RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
A CURA DI FABIO PACE | 26 SETTEMBRE 2025
ACCERTAMENTO
Induttivo
Inerenza e deducibilità di costi di sponsorizzazione – Cass., Sez. trib., Ord. 30 luglio 2025, n. 21906
Una società si oppone alla contestazione della sproporzione tra i costi sostenuti per la sponsorizzazione e l’utile di esercizio, con presunzione dell’abbattimento di tale utile proprio attraverso la deduzione di tali costi, tra l’altro sostenuti nei confronti di un ente sammarinese, con conseguente sospetto di evasione fiscale.
Ove la contabilità risulti formalmente regolare, ma si riveli intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, in applicazione dell’art. 39, primo comma, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973, l’A.F. può desumere in via induttiva – in base a presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti – il reddito del contribuente, utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, lasciando al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, dimostrando la correttezza delle proprie dichiarazioni (Cass. 9 agosto 2022, n. 24578; Cass. 22 luglio 2021, n. 21128; Cass. 20 marzo 2013, n. 6918).
L’antieconomicità del comportamento del contribuente può desumersi anche da un unico elemento presuntivo, purché preciso e grave (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27552).
I costi di sponsorizzazione sono deducibili dal reddito d’impresa ove risultino inerenti all’attività stessa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, esclusa ogni valutazione in termini di utilità, vantaggio o potenziale incremento per l’attività stessa (Cass. 26 ottobre 2021, n. 30024). L’inerenza dei costi di sponsorizzazione rispetto all’attività d’impresa va intesa in senso qualitativo, come potenziale e indiretto beneficio per l’attività imprenditoriale, e non in senso meramente quantitativo, come utilità, concreto vantaggio o futuro incremento della stessa (Cass. 7 aprile 2022, n. 11324).
Presunzioni
Omessa dichiarazione: i costi relativi ai maggiori ricavi accertati vanno determinati – Cass., Sez. trib., Ord. 19 settembre 2025, n. 25702
Si discute se l’Ufficio fosse in ogni caso tenuto a determinare anche induttivamente i costi inerenti ai maggiori ricavi accertati in capo all’associazione sottoposta a verifica, indipendentemente dal fatto che questa avesse o meno documentato la loro esistenza e il relativo ammontare.
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’A.F., i cui poteri trovano fondamento non già nell’art. 38 (accertamento sintetico) o nell’art. 39 (accertamento induttivo), ma nell’art. 41 del D.P.R. n. 600/1973 (cd. accertamento d’ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici (o semplicissime), anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, le quali comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma deve comunque determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva (Cass. ord. 21 maggio 2024, n. 14064; Cass. ord. 25 luglio 2023, n. 22261; Cass. ord. 19 ottobre 2022, n. 30914), senza che possano entrare in gioco le limitazioni previste dall’art. 109 del TUIR, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia pur sempre sussistente (Cass. sent. 19 novembre 2021, n. 35396; Cass. ord. 9 giugno 2020, n. 10982; Cass. ord. 20 novembre 2018, n. 29980).
Nella specie, pur essendo stato accertato in fatto che l’associazione sportiva dilettantistica non aveva presentato alcuna dichiarazione e che il suo legale rappresentante pro tempore aveva contestato la non considerazione dei costi sostenuti, è stato erroneamente affermato che di tali costi non poteva tenersi conto ai fini della ricostruzione officiosa del reddito imponibile, in difetto di idonea documentazione di supporto.
Prove
Fatturazione per operazioni oggettivamente inesistenti – Cass., Sez. trib., Ord. 4 agosto 2025, n. 22490
L’Ufficio eccepisce la sussistenza di operazioni oggettivamente inesistenti – dove la consapevolezza del cessionario non avrebbe rilievo – ritenendo di avere fornito elementi di prova sufficienti, a fronte dei quali il contribuente non ha prodotto idonea prova contraria.
Con riferimento alla questione della deducibilità dei costi e della detraibilità dell’IVA, nel caso di fatture per operazioni inesistenti, una volta assolta da parte dell’A.F. la prova, anche mediante elementi indiziari, dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente dimostrarne l’effettiva esistenza, senza che, tuttavia, sia sufficiente a tale fine l’esibizione della fattura né la dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di fare apparire reale un’operazione fittizia (Cass. 19 ottobre 2018, n. 26453).
