2° Contenuto Riservato: Compensazione indebita e frodi IVA: tra rigore repressivo e tutela dell’imprenditore

COMMENTO

DI MATTEO RIZZARDI | 8 OTTOBRE 2025

Il fenomeno delle frodi carosello e l’uso indebito della compensazione fiscale pongono il problema del bilanciamento tra lotta all’evasione e garanzie del contribuente. La giurisprudenza più recente conferma l’illiceità della compensazione con crediti di terzi, rafforzando il presidio penale, ma solleva dubbi sulla corretta delimitazione degli obblighi di diligenza dell’imprenditore. Resta centrale il rischio di trasformare il contribuente in “investigatore fiscale”, con potenziale frizione rispetto al principio di legalità.

Il contesto delle frodi carosello e il dilemma dell’imprenditore onesto

Il fenomeno delle frodi carosello rappresenta una minaccia concreta alla neutralità dell’IVA e alla libera concorrenza, rischiando di compromettere la sopravvivenza stessa delle imprese che, pur operando correttamente, si trovano coinvolte a rispondere dell’evasione perpetrata dai propri contraenti. Il dibattito giuridico su questo tema si polarizza tra due finalità fondamentali, sebbene rappresentino le due facce della stessa medaglia: la necessità di combattere l’evasione fiscale e l’esigenza di tutelare il diritto alla detrazione dell’IVA per l’imprenditore onesto.

La dottrina ha osservato con preoccupazione la prassi dell’Amministrazione finanziaria, la quale tende a contestare il diritto alla detrazione dell’IVA in tutti i casi in cui l’operatore si trovi coinvolto in una catena fraudolenta. Questo approccio si fonda sull’assioma del “sapeva o non poteva non sapere”, imponendo al contribuente onesto il rischio di coinvolgimento e l’onere di dimostrare la propria buona fede.

Tale impostazione, ritenuta da alcuni dottrinari come aberrante, addossa al singolo un presunto dovere di diligenza fiscale che lo trasformerebbe in un “contribuente-investigatore”, una figura che l’imprenditore, nato per produrre merci, non può e non deve rivestire, dato che i mezzi di indagine competono all’Amministrazione finanziaria.

La giurisprudenza, sia comunitaria che nazionale, pur mantenendo ferma la guardia contro l’evasione, ha progressivamente adottato posizioni più garantiste, riconoscendo il diritto alla detrazione senza limitazioni per garantire la neutralità dell’IVA.

In particolare, è stato stabilito che spetta all’Amministrazione fiscale l’onere di dimostrare, con elementi oggettivi, che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione si iscriveva in una frode.

L’orientamento penale sul tema della compensazione indebita: il commento alla sentenza n. 30098/2025

In questo complesso scenario che bilancia lotta alla frode e garanzie, si inserisce l’autorevole pronuncia della Corte Suprema di Cassazione, terza sezione penale, n. 30098/2025 (decisione del 3 luglio 2025), la quale affronta in sede penale un profilo cruciale delle condotte elusive, ovvero il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000.

La sentenza in esame riguardava un ricorso proposto avverso la condanna inflitta dalla Corte d’Appello di Ancona per aver effettuato, nel corso del 2018, indebite compensazioni indicando crediti d’imposta non spettanti, derivanti da un accordo di accollo del debito da parte di una s.r.l.

Nello specifico, l’imputato, titolare dell’impresa individuale, aveva utilizzato crediti d’imposta spettanti a un soggetto diverso (l’accollante) per estinguere le proprie obbligazioni.

Il ricorso dell’imputato lamentava, tra l’altro, l’errata applicazione dell’art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000, sostenendo l’omessa considerazione della buona fede, il carattere non vincolante di una risoluzione dell’Agenzia delle Entrate (n. 140/E del 2017) e la sussistenza di un’incertezza normativa.

La Cassazione ha rigettato i motivi di ricorso, dichiarandone la manifesta infondatezza.

