3° Contenuto Riservato: Specificità delle mansioni ai fini della legittimità del patto di prova

COMMENTO

DI GIOVANNI IMPROTA | 2 OTTOBRE 2025

Con la recente Ordinanza n. 15326/2025, la Suprema Corte è tornata ad affrontare il tema della validità del patto di prova, ribadendo che il recesso datoriale intimato durante il periodo di prova è da considerarsi legittimo qualora il patto medesimo rinvii, ai fini della determinazione delle mansioni oggetto della prestazione, al richiamo della contrattazione collettiva applicabile e alla categoria di inquadramento del lavoratore.

Tale sentenza fa seguito ad altra pronuncia sempre della Corte di Cassazione di analogo tenore afferente la legittimità di un recesso in periodo di prova (Cass. n. 29078/2023 ).

Il patto di prova

Come noto, l’art. 2096 c.c. prevede che “L’assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto. L’imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova. Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d’indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine. Compiuto il periodo di prova, l’assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell’anzianità del prestatore di lavoro”. 

Il patto di prova:
– deve risultare per iscritto a pena di nullità;
– va stipulato contestualmente all’instaurazione del rapporto di lavoro, non potendo essere apposto successivamente;
– deve indicare in modo chiaro e specifico le mansioni oggetto della prova, così da consentire un controllo sull’effettivo svolgimento di attività coerenti con il patto;
– in mancanza di forma scritta o di specificazione delle mansioni, il patto è nullo e il rapporto si considera a tempo indeterminato sin dall’inizio.

La durata massima è generalmente stabilita dalla contrattazione collettiva e varia in base al livello e alla tipologia delle mansioni (ad es. fino a 6 mesi per i dirigenti, tempi più ridotti per gli altri lavoratori), con la conseguenza che in assenza di previsione collettiva, si applica il criterio di ragionevolezza, tenuto conto della complessità delle mansioni.

La durata inoltre non può essere prorogata o rinnovata, salvo nuovo rapporto di lavoro con mansioni del tutto differenti.

Nel corso del periodo di prova, sia il datore di lavoro che il lavoratore possono recedere liberamente dal rapporto di lavoro “senza obbligo di fornire la relativa motivazione né di osservare il periodo di preavviso contrattualmente previsto o corrispondere l’indennità sostituiva”.

Ai fini della legittimità del recesso in prova, è necessario che il datore di lavoro;

  • ponga il lavoratore nelle condizioni di poter espletare correttamente le mansioni per le quali è stato assunto che costituiscono oggetto del patto di prova.
    In proposito, la Suprema Corte ha ribadito che il recesso si considera illegittimo se il lavoratore non è stato posto in grado, per omessa concreta attribuzione delle mansioni, di sostenere la prova con conseguente manifesta pretestuosità del motivo di mancato superamento;

Inoltre, il recesso è illegittimo anche qualora la verifica sia condotta su mansioni diverse da quelle di assunzione, siano esse inferiori o superiori.

  • proceda alla risoluzione del rapporto, solo dopo che il lavoratore abbia avuto modo di svolgere effettivamente la prova per un periodo congruo (ad es. almeno la metà del periodo di prova contrattualmente previsto).

In caso contrario, il lavoratore potrebbe contestare la legittimità del recesso dimostrando che non sia stata consentita, per l’inadeguatezza della durata dell’esperimento, quella verifica del suo comportamento e delle sue capacità professionali alla quale il patto di prova è preordinato (cfr. Cass. 6 Giugno 1987, n. 4979).

Analisi dell’Ordinanza n. 15326/2025

Il fatto

La vicenda origina dal licenziamento in periodo di prova di una lavoratrice impiegata nel settore sociosanitario.

