagnata da un’indennità economica minima di 5 mensilità.
Lavoratori “vecchi” e lavoratori “nuovi”
Dal 7 marzo 2015, oltre al numero dei dipendenti, assoluta rilevanza ha anche la data in cui è stato assunto (o trasformato) a tempo indeterminato il lavoratore che in seguito viene licenziato (vi sono anche altre ipotesi, di cui diremo tra poco ma questa è certamente la più rilevante). In pratica, se il licenziamento è illegittimo, vale quanto segue indicato nella tabella che segue.
| Tipo datore | Tipo lavoratore | Norma applicabile |
| “piccolo” | “vecchio” | articolo 8 della Legge 15 luglio 1966, n. 604 |
| “grande” | “vecchio” | articolo 18 della Legge 20 maggio 1970, n. 300 |
| “piccolo” | “nuovo” | articolo 9 del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 |
| “grande” | “nuovo” | articolo 3 del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 |
Ma quali sono i lavoratori “nuovi”, ossia quelli ai quali si applica il D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, che disciplina il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti?
La risposta si trova nell’articolo 1 del medesimo D.Lgs. n. 23/2015, che considera tali:
- i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015;
- i lavoratori assunti con contratto a termine o di apprendistato, che è stato convertito a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015;
- tutti i lavoratori (inclusi quelli assunti prima del 7 marzo 2015), nel caso in cui, a seguito di nuove assunzioni a tempo indeterminato avvenute dal 7 marzo 2015 in poi, il datore venga a integrare il requisito dimensionale di cui all’articolo 18, co. 8, della Legge 20 maggio 1970, n. 300.
Un datore ha sempre avuto 15 dipendenti – tutti assunti a tempo indeterminato nel 2012 – e poi, il 18 settembre 2025 ha assunto il 16°; ciò comporta che essi saranno tutti soggetti alle disposizioni contenute nel D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (cfr. la lettera c appena sopra).
Tutela del “vecchio” dipendente nelle PMI: riassunzione o indennità “normale”
Ebbene, l’articolo 8 della Legge 15 luglio 1966, n. 604, dispone che – quando risulti accertato (da parte del giudice) che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo – il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di 3 giorni, o in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti.
Iniziamo da qui, evidenziando quanto segue:
- occorre prima che il giudice accerti che il licenziamento non è sorretto dalla giusta causa o da un giustificato motivo (oggettivo o soggettivo) e che quindi “condanni” il datore di lavoro;
- a questo punto, il giudice mette il datore di fronte a una (sua libera) scelta:
– o riassumi il dipendente entro 3 giorni,
– o gli paghi l’indennità che ho stabilito tra il minimo e il massimo; - la riassunzione non è la reintegrazione: se il datore opta per questa soluzione, il dipendente non ha diritto agli arretrati per il periodo in cui è stato licenziato ma solo a riprendere il servizio;
- l’indennità “normale” ha un importo compreso tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
- i criteri ai quali il giudice deve affidarsi per quantificarla tra il minimo e il massimo sono i seguenti:
– numero dei dipendenti occupati,
– dimensioni dell’impresa,
– anzianità di servizio del prestatore di lavoro,
– comportamento e condizioni delle parti.
Se, invece, si trattasse di un “nuovo” lavoratore, soggetto al regime delle tutele crescenti, sempre alle dipendenze di un datore c.d. “piccolo”, la misura dell’indennità (dopo la Sentenza della Corte Costituzionale 21 luglio 2025, n. 118 ) andrebbe da 3 a 18 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.
Il che rende evidente la sproporzione di trattamento e la necessità di un urgente intervento normativo di armonizzazione tra le due discipline.
Tutela del “vecchio” dipendente nelle PMI: riassunzione o indennità “maggiorata”
Tornando al nostro articolo 8 della Legge 15 luglio 1966, n. 604, il secondo periodo dispone che la misura massima della predetta indennità può essere maggiorata:
- fino a 10 mensilità per il prestatore con anzianità superiore a 10 anni
e - fino a 14 mensilità per il prestatore con anzianità superiore ai 20 anni,
se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di 15 prestatori di lavoro (attenzione!).
Anche in questo caso, alcune brevi considerazioni:
- la misura minima resta fissata a 2,5 mensilità di retribuzione;
- le maggiorazioni scattano – se il giudice ritiene corretto attribuirle al dipendente che sia stato illegittimamente licenziato – alla doppia condizione dell’organico del datore e dell’anzianità di servizio – presso il medesimo datore – in capo al dipendente “espulso”.
La norma in esame fa riferimento al “datore di lavoro che occupa più di 15 prestatori di lavoro”. È del tutto evidente che essi non devono risultare impiegati nella medesima unità produttiva o nello stesso ambito comunale, altrimenti il datore sarebbe considerato “grande”. In pratica, basta pensare a un datore che occupi 7 dipendenti a tempo indeterminato a Como e altri 10 a Milano.