La natura non compensabile dei crediti di terzi

La Corte ha ribadito la correttezza del principio secondo cui la compensazione tributaria può essere eseguita solo inter partes, ovvero tra i medesimi soggetti (e i loro contrapposti crediti) e non anche tra soggetti diversi.

In sostanza, si è consolidato l’orientamento secondo cui l’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione, ma ciò non consente il superamento dei requisiti strutturali della compensazione tributaria.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’istituto della compensazione, richiamato dall’art. 8 della Legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), recepisce i canoni generali del Codice civile sulla estinzione per compensazione.

Pertanto, il pagamento di debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta acquisiti a seguito di un accollo fiscale, o tramite la realizzazione di modelli di evasione fiscale, non è previsto dall’art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, e richiede che la compensazione avvenga tra i medesimi soggetti del rapporto d’imposta.

La sentenza n. 30098/2025 ha escluso categoricamente la prospettata incertezza normativa oggettiva che avrebbe potuto giustificare un errore sul dolo, in quanto il quadro normativo, giurisprudenziale e interpretativo-amministrativo era già consolidato.

La Corte ha ricordato che la giurisprudenza in materia risale almeno al 2001 (Cass. civ. n. 14588/2001) e che la prassi penale aveva già stabilito che l’utilizzo di crediti di terzi in contesti di frode integra il delitto di cui all’art. 10-quater.

Implicazioni critiche e onere probatorio

Il rigore della Cassazione penale n. 30098/2025 in materia di compensazione indebita, unito ad altre recenti pronunce penali (come la n. 29689/2025, che ha confermato la condanna per l’utilizzo di fatture soggettivamente false anche se l’intento era “regolarizzare” le giacenze di magazzino), evidenzia un approccio molto severo nei confronti di chi tenta di aggirare o manipolare i meccanismi tributari per ottenere un vantaggio illecito.

Tuttavia, il dibattito resta aperto e critico nel contesto delle frodi carosello IVA standard (come discusso in riferimento a Cass. n. 26854/2014) in relazione all’onere probatorio a carico del contribuente.

Nel contesto IVA, l’Amministrazione finanziaria deve provare l’interposizione fittizia, la frode fiscale a monte e la conoscenza o conoscibilità della frode da parte del cessionario.

Una volta fornita tale prova, spetta al contribuente l’onere della prova contraria, dimostrando il proprio incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale dell’operazione.

Criticamente, si osserva che, mentre all’Amministrazione finanziaria sono richieste prove positive, al contribuente viene addossata una probatio negativa, ontologicamente più difficile.

Inoltre, il diritto alla detrazione non può essere negato a meno che non emergano anomalie percepite nelle trattative che siano indice di probabile evasione fiscale (non meramente possibilistica).

Tali anomalie includono l’offerta di prezzi inferiori a quelli correnti o condizioni anomale (come richieste di pagamento a terzi).

La Suprema Corte (n. 26854/2014) aveva usato espressioni come la necessità per il contribuente di provare di non essere stato in grado di abbandonare lo “stato d’ignoranza sul carattere fraudolento” e che basterebbe un “sospetto fondato su circostanze obiettive”.

Tali locuzioni suscitano preoccupazione ermeneutica, poiché un operatore economico non dovrebbe “preoccuparsi di non abbandonare uno stato d’ignoranza”.

In definitiva, sebbene la giurisprudenza penale sulla compensazione indebita (come nella sentenza n. 30098/2025) mantenga una linea netta contro l’uso di crediti di terzi come mezzo fraudolento, sul piano della detrazione IVA nelle frodi carosello, resta critica la potenziale confusione tra gli obblighi di diligenza professionale dell’imprenditore e l’assunzione di un ruolo investigativo, specialmente in assenza di un chiaro dettato normativo che stabilisca esattamente cosa l’imprenditore debba fare per evitare il coinvolgimento fraudolento altrui, in ossequio al principio di legalità (art. 23 Cost.).

La diligenza professionale dovrebbe essere vista come il criterio per valutare la conformità del comportamento del debitore (cessionario) a quanto dovuto, senza imporgli compiti che spettano alle autorità fiscali.

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