L’onere posto a carico dell’A.F. può ritenersi assolto, qualora siano forniti validi elementi che, alla stregua degli artt. 39, primo comma, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973, e 54, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972, possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi, per affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, o che dimostrino in modo certo e diretto l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati o l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione (Cass. 18 ottobre 2021, n. 28628). Il giudice di merito, solo dopo avere valutato gli elementi presuntivi forniti dall’Ufficio, sia singolarmente, che complessivamente, ritenendoli dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, potrà esaminare l’eventuale prova contraria offerta dal contribuente, verificando se la stessa sia idonea a scalfire il quadro probatorio posto alla base dell’atto impositivo.
L’A.F. non ha anche l’onere di dimostrare la mala fede del contribuente, dato che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di questi, che sa certamente se e in che misura ha ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo (Cass. sent. 18 ottobre 2021, n. 28628).
ACCISE
Energia elettrica
Energia prodotta su cui determinare l’esenzione – Cass., Sez. trib., Ord. 21 settembre 2025, n. 25748
L’Amministrazione doganale notificava avviso di pagamento, accertando una maggiore accisa sull’energia elettrica autoprodotta e consumata.
Posto che, in tema di imposte sulla produzione di energia elettrica, la normativa unionale definisce la nozione di “energia da fonti rinnovabili” come riferita, segnatamente, alla biomassa e la nozione di “biomassa” come comprendente, in particolare, la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani, l’art. 52, comma 2, lett. a), del TUA – sotto il profilo dell’oggetto dell’energia prodotta, sulla quale va quantitativamente determinata l’esenzione – va applicato, dovendo la previsione di diritto interno interpretarsi in conformità alle disposizioni unionali, solo alla quantità di energia prodotta utilizzando la frazione biodegradabile dei rifiuti.
Gli obiettivi relativi al massimo ricorso all’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili e a un aumento sostanziale della trasmissione e distribuzione di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili rischierebbero di essere compromessi se un impianto di produzione di elettricità che non utilizza solo fonti energetiche rinnovabili fosse, per tale motivo, assimilato a un impianto che utilizza solo fonti energetiche convenzionali e, di conseguenza, escluso dall’accesso prioritario previsto all’art. 16, par. 2, lett. c), della Dir. n. 2009/28 (in relazione al principio secondo cui deve riscontrarsi l’effettiva produzione di energia da parte degli impianti rinnovabili, al netto anche del consumo di energia derivante da combustibili fossili, strumentale al funzionamento stesso dell’impianto, Cass., Sez. U., 16 aprile 2021, n. 10110).
Ferma restando l’idoneità a produrre energia rinnovabile, in quanto utilizzanti anche materie di combustione rinnovabili, in capo agli impianti, la disciplina in questione si applica alla sola parte di energia prodotta dalle frazioni biodegradabili dei rifiuti. Al tempo stesso, ove l’impianto beneficiario dell’esenzione utilizzi in parte fonti rinnovabili, in parte fonti non rinnovabili, la norma trova applicazione alla sola porzione di energia elettrica derivante dall’utilizzo delle fonti rinnovabili.
AGEVOLAZIONI
Prima casa
Costituzione di usufrutto su immobile agevolato – Cass., Sez. trib., Ord. 22 settembre 2025, n. 25863
Si discute se la cessione del solo usufrutto di un immobile, acquistato con le agevolazioni prima casa, entro il quinquennio dall’acquisto dell’intera proprietà dell’immobile e senza il riacquisto di altra casa di abitazione entro l’anno dalla cessione dell’usufrutto, comporti o meno decadenza dall’agevolazione fiscale prima casa.
Il comma 4 della nota II-bis dell’art. 1 della Tariffa, p. I, allegata al D.P.R. n. 131/1986, stabilisce la decadenza dall’agevolazione per l’acquisto della prima casa solo in caso di trasferimento degli immobili acquistati con i benefici e non anche in caso di costituzione del diritto di usufrutto sugli immobili stessi in favore di terzi.
Anche il nudo proprietario ha diritto alle agevolazioni in materia di imposta di registro per l’acquisto della prima casa, di cui all’art. 1, sesto comma, della legge n. 168/1982, purché destini effettivamente l’appartamento acquistato a propria abitazione dopo la consolidazione dell’usufrutto con la nuda proprietà (Cass., Sez. I, sent. 10 settembre 1999, n. 9648).