Ordinanza n. 13741/2025: fatto e decisione di merito
E veniamo alla novità. A seguito del licenziamento per giustificato motivo oggettivo di una dipendente, con sentenza del 18 luglio 2022, la Corte di appello di Roma, in parziale accoglimento del reclamo proposto dalla lavoratrice contro la sentenza e in parziale riforma della stessa, dichiarava l’illegittimità del licenziamento della lavoratrice effettuato dal datore e gli ordinava di riassumere la reclamante entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcirle il danno versandole un’indennità pari a 14 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione ed interessi dal dì della maturazione del diritto al saldo.
Tralasciando le altre questioni, il licenziamento era ritenuto illegittimo e, quindi la corte considerando applicabile il regime sanzionatorio previsto dall’articolo 8 della legge n. 604/1966, riteneva che alla lavoratrice competesse l’indennità ivi prevista nella misura massima di 14 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, e proprio tale quantificazione è stata oggetto di ricorso avanti la Suprema Corte.
Ordinanza n. 13741/2025: le statuizioni della Suprema Corte
Il datore ricorre allegando la “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 8 della Legge n. 604/1966″, deducendo che la Corte territoriale, nel ritenere illegittimo il licenziamento intimato, aveva altresì violato l’articolo 8 della Legge n. 604/1966, laddove aveva riconosciuto alla signora il diritto a 14 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, ovvero l’aumento massimo dell’indennità prevista nella citata norma.
La Corte stessa, invece, in considerazione del numero di dipendenti occupati, avrebbe dovuto limitare la misura dell’indennità risarcitoria unicamente tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità. Tale motivo è stato ritenuto fondato. La corte d’appello infatti ha valutato unicamente l’elevata anzianità di servizio della dipendente, senza provare anche che il datore aveva più di 15 dipendenti in tutto.
Nel richiamare la norma, la Suprema Corte ha quindi evidenziato quanto segue:
- le disposizioni dell’articolo 8 della Legge n. 604/1966 (come modificate dall’articolo 2 della Legge n. 108/1990) sono applicabili a tutti i licenziamenti intervenuti dopo l’entrata in vigore del nuovo testo di tale norma, e quindi anche al licenziamento in esame: è infatti ininfluente il dato che la lavoratrice fosse stata assunta dal convenuto nel 1988, e quindi prima di tale entrata in vigore;
- la giurisprudenza di cassazione ha chiarito che, in materia di risarcimento dei danni per licenziamento illegittimo, l’articolo 8 della Legge n. 604/1966 (come modificato dall’articolo 2 della Legge n. 108/1990) consente di superare il limite massimo della indennità risarcitoria, fissato in 6 mensilità di retribuzione, ove ricorrano cumulativamente 2 condizioni:
– anzianità di servizio
e
– dimensione aziendale.
Per quanto riguarda questo secondo elemento, l’espressione “datore di lavoro che occupa più di 15 dipendenti” deve essere interpretata nel sistema delle leggi sui limiti alla facoltà di recesso del datore e va, quindi, intesa nel senso che la maggiorazione dell’indennità risarcitoria può essere applicata solo al datore di lavoro che occupi complessivamente più di 15 e fino a 60 dipendenti, distribuiti in unità produttive e ambiti comunali aventi ciascuno meno di 15 dipendenti; - la sentenza impugnata in parte qua non è conforme al tenore della previsione di cui al secondo periodo dell’articolo 8 della Legge n. 604/1966novellato, come interpretato da questa Corte;
- in particolare, i giudici del reclamo, da un lato, hanno considerato la grande anzianità della lavoratrice (assunta nel 1988), senza tradurla per la verità in un numero preciso di anni, e, dall’altro, hanno dato per pacifico che la soglia dimensionale del reclamato fosse “inferiore ai 15 dipendenti“; pertanto, la determinazione dell’indennità risarcitoria in misura pari a 14 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto è contra legem, perché tale misura massima dell’indennità in questione poteva essere decisa alla duplice condizione dell’anzianità di servizio ultraventennale della lavoratrice e del requisito dimensionale costituito dall’occupare il datore complessivamente più di 15 e fino a 60 dipendenti, distribuiti in unità produttive e ambiti comunali aventi ciascuno meno di quindici dipendenti;
- la Corte di merito, invece, non ha accertato tale seconda condizione, che deve concorrere con l’altra, e ha constatato, al contrario, che il datore di lavoro occupava meno di 15 dipendenti (o meglio, meno di 16): quindi, nella specie, la misura dell’indennità risarcitoria non poteva nella specie superare il limite di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, una volta valutati tutti gli elementi indicati nella prima parte dell’articolo 8 della Legge n. 604/1966.
Conclusioni
In sostanza, la Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso e ha cassato la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; essa, decidendo nel merito, ha rideterminato l’indennità risarcitoria in favore della lavoratrice in 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Riferimenti normativi:
- Legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 8
- Legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 18
- Legge 11 maggio 1990, n. 108, art. 2
- D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23
- Corte di Cassazione, Ordinanza 22 maggio 2025, n. 13741
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