COMMENTO
DI CARLA FAVERO | 9 OTTOBRE 2025
La figura dell’amministratore riveste un ruolo centrale nell’ordinamento societario italiano. Egli costituisce l’organo deputato alla gestione dell’impresa, alla rappresentanza della società e alla realizzazione dell’oggetto sociale. Tuttavia, la funzione gestoria si accompagna a un complesso sistema di responsabilità civili, penali e amministrative che varia in relazione alla forma giuridica prescelta e alla struttura organizzativa dell’ente.
L’evoluzione normativa, dal Codice civile del 1942 fino al D.Lgs. n. 6/2003 (riforma organica del diritto societario) e più recentemente alle disposizioni del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII –D.Lgs. n. 14/2019), ha accentuato la dimensione funzionale e fiduciaria dell’amministratore, imponendogli obblighi di vigilanza, correttezza gestionale e adeguatezza organizzativa.
L’amministratore nelle società di persone
Nelle società semplici (S.s.), in nome collettivo (S.n.c.) e in accomandita semplice (S.a.s.), la gestione è affidata a uno o più soci amministratori.
L’art. 2257 c.c. stabilisce che l’amministrazione spetta a ciascun socio disgiuntamente, salvo diversa pattuizione. L’amministratore deve gestire con la diligenza del mandatario ed è responsabile verso la società per i danni derivanti dall’inadempimento dei propri doveri. L’art. 2260 c.c. recita: “Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società per l’adempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa.”
Nella S.a.s., solo i soci accomandatari possono rivestire la qualifica di amministratori, rispondendo illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali, mentre gli accomandanti restano esclusi dalla gestione e godono di responsabilità limitata.
In queste forme, la linea di confine tra responsabilità contrattuale e solidarietà patrimoniale è sottile: la condotta gestoria incauta di un socio può coinvolgere direttamente il patrimonio personale, senza la “protezione” della personalità giuridica.
L’amministratore nelle società di capitali: funzioni e doveri
Con le società di capitali (S.r.l. e S.p.A.) si entra in una dimensione più articolata, dove la separazione tra proprietà e gestione diventa strutturale. Nella società a responsabilità limitata (S.r.l.), l’art. 2475 c.c. attribuisce l’amministrazione a uno o più soggetti, anche non soci, designati dall’atto costitutivo o dall’assemblea. L’amministratore agisce in nome e per conto della società e deve adempiere ai propri doveri con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e con la professionalità richiesta dalla funzione (art. 2476 c.c.).
Nella società per azioni (S.p.A.), l’amministrazione è affidata al consiglio di amministrazione (modello tradizionale), al consiglio di gestione e consiglio di sorveglianza (modello dualistico) o all’amministratore unico (modello monistico) a seconda del modello organizzativo scelto. L’art. 2392 c.c. fissa un principio generale: gli amministratori devono agire informati, con diligenza professionale e in modo da perseguire l’interesse della società. Essi rispondono solidarmente per i danni causati alla società, ai soci o ai terzi in caso di violazione dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto.
Obblighi di vigilanza e adeguatezza dell’assetto organizzativo
Con il Codice della crisi d’impresa (CCII – D.Lgs. n. 14/2019), gli obblighi dell’organo amministrativo si sono estesi in senso preventivo. Il novellato art. 2086, comma 2 c.c.recita “ l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”
Ciò comporta quindi oggi un innalzamento del livello di diligenza richiesto: l’amministratore deve non solo gestire, ma vigilare costantemente sullo stato di salute economico-finanziaria dell’impresa, promuovendo tempestivamente le iniziative per la composizione assistita della crisi.
L’inerzia o la colpevole sottovalutazione di segnali di squilibrio può integrare responsabilità per mala gestio, con riflessi anche in sede concorsuale (art. 2476, comma 6, c.c.; art. 2394 Cod. Civ.).
Responsabilità verso la società, i soci e i terzi
Le responsabilità degli amministratori si articolano su tre piani:
- responsabilità verso la società (artt. 2392 e 2476 c.c.): per danni derivanti da atti di gestione in violazione dei doveri legali o statutari;
- responsabilità verso i soci e i terzi (artt. 2395 e 2476, comma 7, c.c.): per danni diretti conseguenti a comportamenti dolosi o colposi;
- responsabilità verso i creditori sociali (art. 2394 c.c. e art. 2476, comma 6, c.c.): in caso di lesione dell’integrità del patrimonio sociale, quando questo risulti insufficiente al soddisfacimento dei crediti.
Nella fase di crisi o insolvenza, la giurisprudenza tende ad ampliare la responsabilità degli amministratori per omessa adozione di misure conservative o per prosecuzione indebita dell’attività in perdita, riconducendola a colpa grave o dolo eventuale.
Profili penalistici e amministrativi
Oltre alla responsabilità civile, l’amministratore può incorrere in responsabilità penale per reati societari (artt. 2621 ss. c.c.), bancarotta (artt. 216 e 223 L.F.) e per violazioni tributarie o di sicurezza sul lavoro.