Tali benefici sono applicabili, nel concorso delle condizioni previste dalla norma stessa, in favore del compratore della nuda proprietà, dato che l’art. 3, comma 131, della legge n. 549/1995, pur essendo innovativo nella parte inerente alla determinazione di tali condizioni, ha portata interpretativa della disciplina anteriore, quando, elencando gli atti di trasferimento di case non di lusso, include quelli traslativi della nuda proprietà, nel presupposto della loro pari attitudine (in presenza degli altri requisiti) a integrare un progetto abitativo meritevole di trattamento agevolato (Cass., Sez. I, sent. 6 aprile 1996, n. 3248; Cass., Sez. 5, sent. 30 gennaio 2008, n. 2071; Cass. n. 9648 del 1999 cit.; sent. 5 aprile 1996, n. 3201sent. 5 aprile 1996, n. 3201).
Permuta con immobile da costruire – Cass., Sez. trib., Ord. 22 settembre 2025, n. 25761
La questione riguarda l’assimilabilità della vendita di cosa futura a quella degli immobili in corso di costruzione, ai quali si applica l’agevolazione prima casa.
L’agevolazione prima casa di cui all’art. 1, Nota II-bis, della Tariffa, p. I, allegata al TUR, comprende anche l’ipotesi degli immobili in corso di costruzione destinati ad abitazione non di lusso, comprese le ipotesi in cui vengano in rilievo operazioni atipiche (permute e do ut facias), inerenti a immobili ancora da costruire, laddove realizzano la finalità di assicurare una prima casa all’acquirente, risultando coerenti con la finalità della norma, che consiste nel favorire l’acquisto dell’abitazione principale, e assumendo in ogni caso rilievo, a tale fine, l’effettiva destinazione dell’immobile a residenza, da realizzarsi entro i termini di legge.
Le agevolazioni per l’acquisto della prima casa spettano anche all’acquirente di immobile in corso di costruzione, da destinare ad abitazione non di lusso (Cass. 17 febbraio 2022, n. 5180). Deve prevalere l’effettiva destinazione dell’immobile rispetto al suo stato, in divenire al momento dell’acquisto.
L’agevolazione spetta anche nel caso di fabbricato collabente, destinato, previ gli interventi edilizi del caso, ad abitazione principale (Cass. n. 3913/25).
L’uso dell’immobile come residenza abituale giustifica l’estensione del beneficio anche al caso in cui l’immobile non sia ancora ultimato al momento della compravendita. Escludere l’agevolazione per il solo fatto che l’immobile sia in costruzione determinerebbe una disparità di trattamento irragionevole tra chi acquista un’abitazione già completata e chi, con lo stesso intento abitativo, acquista un bene da ultimare.
Quindi, anche la fattispecie in oggetto – consistente in un do ut facias, realizzato con cessione di immobile contro costruzione di tre unità immobiliari abitative – va compresa nel perimetro dell’agevolazione.
IMPOSTE DIRETTE
Doppia imposizione
Rimborso credito d’imposta su dividendi: convenzione Italia-Regno Unito – Cass., Sez. trib., Sent. 4 luglio 2025, n. 18125
Si eccepisce che, ai sensi della convenzione Italia-Regno Unito, non basta una generica attestazione di soggezione della società alle imposte sui redditi, ma si deve verificare che la stessa sia soggetta a imposta sui dividendi percepiti dalla controllata italiana o che i dividendi abbiano avuto specifico rilievo impositivo.
In tema di imposte sui dividendi azionari corrisposti da una società figlia residente in Italia a una società madre residente nel Regno Unito, l’esenzione integrale da imposta sui dividendi riconosciuta in Italia ex art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973, che ha attuato la Dir. madre-figlia n. 453/1990, non elimina necessariamente il rischio di doppia imposizione né di violazione del principio di neutralità fiscale; la società madre che non abbia subito in Italia ritenute sui dividendi ricevuti ex art. 27-bis cit. può optare per l’applicazione dell’art. 10, par. 4, lett. b), della convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Regno Unito, ratificata con legge n. 329/1990, chiedendo un credito d’imposta, che deve però subire una ritenuta del 5% sull’ammontare dei dividendi ricevuti e un’ulteriore ritenuta del 5% sul credito d’imposta, non sussistendo un’alternatività tra le due fonti normative e applicandosi il principio di neutralità ed efficienza fiscale internazionale (“international tax neutrality ed efficiency”), espressione dell’”intercountry equity” (Cass. sent. 20 luglio 2021, n. 20646).