In particolare, la lavoratrice aveva impugnato il recesso intimato dal datore di lavoro durante il periodo di prova, deducendo la nullità del relativo patto in quanto le mansioni indicate nel contratto di assunzione – operatrice di back office e contact center – non risultavano corrispondenti ai profili professionali previsti dal contratto collettivo applicabile (CCNL Cooperative sociali). Quest’ultimo, infatti, disciplina esclusivamente attività di natura sociosanitaria e di assistenza alla persona, estranee rispetto a quelle effettivamente svolte presso il datore di lavoro.

Il Tribunale, in primo grado, respingeva la domanda, ritenendo legittimo il recesso. La lavoratrice proponeva appello, ma la Corte territoriale confermava la decisione, osservando che le mansioni erano state specificamente individuate nel contratto di assunzione “mediante il richiamo alla contrattazione collettiva applicabile e alla categoria di appartenenza”.

Avverso tale sentenza, la lavoratrice proponeva ricorso per cassazione.

Le argomentazioni della Corte di cassazione

Come già dedotto nei ricorsi depositati in primo e secondo grado, la ricorrente, in riferimento al recesso in periodo di prova ha lamentato la non corrispondenza delle mansioni indicate nel contratto di assunzione a tempo indeterminato (operatrice di contact center e di back office) ai profili professionali C1 della categoria C, posto che gli stessi erano tutti riguardanti mansioni di ambito socio – sanitario e di assistenza alla persona, proprie della cooperativa sociale datrice, ma estranee a quelle suindicate, effettivamente svolte, con il conseguente difetto di indicazione, anche per relationem, delle mansioni svolte nel patto di prova.

La Suprema Corte, ritenendo infondate le doglianze avanzate dalla ricorrente a sostegno della pretesa illegittimità del recesso in prova, ha integralmente richiamato, nella motivazione della propria decisione, i principi già affermati nell’Ordinanza n. 29078/2023 , concernente analoga fattispecie.

In tale sentenza, la Corte di Cassazione ha affermato nello specifico quanto segue:

  1. la causa del patto di prova risiede nell’interesse congiunto del lavoratore e del datore di lavoro a sperimentare la reciproca convenienza al contratto di lavoro;
  2. in ragione di quanto sopra, per evitare di incorrere nella illegittimità del patto di prova, è necessario che esso contenga anche la specifica indicazione delle mansioni in relazione alle quali l’esperimento deve svolgersi, soprattutto in considerazione del fatto che la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria insindacabile valutazione sull’esito della prova presuppone che questa debba effettuarsi in ordine a mansioni esattamente identificate ed indicate;
  3. la specifica indicazione delle mansioni oggetto del patto di prova può essere operata anche con riferimento alle declaratorie del contratto collettivo, sempre che esso contenga anche la specifica indicazione delle mansioni in relazione alle quali l’esperimento deve svolgersi.

Sempre a parere della Suprema Corte, nelle precedenti fasi del giudizio, i giudici avevano appunto accertato la specificità della indicazione nel contratto di assunzione delle mansioni della lavoratrice e la chiara individuazione del suo inquadramento, per il richiamo alla contrattazione collettiva e alla categoria di appartenenza.

Considerazioni e suggerimenti operativi

Sotto il profilo operativo, ad avviso dello scrivente, la sentenza in esame fornisce spunti rilevanti per il datore di lavoro ed in particolare in riferimento alla predisposizione dei contratti assunzione nei quali è previsto il patto di prova.

Infatti, ai fini della legittimità dello stesso, occorrerà prestare particolare attenzione a che il patto di prova contenga sempre la descrizione dettagliata delle mansioni oggetto dell’esperimento, tenendo conto altresì che le mansioni descritte dovranno corrispondere a quelle effettivamente svolte, per evitare contestazioni di nullità del patto.

Fermo quanto sopra, sul piano gestionale, pur non essendo necessario motivare il recesso per mancato superamento, è prudente raccogliere elementi oggettivi (report di attività, valutazioni) a supporto della decisione, in chiave difensiva in caso di contenzioso.

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