Il legislatore italiano, infatti, attribuisce alla funzione gestoria un contenuto di garanzia non solo economica ma anche etico-pubblica, volto a tutelare l’integrità del mercato, la fede pubblica e i diritti dei lavoratori e dei creditori.
I reati societari nel Codice civile e nel Codice penale
Gli artt. 2621 e seguenti del Codice civile, riformati dal D.Lgs. n. 61/2002 e successivamente dal D.Lgs. n. 39/2010, tipizzano un ampio ventaglio di reati societari, imputabili agli amministratori e agli organi di controllo.
Tra i principali, si ricordano:
– false comunicazioni sociali (art. 2621 c.c.), il classico reato di “falso in bilancio”, che punisce la rappresentazione non veritiera della situazione patrimoniale, economica o finanziaria della società;
– impedito controllo (art. 2625 c.c.), che tutela la trasparenza interna, punendo chi ostacola l’attività dei sindaci o dei revisori;
– indebita restituzione dei conferimenti (art. 2626 c.c.) e illecita ripartizione di utili o riserve (art. 2627 c.c.), che proteggono il capitale sociale come garanzia dei creditori;
– omessa comunicazione del conflitto di interessi (art. 2629-bis c.c.), che sanziona l’amministratore che non rivela situazioni di incompatibilità tra interesse proprio e interesse sociale.
In sede penale, l’amministratore può rispondere anche dei più gravi reati fallimentari previsti dagli artt. 216 e 223 della Legge fallimentare (oggi confluiti nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, D.Lgs. n. 14/2019 ).
Si tratta, ad esempio, di bancarotta fraudolenta patrimoniale o documentale, bancarotta preferenziale e operazioni dolose che cagionano il dissesto. La giurisprudenza ha ribadito che tali reati si configurano anche in caso di omessa vigilanza o inerzia consapevole, ove il soggetto abbia accettato il rischio del dissesto (Cass. pen., sez. V, n. 12677/2023).
Responsabilità amministrativa ex D.Lgs. n. 231/2001
Il D.Lgs. n. 231/2001 ha introdotto in Italia un nuovo tipo di responsabilità, detta “responsabilità amministrativa da reato degli enti” – che si applica a società, enti e associazioni, sia pubblici che privati (esclusi lo Stato e gli enti pubblici territoriali).
In pratica, quando una persona fisica che agisce per conto dell’ente commette un reato, anche la società può essere chiamata a risponderne, se quel reato:
- è stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente (non contro di esso);
- è tra quelli previsti dal decreto come “reati presupposto”;
- è avvenuto in assenza o per inefficacia dei controlli interni idonei a prevenirlo.
Gli amministratori sono quindi tenuti a predisporre e aggiornare modelli di organizzazione, gestione e controllo (MOG) idonei a prevenire i reati presupposto (corruzione, frode, reati tributari, sicurezza sul lavoro, reati ambientali, ecc.).
La mancanza o l’inefficacia del modello organizzativo costituisce oggi una delle principali fonti di responsabilità indiretta dell’amministratore, poiché la legislazione valuta la sua diligenza anche in relazione all’adozione di presidi di compliance.
Intersezione tra responsabilità penale, amministrativa e societaria
La tendenza attuale della giurisprudenza e della prassi investigativa è quella di integrare i profili di responsabilità, riconoscendo la stretta connessione tra la mala gestio civilistica e la condotta penalmente rilevante.
Così, l’amministratore che ometta di predisporre assetti adeguati o prosegua l’attività in perdita può essere contemporaneamente esposto a:
- azione civile di responsabilità ex art. 2394 c.c. per lesione dei diritti dei creditori;
- procedimento penale per bancarotta o false comunicazioni;
- sanzioni amministrative per mancata adozione del modello 231 o violazioni in materia di sicurezza e ambiente.
Ne deriva una crescente esigenza di integrazione tra governance, compliance e responsabilità d’impresa, in cui l’amministratore assume un ruolo centrale di garante non solo della redditività, ma della legalità complessiva della gestione.
La giurisprudenza più recente (Cass. pen., sez. V, n. 12677/2023) ribadisce la responsabilità personale dell’amministratore di fatto, anche in assenza di nomina formale, se esercita poteri gestori in modo continuativo e autonomo.
Sul piano amministrativo, il D.Lgs. n. 231/2001 introduce la responsabilità dell’ente per reati commessi da soggetti apicali o sottoposti, se mancano modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire illeciti.
Considerazioni conclusive
L’amministratore moderno non è più mero esecutore della volontà dei soci, ma custode dell’equilibrio economico e legale dell’impresa.
La crescente complessità delle regole, l’obbligo di adottare assetti adeguati e la responsabilità verso creditori e stakeholder delineano una figura professionale che richiede competenze multidisciplinari, non solo giuridiche ma anche economiche e organizzative. Per tutti i professionisti e consulenti dell’impresa, ciò implica un ruolo strategico di supporto alla governance, volto a prevenire la responsabilità gestoria e a garantire la sostenibilità aziendale nel lungo periodo in ottica di forward looking.
Riferimenti normativi:
- Codice civile, artt. 2257, 2260, 2291, 2318, 2392 –2395 , 2475 –2476 , 2086, comma 2
- D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231
- D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6
- D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14
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