La correlata condizione “subject to tax” va intesa nel senso di potenziale assoggettamento a imposizione in modo illimitato nello Stato di residenza (“full liability to tax”), indipendentemente dall’effettivo prelievo fiscale subito, essendo lo scopo delle fonti multilaterali e delle convenzioni bilaterali eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali e agevolare l’attività economica internazionale (Cass. ord 17 aprile 2019, n. 10706; ord. 29 gennaio 2020, n. 1967; Cass. sent. 19 novembre 2020, n. 26307; ord. 27 aprile 2021, n.11035; ord. 24 febbraio 2022, n. 6248; sent. 24 maggio 2022, n. 16834; ord. 3 marzo 2022, n. 7108; ord. 16 febbraio 2022, n. 5145; ord. 16 febbraio 2022, n. 5152; sent. 24 agosto 2022, n. 25196).
IMPOSTE INDIRETTE
Registro
Natura della sentenza che definisce il giudizio di opposizione alla stima – Cass., Sez. trib., Ord. 2 settembre 2025, n. 24377
L’Agenzia censura omessa distinzione della somma corrispondente all’indennità di esproprio, che costituisce base imponibile per calcolare l’imposta, dalla somma che Roma capitale deve depositare presso il MEF.
La decisione che, all’esito di un giudizio di opposizione alla stima dell’indennità di esproprio e di occupazione legittima, ne accerti l’esatto ammontare e disponga il deposito della differenza presso la Cassa Depositi e Prestiti, ha natura di sentenza di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale e non di condanna ed è, pertanto, soggetta all’applicazione dell’imposta di registro nella misura proporzionale dell’1%, ai sensi dell’art. 8, lett. c), della Tariffa, p. I, allegata al D.P.R. n. 131/1986 (Cass., Sez. 5, ord. 30 giugno 2021, n. 18430; Sez. 5, ord. 29 luglio 2021, n. 21697; Sez. 6-5, ord. 29 dicembre 2022, n. 38045; Sez. 5, ord. 28 dicembre 2024, n. 34749, n. 34753, n. 34757e n. 34765; Sez. 5, ord. 12 gennaio 2025, n. 801).
Il deposito dell’indennità è un adempimento funzionale e prodromico al completamento del più complesso procedimento espropriativo che si sviluppa in ambito amministrativo, quale fase transitoria e intermedia tra la determinazione provvisoria e quella definitiva dell’indennità, finalizzata alla tutela di terzi creditori che, vantando diritti sull’immobile espropriato, si vedono garantita la possibilità di farli valere direttamente sull’indennità depositata (Cass., Sez. U, n. 109 del 1999; Sez. 1, n. 6709 del 2000; Sez. 1, n. 25662 del 2006).
Nessun trasferimento di ricchezza al soggetto espropriato, nessuna attribuzione di un bene o condanna al pagamento, ma solo un accertamento di valore cui si accompagna un adempimento accessorio nell’interesse di terzi e della parte pubblica debitrice espropriante ma non del creditore espropriato.
IVA
Aliquote
Operazioni di intrattenimento – Cass., Sez. trib., Ord. 10 settembre 2025, n. 24964
Si contesta l’applicazione dell’aliquota IVA del 20%, in luogo di quella agevolata all’attività di intrattenimento che avrebbe dovuto essere considerata accessoria all’attività principale di ristorazione.
Ai fini dell’individuazione dell’aliquota imponibile IVA applicabile a un’operazione di intrattenimento, non è decisivo il profilo della sua occasionalità rispetto all’attività di ristorazione, invece rilevante in materia di imposta sugli intrattenimenti di cui all’art. 3, comma 1, primo periodo, del D.P.R. n. 544/1999, ma quello dell’accessorietà, ai sensi dell’art. 12 del D.P.R. n. 633/1972.
Circa i parametri di verifica in concreto della sussistenza del rapporto di accessorietà tra le due operazioni ai fini della base imponibile IVA, vanno considerate accessorie le operazioni che, pur formalmente distinte, sono connesse alla prestazione principale, così da formare una sola prestazione economica indissociabile, non in base al significato meramente formale del negozio, ma alla stregua del concreto atteggiarsi degli interessi coinvolti, che si identificano nella causa del contratto (Cass. sent. 9 febbraio 2023, n. 3893).
Devono intendersi accessorie le operazioni economiche poste in essere dallo stesso soggetto in necessaria connessione con l’operazione principale, a cui accedono con la funzione di integrarla, completarla o renderla possibile (Cass. ord. 20 dicembre 2021, n. 40725).
Si deve tenere conto del fatto che si applica alla prestazione di intrattenimento l’aliquota IVA agevolata solo in quanto sia accertata la sua accessorietà rispetto alla prestazione di ristorazione, indipendentemente dal fatto che abbia cadenza costante, quando sia accertato, considerate tutte le circostanze concrete del caso, tra le quali la presenza o meno un costo di ingresso nel ristorante in occasione dei soli intrattenimenti musicali, un rapporto di accessorietà, che in concreto ponga in oggettiva necessaria connessione la prima rispetto alla seconda, a cui acceda con la funzione di integrarla, completarla o renderla possibile.
Detrazione
Cessione di quote di partecipazione a fondo immobiliare chiuso: calcolo del pro-rata – Cass., Sez. trib., Sent. 31 luglio 2025, n. 22155
La CTR avrebbe erroneamente ritenuto che l’operazione contestata dovesse qualificarsi come accessoria, dando rilevanza, a tale fine, al rapporto tra il totale dei costi IVA sostenuti e i costi gravati da IVA per la cessione di quote, senza considerare che l’operazione rientrava nell’attività propria della società.
La cessione delle quote di partecipazione al fondo immobiliare va qualificata come negoziazione di strumenti finanziari, anche se attuata con l’iniziale apporto di beni immobili, ossia il conferimento di immobili e diritti reali immobiliari da parte degli interessati a divenire partecipanti del fondo, così da acquisire in contropartita non un prezzo-corrispettivo come in un ordinario atto traslativo, ma un numero di quote di partecipazione-sottoscrizione proporzionale al valore dell’immobile apportato (Cass. sent. 5 febbraio 2024, n. 3218).
Per accertare se determinate operazioni vadano o meno considerate ai fini del calcolo del pro rata, non deve aversi riguardo all’attività definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta, in quanto, ai fini IVA, rileva il volume d’affari, costituito dall’ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi effettuate e, quindi, l’attività in concreto esercitata (Cass. sent. 9 marzo 2016, n. 4613; sent. 24 marzo 2017, n. 7654; ord. 11 ottobre 2017, n. 23811; ord. 25 febbraio 2021, n. 5156).
Il fondo costituisce un patrimonio separato, ma non ha soggettività giuridica autonoma, tanto che i beni immobili ad esso acquisiti vengono intestati alla società di gestione; anche se quest’ultima può essere oggetto di accertamenti tributari che riguardano le attività del fondo, essa non risponde di eventuali pretese dell’A.F. con il proprio patrimonio, ma solo nei limiti del patrimonio del fondo, il quale potrà rivalersi nei confronti della società di gestione proprio in base al rapporto di mandato (Cass. sent. 12 giugno 2024, n. 16285).
PROCESSO TRIBUTARIO
Appello
Documenti prodotti tardivamente in primo grado – Cass., Sez. trib., Ord. 18 settembre 2025, n. 25577
Si discute dell’utilizzabilità di documenti prodotti tardivamente dall’Agenzia in primo grado e ridepositati in appello, per dimostrare la regolare notifica dell’avviso di accertamento esecutivo presupposto all’intimazione.
Nel processo tributario, ai sensi dell’art. 58, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992, nel testo vigente prima delle modifiche apportate dall’art. 1del D.Lgs. n. 220/2023, è consentita la produzione di nuovi documenti in appello, anche se tali documenti erano già esistenti al momento dell’introduzione del giudizio di primo grado.
La tardiva produzione di documenti in primo grado non ne preclude l’utilizzabilità nel giudizio d’appello, poiché nel processo tributario i fascicoli di parte restano inseriti definitivamente nel fascicolo d’ufficio, fino al passaggio in giudicato della sentenza, senza che le parti possano ritirarli, così che la documentazione ivi contenuta è da ritenersi acquisita automaticamente e ritualmente nel giudizio di impugnazione.
Le parti possono produrre nuovi documenti anche se gli stessi preesistevano all’introduzione del giudizio di primo grado (Cass. ord. 8 gennaio 2025, n. 297; ord. 15 novembre 2022, n. 33573; ord. 21 ottobre 2021, n. 29470) né la loro tardiva produzione in prime cure impedisce al giudice d’appello di esaminarli, ove la parte provveda a un nuovo deposito nel rispetto del termine ex art. 32, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992 (Cass. sent. 10 aprile 2024, n. 9635; ord. 17 novembre 2020, n. 26115; ord. 7 marzo 2018, n. 5429).
Anche l’eventuale inosservanza del termine suindicato deve ritenersi sanata, qualora il documento fosse già stato prodotto, benché irritualmente, in primo grado; e ciò perché nel processo tributario i fascicoli di parte restano inseriti in maniera definitiva nel fascicolo d’ufficio fino al passaggio in giudicato della sentenza, senza che i contendenti abbiano la possibilità di ritirarli (cfr. art. 25, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992), con la conseguenza che la documentazione presente al loro interno è da considerarsi automaticamente e ritualmente acquisita al giudizio di impugnazione (Cass. ord. 10 dicembre 2024, n. 31758; Cass. ord. 12 dicembre 2023, n. 34756; Cass. n. 5429 del 2018 cit.).
Contributo unificato
Impugnazione di intimazione di pagamento – Cass., Sez. trib., Ord. 31 agosto 2025, n. 24258
Per il MEF, il contributo unificato andava calcolato sia sul valore dell’intimazione di pagamento, sia sul valore di ogni cartella esattoriale sottesa all’intimazione stessa.
Nella specie, la Corte secondo grado annullava l’invito al pagamento di maggior contributo unificato su procedimento tributario, rilevando, in fatto, che il ricorso aveva ad oggetto solo l’intimazione di pagamento e non riguardava la cartella esattoriale presupposta. Pertanto, la decisione è legittima. Si tratta di una valutazione di fatto (qualificazione della domanda e interpretazione degli atti processuali) riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione per violazione di legge (Sez. 5, ord. 6 novembre 2023, n. 30770).
Nel processo tributario, la quantificazione del contributo unificato per il giudizio di impugnazione di un atto di iscrizione ipotecaria, fondato sulla mancata notifica delle cartelle di pagamento presupposte, avviene in base al valore della lite determinato dalla somma degli importi dei tributi delle sole cartelle di natura tributaria richiamate nell’atto impugnato, al netto di sanzioni e interessi, dato che calcolarlo anche sul valore delle sottese cartelle di pagamento comporterebbe un’inammissibile duplicazione della richiesta contributiva (Sez. 5, ord. 10 ottobre 2024, n. 26439).
La ratio è evitare una duplicazione d’imposta, in quanto il contributo unificato per l’impugnazione della cartella non può essere duplicato in quello oggetto del giudizio di cassazione.
RISCOSSIONE
Coattiva
Contenuto della comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria – Cass., Sez. trib., Ord. 17 settembre 2025, n. 25456
Si discute se l’agente della riscossione abbia l’obbligo di indicare, in seno alla comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria, il bene e/o i beni immobili sui quali verrà operata la misura cautelare.
In tema di riscossione esattoriale, l’art. 77, comma 2-bis, del D.P.R. n. 602/1973, prevede che la comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria – la quale, come atto a contenuto informativo-sollecitatorio, si esaurisce nell’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di 30 giorni, sarà iscritta l’ipoteca – deve contenere solo l’indicazione (con riferimento all’an, cioè al titolo, e al quantum, cioè all’entità) del credito tributario per cui si procede, ma non anche l’indicazione dell’immobile o degli immobili su cui l’agente della riscossione procederà a iscrizione ipotecaria in caso di perdurante inadempienza del debitore, essendone necessaria l’individuazione solo in occasione della successiva costituzione del diritto reale di garanzia con l’esecuzione della pubblicità immobiliare.
Dagli artt. 76 e 77 del D.P.R. n. 602/1973 non deriva alcun particolare onere motivazionale in capo all’agente della riscossione, che, con il preavviso di iscrizione ipotecaria, si limita a informare il contribuente moroso che, in caso di mancato pagamento entro 30 giorni, si procederà a iscrizione di ipoteca sull’immobile o sugli immobili di sua proprietà. L’ipoteca nasce con l’iscrizione, non con il suo preavviso, ed è al momento dell’iscrizione che il bene deve essere individuato e determinato.
Per valutare la legittimità dell’iscrizione ipotecaria, è sufficiente l’indicazione del valore del credito per cui si procede (Cass., Sez. 6-5, 15 marzo 2021, n. 7233). Il fatto che l’iscrizione ipotecaria sia un atto preordinato all’espropriazione immobiliare e soggiaccia agli stessi limiti di quest’ultima non implica alcuna conseguenza in punto di contenuto motivazionale della comunicazione di iscrizione (Cass., Sez. 6-5, 13 novembre 2014, n. 24258; Cass., Sez. 6-5, 15 marzo 2021, n. 7233; Cass., Sez. 5, 22 novembre 2021, n. 36000).
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